Corte di Cassazione – Sentenza n. 21650 del 2011 Assegno divorzile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 22/1/2004, P.S. chiedeva al Tribunale di Roma pronunciarsi lo scioglimento del matrimonio civile nei confronti della moglie G.M., escludendosi ogni assegno a favore di quest’ultima e della figlia maggiorenne.
Costituitosi il contraddittorio, la G. chiedeva disporsi assegno di mantenimento di € 300 mensili per la figlia, maggiorenne, ma non autosufficiente economicamente, e assegno per sé per l’importo di € 400 mensili.
Con sentenza non definitiva del 5/7/2004, il Tribunale di Roma dichiarava lo scioglimento del matrimonio tra le parti.
Con sentenza definitiva del 22/7/2005, il predetto Tribunale rigettava la domanda di assegno divorzile, condannando peraltro il P. alla corresponsione di assegno di € 400 mensili per la figlia, maggiorenne ma non ancora autosufficiente economicamente.
Con ricorso depositato in data 19/11/2005, la G. interponeva appello avverso la predetta sentenza, chiedendo per sé l’assegno divorzile.
Costituitosi il contraddittorio, il P. chiedeva rigettarsi l’appello e, in via incidentale, escludersi l’assegno per la figlia, ritenuta autosufficiente economicamente.
La corte d’Appello di Roma, con sentenza 14/6-3/11/2007, condannava il P. a corrispondere alla G. assegno mensile divorzile di € 250 e la somma di € 200 mensili per il mantenimento della figlia.
Ricorre per cassazione il P., sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso la G.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 5 l. 858 del 1970, non sussistendo i presupposti dell’assegno divorzile.
Il motivo va rigettato, in quanto infondato.
La sentenza impugnata ha considerato i presupposti dell’assegno: l’inadeguatezza dei mezzi della G. (a conservare il tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale) e l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.
Giurisprudenza costante di questa Corte (tra le altre, da ultimo Cass. n. 18433 del 2010) chiarisce che in mancanza di prova specifica sul “tenore di vita”, può sopperire l’ammontare complessivo delle disponibilità economiche dei coniugi, che fornisce una presunzione sul tenore di vita pregresso.
Rileva comunque il successivo miglioramento del reddito dell’onerato, quando esso costituisca uno sviluppo naturale e prevedibile della sua situazione reddituale (tra le altre Cass. n. 4758 del 2010).
Il giudice a quo esamina le condizioni economiche delle parti: il P. impiegato presso la (…) di (…), con un reddito netto di circa € 25.000 annui, è proprietario di immobile, non adibito a sua abitazione, e dunque suscettibile di produrre reddito da locazione, la G., casalinga durante la convivenza matrimoniale, dopo la separazione collaboratrice domestica e successivamente operatrice sanitaria, con un reddito di circa € 14.000, sostiene un rilevante esborso mensile per la casa in locazione.

Dal contesto motivazionale della sentenza impugnata (la G. dapprima casalinga, poi adattata allo svolgimento di “umili attività”: collaboratrice domestica, “portantina”, ancorché part time) emerge l’impossibilità per l’odierna resistente di procurarsi ulteriori mezzi per ragioni obiettive.
E’ appena il caso di precisare che la convivenza matrimoniale, durata pacificamente sette anni, potrebbe incidere sul quantum, ma certo non sul diritto all’assegno. Il giudice a quo peraltro valorizza – e la valutazione è insuscettibile di controllo in questa sede, in quanto sorretta da adeguata motivazione e non illogica – il prevalente impegno assunto dalla G. nella cura della figlia, a lei affidata in via esclusiva e ancora con lei convivente.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta vizio di motivazione, relativamente all’attività lavorativa svolta dalla figlia.
Il motivo va dichiarato inammissibile, per assenza della sintesi, omologa al quesito di diritto, in relazione a vizio di motivazione (al riguardo, tra le altre Cass. 2694 del 2008) di cui all’art. 366 bis c.p.c., abrogato, ma ancora operante per i rapporti pregressi.
Conclusivamente, va rigettato il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 1500 per onorari ed € 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere generalità e dati identificativi, a norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.

Depositata in Cancelleria il 19.10.2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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