Cassazione, sez. II, 12 ottobre 2011, n. 36766 Rolex falsi acquistati on-line e sequestrati in dogana. Ricettazione? Parola alle Sezioni Unite

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

Con sentenza in data 16 giugno 2006, il Tribunale di Bergamo assolse M.F. dal reato di tentata ricettazione (relativa all’acquisto tentato su internet di un orologio con marchio Rolex contraffatto, prodotto in Cina; il plico non perveniva al destinatario perché sequestrato dalla dogana dell’aeroporto di (OMISSIS) ) perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, in quanto depenalizzato dall’art. 1 comma 7 legge n. 80/2005.

Avverso tale pronunzia il Procuratore della Repubblica propose ricorso per cassazione poi convenuto in appello e la Corte d’appello di Brescia, con sentenza in data 25 ottobre 2010, in riforma della decisione di primo grado, dichiarò M.F. responsabile del reato ascrittogli e – concesse le attenuanti generiche, ritenuta l’ipotesi lieve della ricettazione – lo condannò alla pena di mesi 2 di reclusione ed Euro 200,00 di multa.

L’imputato fu altresì condannato al risarcimento dei danni (da liquidarsi in separato giudizio) ed alla rifusione delle spese a favore delle parti civili Rolex S.A. e Rolex Italia S.p.A..

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in quanto, pacifico essendo che l’imputato era acquirente finale dell’orologio, tale condotta sarebbe depenalizzata giacché l’art. 1 comma 7 della legge 14 maggio 2005, n. 80 (in realtà del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con la legge citata) è stato modificato dalla legge 23 luglio 2009, n. 99 che ha tolto l’inciso "salvo che il fatto costituisca reato": avrebbe, perciò, errato la Corte territoriale nel ritenere che sia stata depenalizzata, con riferimento all’acquisto finale di prodotti con marchio contraffatto, l’ipotesi di incauto acquisto e non quella della ricettazione.

E infine, gli elementi posti a base dell’elemento soggettivo proverebbero la sussistenza solo di quello richiesto dalla violazione amministrativa, atteso che dalla pagina internet, scritta in inglese, si poteva desumere che si trattasse di una replica dell’orologio senza che risultasse la contraffazione del marchio registrato, unico tutelato, tanto più che l’imputato ha dichiarato di avere una conoscenza solo scolastica della lingua inglese.

Con note di udienza depositate il 14.9.2011 il difensore della parie civile Rolex S.A. ha sostenuto l’infondatezza del ricorso.

Considerato in diritto

Il ricorso deve essere rimesso alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618 c.p.p..

L’articolo 1, comma 7, del D. L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni nella legge 14 maggio 2005, n. 80, nella prima parte stabiliva: "7. Salvo che il fatto costituisca reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10,000 Euro l’acquisto o l’accettazione, senza averne prima accertata la legittima provenienza, a qualsiasi titolo di cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà intellettuale."

A seguito delle modifiche introdotte dalla legge 23 luglio 2009, n. 99, il testo è stato cosi modificato:

"7. È punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 Euro fino a 7,000 Euro l’acquirente finale che acquista a qualsiasi titolo cose che, perla loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale".

La Corte territoriale ha ritenuto che la soppressione dell’inciso "salvo che il fatto costituisca reato" non esclude la configurabilità del delitto di ricettazione ogni qual volta ne sussistano gli estremi oggettivi e soggettivi, cioè quando l’acquirente sia consapevole della provenienza da delitto del bene acquistato. Ciò in quanto la norma, con la dizione "l’acquirente finale che acquista a qualsiasi titolo cose che, perla loro qualità o perla condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale", è costruita sulla falsariga della disposizione di cui all’articolo 712 c.p..

Quanto sopra premesso, il Collegio osserva che secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, in caso di concorso tra disposizione penale incriminatrice e disposizione amministrativa sanzionatoria in riferimento allo stesso fatto, deve trovare applicazione esclusivamente la disposizione che risulti speciale rispetto all’altra all’esito del confronto tra le rispettive fattispecie astratte. (Cass., Sez. Un., Sentenza n. 1963 del 28.10.2010, dep. 21.1.2011; rv 248722). Ciò posto, va messo in rilievo che secondo una tesi giuridica – sostenuta da alcuni – il testo della fattispecie della violazione amministrativa di cui all’articolo 1, comma 7, del D. L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni nella legge 14 maggio 2005, n. 80, come modificato dalla legge 23 luglio 2009, n. 99, risulterebbe speciale solo rispetto alla disposizione di cui all’articolo 712 c.p., relativa all’acquisto di cose di sospetta provenienza, che stabilisce: "chiunque, senza averne prima accertata la legittima provenienza, acquista o riceve a qualsiasi titolo cose, che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, si abbia motivo di sospettare che provengano da reato, è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda non inferiore a Euro 10".

Infatti, secondo i fautori di tale tesi, l’inciso "acquista a qualsiasi titolo cose che, perla loro qualità o perla condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo" contenuto nella violazione amministrativa sarebbe confrontabile solo con l’ipotesi di cui all’articolo 712 c.p. e non con quella di cui all’articolo 648 c.p., che punisce le condotte di acquisto, ricezione od occultamento di denaro o cose provenienti da qualsiasi delitto al fine di procurare a se o ad altri un ingiusto profitto e con la consapevolezza della provenienze delittuosa.

Per i sostenitori di tale indirizzo, inoltre, se appare certo che la violazione amministrativa citata si ponga in rapporto di specialità rispetto al reato di cui all’articolo 712 c.p., non altrettanto evidente è il rapporto di specialità rispetto al delitto di ricettazione, sia pure nei limiti della fattispecie della violazione amministrativa: e ciò in quanto questa Corte ha affermato che integra il reato di ricettazione la ricezione o l’acquisto, al fine di profitto, di un oggetto con il marchio contraffatto da parte di chi abbia consapevolezza dell’apposizione su di esso di un falso segno distintivo della sua provenienza, atteso che il segno distintivo contraffatto, una volta impresso sul prodotto, si identifica con esso. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 29965 del 24.6.2009 dep. 17.7.2009 rv 244673).

A tale orientamento giuridico se ne oppone, però, un altro di segno diametralmente opposto: e i sostenitori di tale indirizzo osservano che la conseguenza del primo orientamento – adottato dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata – è che residuerebbero soltanto casi di scuola di applicabilità della fattispecie amministrativa: ciò in quanto non è ragionevolmente ipotizzabile che l’acquirente finale di un prodotto con segni falsi, acquistato dai venditori ambulanti, non sia a conoscenza della circostanza che quell’oggetto, proprio "per la qualità del bene, per la condizione di chi lo offre e per l’entità del prezzo" rappresenta il frutto della violazione dell’articolo 474 c.p..

E proprio in base a tale argomentazione, viene prospettata la tesi giuridica che porta a quella interpretazione diversa, secondo cui la violazione amministrativa sarebbe speciale anche con riferimento alle ipotesi di ricettazione, allorché la provenienza delittuosa coincida con l’ipotesi che "siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale".

Tale seconda interpretazione, per il vero, sembrerebbe più aderente alla volontà del legislatore di escludere da sanzioni penali l’acquirente finale dei beni con marchi contraffatti o comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata.

E i sostenitori della stessa osservano, a sostegno della loro tesi, che la similitudine della norma in esame con quella che punisce l’incauto acquisto è solo apparente: e infatti, l’articolo 712 c.p., per descrivere lo stato psicologico dell’acquirente, usa l’inciso "abbia motivo si sospettare", mentre la norma che prevede l’illecito amministrativo utilizza l’espressione "inducano a ritenere"; e tale espressione, con tutta evidenza è idonea ad abbracciare sia le situazioni di mero sospetto che quelle di piena consapevolezza della provenienza illecita del bene oggetto della transazione commerciale.

Poiché le interpretazioni su riferite darebbero sicuramente luogo a contrasti giurisprudenziali in una materia tanto delicata, che potenzialmente coinvolge migliaia di acquirenti di beni con marchi contraffatti, appare opportuno rimettere il ricorso alle Sezioni Unite di questa Corte, al fine di ottenere una decisione che non lasci all’interprete dubbio alcuno.

P.Q.M.

Rimette il ricorso alle Sezioni Unite di queste Corte.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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