Corte Costituzionale, Sentenza n. 329 del 2011, In tema di indennità di frequenza mensile per lo straniero

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 53 del 21-12-2011

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale del "coordinato disposto"
degli articoli 1 della legge 11 ottobre 1990, n. 289 (Modifiche alla
disciplina delle indennita’ di accompagnamento di cui alla legge 21
novembre 1988, n. 508, recante norme integrative in materia di
assistenza economica agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai
sordomuti e istituzione di un’indennita’ di frequenza per i minori
invalidi) e 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – legge finanziaria 2001), promosso dalla Corte d’appello
di Genova nel procedimento vertente tra M.A.S.M., nella qualita’ di
genitore del minore L.M.A.O., e l’Istituto nazionale della previdenza
sociale (INPS) con ordinanza del 3 dicembre 2010, iscritta al n. 53
del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 14, 1ª serie speciale, dell’anno 2011.
Visti gli atti di costituzione di M.A.S.M., nella qualita’ di
genitore del minore L.M.A.O. e dell’INPS;
udito nell’udienza pubblica dell’8 novembre 2011 il Giudice
relatore Paolo Grossi;
uditi gli avvocati Vittorio Angiolini e Gloria Pieri per
M.A.S.M., nella qualita’ di genitore del minore L.M.A.O., e
Clementina Pulli per l’INPS.

Ritenuto in fatto

1. – La Corte d’appello di Genova solleva, in riferimento agli
articoli 2, 3, 32, 34, 38 e 117 della Costituzione, questione di
legittimita’ costituzionale del "coordinato disposto" degli articoli
1 della legge 11 ottobre 1990, n. 289 (Modifiche alla disciplina
delle indennita’ di accompagnamento di cui alla legge 21 novembre
1988, n. 508, recante norme integrative in materia di assistenza
economica agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai sordomuti e
istituzione di un’indennita’ di frequenza per i minori invalidi) e
80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2001), nella parte in cui subordina l’erogazione
dell’indennita’ di frequenza per il cittadino minore extracomunitario
alla titolarita’ della carta di soggiorno.
Premette la Corte rimettente di essere stata investita
dall’appello proposto dalla madre di un minore avverso la decisione
che aveva respinto la richiesta di riconoscimento del beneficio
dell’indennita’ di frequenza di cui alla legge n. 289 del 1990: pur
essendo stata riconosciuta la sussistenza dei requisiti sanitari e
delle altre condizioni previste dalla legge, la provvidenza era stata
tuttavia negata per la mancanza della carta di soggiorno, avendo
l’appellante richiesto il primo permesso di soggiorno nel 2006 e,
percio’, non trovandosi nel territorio nazionale da almeno cinque
anni, come richiesto ai fini del rilascio di quel documento.
Dopo essersi soffermata sulle condizioni del minore cui si
riferisce la domanda negata dal primo giudice per la ragione
anzidetta e aver analizzato natura e funzione della provvidenza in
questione, il giudice rimettente – nello scrutinare la non manifesta
infondatezza della eccezione di legittimita’ costituzionale dedotta
in sede di gravame – ripercorre il panorama della giurisprudenza di
questa Corte, tanto in ordine al sindacato di conformita’ della
normativa interna ai principi della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo, quanto in merito alla portata preclusiva della
disposizione censurata nei confronti dei cittadini extracomunitari.
Rammentati, in particolare, i principi enunciati nelle sentenze n.
348 e n. 349 del 2007 in ordine alla possibilita’ di dedurre la
violazione dell’art. 117 Cost. nell’ipotesi di un contrasto tra la
norma interna e la CEDU, il giudice a quo segnala i precedenti
offerti dalle sentenze n. 306 del 2008, in tema di indennita’ di
accompagnamento, n. 11 del 2009, in tema di pensione di inabilita’ e,
specialmente, n. 187 del 2010, con la quale venne dichiarata la
illegittimita’ costituzionale dell’art. 80, comma 19, qui denunciato,
nella parte in cui subordinava al requisito della titolarita’ della
carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente
soggiornanti nel territorio dello Stato dell’assegno mensile di
invalidita’ di cui all’art. 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118
(Conversione in legge del d.l. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in
favore dei mutilati ed invalidi civili).
Su tale pronuncia la Corte rimettente si sofferma con particolare
attenzione, insistendo sulla analogia tra la provvidenza di cui al
giudizio a quo e quelle di cui alle richiamate pronunce, sotto il
profilo dei requisiti richiesti. A proposito del requisito della
permanenza in Italia, si sottolinea come solo con la legge n. 388 del
2000 siano state introdotte previsioni sensibilmente restrittive nei
confronti dei cittadini extracomunitari: il che non potrebbe
reputarsi consentito, al lume degli orientamenti di questa Corte, ove
la permanenza legale dello straniero non sia episodica ne’ di breve
durata e vengano in discorso limitazioni per il godimento di diritti
fondamentali della persona, riconosciuti, invece, ai cittadini.
Nella specie – sottolinea il giudice a quo – l’appellante ha
presentato domanda volta ad ottenere l’indennita’ di frequenza per il
figlio minore nel 2007 e la sua presenza in Italia – con un primo
permesso di soggiorno rilasciato nel 2003, non nel 2006, come
affermato nella sentenza impugnata – non potrebbe certo ritenersi
episodica o di breve durata. D’altra parte, per un minore bisognevole
di programmi terapeutici e di frequenza della scuola, l’attesa del
compiersi di un periodo di cinque anni di permanenza sul territorio
italiano potrebbe finire per comprimere le esigenze di cura e di
assistenza che l’ordinamento dovrebbe invece tutelare (richiamandosi,
in proposito, anche la sentenza n. 467 del 2002, che estese proprio
l’istituto della indennita’ di frequenza ai bambini che frequentano
gli asilo nido).
Ne conseguirebbe, da un lato, la violazione del principio di
uguaglianza e dei parametri che assicurano la protezione di diritti
primari dell’individuo (quali l’istruzione, art. 34; la salute, art.
32; e l’assistenza sociale, art. 38), nonche’ dei doveri di
solidarieta’ economica e sociale (art. 2); dall’altro lato, la
violazione del dovere di esercitare la potesta’ legislativa nel
rispetto, oltre che della Costituzione, anche dei vincoli derivanti
dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (art.
117), essendosi introdotto un regime discriminatorio nei confronti di
cittadini stranieri incompatibile anche con i principi affermati da
questa Corte. Si richiama, a tal proposito, la Convenzione delle
Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilita’, ratificata
con la legge 3 marzo 2009, n. 18 (Ratifica ed esecuzione della
Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con
disabilita’, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13
dicembre 2006 e istituzione dell’Osservatorio nazionale sulla
condizione delle persone con disabilita’), e richiamata da questa
Corte nella ordinanza n. 285 del 2009, proprio in tema di indennita’
di frequenza.
2. – Ha depositato memoria di costituzione la parte privata del
giudizio a quo, nella qualita’ di genitore del minore cui si
riferisce la richiesta di riconoscimento del beneficio, chiedendo che
la Corte accolga la devoluta questione di legittimita’
costituzionale. Richiamati i termini della controversia, e la
rilevanza della questione, la memoria analizza natura e funzione
dell’indennita’ di frequenza, sottolineando come tale provvidenza sia
destinata ad assicurare la tutela di diritti fondamentali del minore,
alla luce di diffusi rilievi della giurisprudenza costituzionale sul
punto (e segnatamente della sentenza n. 187 del 2010, ampiamente
riprodotta, a sostegno dell’incostituzionalita’, a maggior ragione,
della previsione di requisiti ostativi imposti dalle norme
denunciate). L’equiparazione ai cittadini e la non discriminazione
degli stranieri, il cui regolare soggiorno abbia "carattere non
episodico e di non breve durata", sarebbe, infatti, il principio
cardine cui attenersi, almeno quanto alle specifiche provvidenze
concernenti il godimento dei diritti fondamentali della persona. Nel
non distinguere la specificita’ di ciascuna provvidenza e nel
trascurare il risalto proprio rispetto a questi diritti, le norme
denunciate si porrebbero in contrasto con la Costituzione.
3. – Nel giudizio si e’ costituito l’Istituto nazionale della
previdenza sociale (INPS), chiedendo che la questione sia dichiarata
non fondata. A parere dell’Istituto, non sarebbe sindacabile la
scelta del legislatore di differenziare le prestazioni e di stabilire
che quelle piu’ rilevanti possano essere concesse solo a quegli
stranieri che risiedano in Italia da piu’ tempo e con maggiore
stabilita’, trattandosi, nella specie, non di diritti previdenziali,
ma di provvidenze di natura assistenziale in materia di servizi
sociali. Una tendenza, questa, evidenziata anche dall’art. 20, comma
10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti
per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita’, la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
in tema di requisiti per ottenere l’assegno sociale di cui all’art.
3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema
pensionistico obbligatorio e complementare). Ne’ sussisterebbe
contrasto con l’ordinamento comunitario e con gli obblighi
internazionali, alla stregua dei regolamenti comunitari in materia,
ne’ violazione dei principi della CEDU, posto che la condizione
giuridica dello straniero e’ regolata dall’art. 10, primo comma,
Cost., il quale risulta nella specie rispettato, «in quanto le
diverse prestazioni di assistenza sociale, riconosciute ai possessori
di carta di soggiorno rispetto ai possessori di permesso di
soggiorno, appaiono ispirate al principio di ragionevolezza e di
rispetto della condizione dello straniero». La disciplina censurata,
peraltro, si iscriverebbe in un quadro (legge finanziaria del 2001)
che doveva tenere presenti le risorse finanziarie disponibili a fini
di assistenza sociale e tali da condizionare le stesse provvidenze
anche nei confronti dei cittadini italiani ed equiparati. Quanto,
poi, alla Convenzione ONU sulle persone con disabilita’, la stessa
non richiederebbe ai Paesi di attuare misure al di la’ delle loro
capacita’ economiche, limitandosi a sancire l’obbligo di interventi
volti ad agevolare i disabili nella loro vita di relazione. Nella
specie, la norma censurata non discriminerebbe il disabile straniero
da quello italiano, giacche’ come al disabile cittadino si richiede
una residenza stabile nello Stato, in egual modo si richiede lo
stesso requisito anche allo straniero equiparato.
4. – In una memoria depositata in prossimita’ dell’udienza, la
parte privata ha ribadito la richiesta di accoglimento della
questione, ulteriormente evidenziando come i diritti protetti anche
dalle disposizioni costituzionali evocate a parametro, e dei quali
l’indennita’ di frequenza sarebbe presidio, rientrino tra quelli
fondamentali e inviolabili di cui all’art. 2 Cost.: cio’ varrebbe ad
attestare l’intrinseca limitazione della discrezionalita’
legislativa, come riconosciuto dalle numerose pronunce che hanno
censurato scelte legislative nella materia, escludendo
l’ammissibilita’ di qualsiasi discriminazione tra cittadini e non
cittadini soprattutto quando la misura della protezione risultasse
non ragionevole o non proporzionata. Cio’ che, per l’appunto, si
verificherebbe nella situazione di specie, considerato il carattere
«essenziale», oltre che «urgente» e «indilazionabile», della
provvidenza in discorso, in mancanza della quale «non solo si
toglierebbe l’aiuto proprio a chi e’ in condizione di piu’ acuto
bisogno in ragione dell’essere minore», ma «si pregiudicherebbe […]
l’architettura dell’intero sistema» disegnato dalla relativa
disciplina, anche alla luce della Convenzione ONU sui diritti delle
persone con disabilita’. La disposizione denunciata risulterebbe,
peraltro, «avulsa dal corpo normativo attinente alla immigrazione
extra-comunitaria» e ne disintegrerebbe i «principi portanti»: la
«limitazione particolare» da essa imposta al solo straniero per
l’accesso a una prestazione sociale concernente diritti fondamentali
non si limiterebbe a restringere il campo di applicazione dell’art.
41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero), ma lo eroderebbe «pressoche’
compiutamente». La carta e il permesso di soggiorno, infatti, non
sarebbero affatto «preordinati a dare criteri per la selezione
preclusiva di diritti, soprattutto fondamentali», ma servirebbero,
«ai loro titolari, per accedere, oltre che ad agevolazioni nella
libera circolazione europea e internazionale, a diritti o prestazioni
aggiuntivi rispetto a quelli dovuti a chi sia solo regolarmente o
stabilmente soggiornante come straniero»: e «cio’ che dovrebbe essere
veicolo di accesso a tutele e diritti rafforzati» non potrebbe
tramutarsi, attraverso «un’operazione ulteriormente arbitraria», «nel
suo opposto, e cioe’ nel veicolo di discriminazione ingiustificata
degli stranieri nell’accesso a diritti anche fondamentali».
5. – Anche l’INPS ha poi depositato una memoria illustrativa
nella quale ha segnalato come alla luce dei precedenti di questa
Corte – in particolare, le sentenze n. 306 del 2008 e n. 187 del 2010
– emerga che, mentre si e’ ritenuto irragionevole, ai fini della
concessione del beneficio assistenziale, subordinare il rilascio
della carta di soggiorno (necessaria per la fruizione della
provvidenza) al possesso di un determinato livello di reddito, non
altrettanto sembra si possa dire riguardo al requisito relativo alla
permanenza in Italia per almeno cinque anni, avendo le citate
pronunce fatto riferimento alla necessita’ che la presenza dello
straniero in Italia non abbia carattere «episodico» ne’ sia di «breve
durata». La normativa impugnata si sottrarrebbe, pertanto, a rilievi
di costituzionalita’, avendo il legislatore «correttamente previsto
che l’attribuzione dei benefici assistenziali di natura economica sia
riconosciuta solo agli stranieri che risultino stabilmente inseriti
nel contesto nazionale, cosi’ da poter usufruire degli stessi
vantaggi dei cittadini in ragione del loro assoggettamento agli oneri
– economici e non – ai quali questi ultimi sono soggetti».

Considerato in diritto

1. – La Corte d’appello di Genova solleva, in riferimento agli
articoli 2, 3, 32, 34, 38 e 117 della Costituzione, questione di
legittimita’ costituzionale del "coordinato disposto" degli articoli
1 della legge 11 ottobre 1990, n. 289 (Modifiche alla disciplina
delle indennita’ di accompagnamento di cui alla legge 21 novembre
1988, n. 508, recante norme integrative in materia di assistenza
economica agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai sordomuti e
istituzione di un’indennita’ di frequenza per i minori invalidi) e
80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2001), nella parte in cui subordina l’erogazione
dell’indennita’ di frequenza per il cittadino minore extracomunitario
alla titolarita’ della carta di soggiorno.
Deve precisarsi che la questione, ancorche’ formalmente rivolta,
nella prospettazione del giudice rimettente, al "coordinato disposto"
delle due disposizioni indicate, va propriamente riferita alla norma
di cui all’art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000, in quanto
essa, per l’identificazione della specifica provvidenza economica in
esame, implichi il rinvio all’art. 1 della legge n. 289 del 1990.
Il giudice a quo pone a fulcro delle proprie censure i principi
che questa Corte ha avuto modo di affermare, proprio sul versante
della normativa impugnata, nelle sentenze n. 306 del 2008, in tema di
indennita’ di accompagnamento, n. 11 del 2009, in tema di pensione di
inabilita’, e, specialmente, n. 187 del 2010, con la quale venne
dichiarata la illegittimita’ costituzionale dell’art. 80, comma 19,
qui nuovamente denunciato, nella parte in cui subordinava al
requisito della titolarita’ della carta di soggiorno la concessione
agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato
dell’assegno mensile di invalidita’, di cui all’art. 13 della legge
30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del d.l. 30 gennaio 1971,
n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili), e
successive modificazioni.
Messa in luce l’analogia che e’ dato cogliere tra la provvidenza
di cui al giudizio a quo e quelle di cui alle richiamate pronunce,
sotto il profilo dei requisiti richiesti – provvidenze accomunate, in
particolare, dal fatto di essere misure rivolte a garantire
prestazioni assistenziali a persone afflitte da patologie di vario
genere ed in disagiate condizioni economiche, nella specie acuite
dalla circostanza di dirigersi a persone disabili minorenni – si
osserva che la limitazione connessa ad una presenza nel territorio
dello Stato di un periodo minimo di cinque anni, come richiesto per
la concessione della carta di soggiorno, determinerebbe l’insorgenza
di una nutrita gamma di censure sul piano della relativa
compatibilita’ costituzionale. A parere del giudice rimettente,
infatti, dalla previsione oggetto di impugnativa deriverebbe, da un
lato, la violazione del principio di uguaglianza e dei parametri
costituzionali che assicurano la protezione di diritti primari
dell’individuo (quali l’istruzione, art. 34; la salute, art. 32; e
l’assistenza sociale, art. 38), nonche’ dei doveri di solidarieta’
economica e sociale (art. 2); dall’altro, la violazione del dovere di
esercitare la potesta’ legislativa nel rispetto, oltre che della
Costituzione, anche dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali (art. 117 Cost.),
essendosi introdotto un regime discriminatorio nei confronti di
cittadini stranieri incompatibile pure con i principi affermati da
questa Corte anche in riferimento alla Convenzione delle Nazioni
Unite sui diritti delle persone con disabilita’, ratificata con la
legge 3 marzo 2009, n. 18 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione
delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilita’, con
Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e
istituzione dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle
persone con disabilita’).
2. – Si sono costituiti in giudizio – e hanno poi, in prossimita’
dell’udienza pubblica, depositato memorie illustrative – sia la parte
privata del giudizio a quo, nella qualita’ di genitore del minore
interessato alla provvidenza, sia l’INPS, sviluppando gli argomenti
qui esposti in narrativa.
3. – La questione e’ fondata.
4. – Come ha correttamente posto in evidenza l’ordinanza di
rimessione, la questione rinviene un precedente specifico nei
principi posti a base della sentenza n. 187 del 2010, nella quale si
osservo’ che la provvidenza presa allora in esame, per i requisiti
che ne condizionavano il riconoscimento, rappresentava una erogazione
destinata non gia’ ad integrare il minor reddito in relazione alle
condizioni soggettive e alle diminuite capacita’ di guadagno, ma a
fornire alla persona un minimo di sostentamento: in linea,
evidentemente, con i principi di inderogabile solidarieta’ sociale,
assunti quale valore fondante degli stessi diritti inalienabili
dell’individuo, che non ammettono distinzioni di sorta in dipendenza
di qualsiasi tipo di qualita’ o posizione soggettiva e, dunque, anche
in ragione del diverso status di cittadino o di straniero. La
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – si rilevo’
– ha piu’ volte avuto modo di sottolineare che, ove si versi – come
era nel caso – in tema di provvidenze destinate a far fronte al
sostentamento della persona, qualsiasi distinzione di regime che
venisse introdotta fra cittadini e stranieri regolarmente
soggiornanti nel territorio dello Stato finirebbe per risultare in
contrasto con il principio di non discriminazione sancito dall’art.
14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Pertanto, la
normativa allora oggetto di censura, nell’intervenire direttamente e
restrittivamente sui presupposti di legittimazione al conseguimento
delle provvidenze assistenziali dirette a soddisfare esigenze
fondamentali della persona, fu ritenuta contrastante con i limiti
derivanti dal rispetto degli obblighi internazionali, imposto
dall’art. 117, primo comma, Cost., proprio perche’ introduttiva di un
regime irragionevolmente discriminatorio nei confronti degli
stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, per
quanto attiene al godimento di diritti da riconoscere ed assicurare a
tutti ed in egual misura.
5. – Tali principi valgono, eo magis, con specifico riferimento
all’istituto assistenziale oggetto dell’attuale quesito di
legittimita’ costituzionale, giacche’ dalla disamina dei relativi
presupposti e finalita’ emerge con chiarezza una gamma di esigenze di
tutela della persona ancor piu’ estesa di quella coinvolta dai
diversi – ancorche’ finitimi – beneficii di carattere assistenziale
sin qui scrutinati, sotto lo specifico aspetto della peculiare e
restrittiva disciplina per gli stranieri, introdotta dall’art. 80,
comma 19, della legge n. 388 del 2000.
Come questa Corte ha avuto modo di sottolineare nella richiamata
sentenza n. 187 del 2010, cio’ che assume valore dirimente agli
effetti del sindacato ad essa riservato, non e’ la denominazione o
l’inquadramento formale della singola provvidenza, quanto, piuttosto,
il concreto atteggiarsi di questa nel panorama delle varie misure e
dei beneficii di ordine economico che il legislatore ha predisposto
quali strumenti di ausilio ed assistenza in favore di categorie
"deboli". Per la compatibilita’ costituzionale delle scelte
legislative occorre, infatti, verificare se, «alla luce della
configurazione normativa e della funzione sociale», la misura presa
in considerazione «integri o meno un rimedio destinato a consentire
il concreto soddisfacimento di "bisogni primari" inerenti alla sfera
di tutela della persona umana, che e’ compito della Repubblica
promuovere e salvaguardare…».
In tale quadro di riferimento e’ agevole avvedersi di come il
riconoscimento della indennita’ di frequenza si iscriva nel novero
delle provvidenze, per cosi’ dire, "polifunzionali", giacche’ i
bisogni che attraverso di essa si intendono soddisfare non si
concentrano soltanto sul versante della salute e della connessa
perdita o diminuzione della capacita’ di guadagno, ma, anche, su
quello delle esigenze formative e di assistenza di minori colpiti da
patologie invalidanti e appartenenti a nuclei familiari che versino
in disagiate condizioni economiche.
Stabilisce, infatti, l’art. 1 della legge 11 ottobre 1990, n. 289
che la indennita’ di frequenza – di importo pari all’assegno mensile
riconosciuto agli invalidi civili dall’art. 13 della legge n. 118 del
1971 – viene riconosciuta ai mutilati ed invalidi civili minorenni,
che presentino «difficolta’ persistenti a svolgere i compiti e le
funzioni della propria eta’» o siano portatori di un determinato
grado di ipoacusia, al fine di consentire «il ricorso continuo o
anche periodico a trattamenti riabilitativi o terapeutici a seguito
della loro minorazione». L’indennita’ in questione e’ altresi’
concessa ai mutilati e invalidi civili minorenni, che si trovino
nelle condizioni anzidette, e «che frequentano scuole, pubbliche o
private, di ogni ordine e grado, a partire dalla scuola materna,
nonche’ centri di formazione o di addestramento professionale
finalizzati al reinserimento sociale dei soggetti stessi».
L’indennita’ in questione, infine, e’ erogata alle medesime
condizioni reddituali stabilite per l’assegno mensile di invalidita’
di cui al citato art. 13 della legge n. 118 del 1971, ed e’
assoggettata al medesimo meccanismo di perequazione automatica.
Un quadro di riferimento, dunque, dal quale traspare,
soprattutto, una finalita’ direttamente riconducibile alla
salvaguardia delle esigenze di cura e di assistenza di persone
minorenni portatrici di patologie significative ed invalidanti e,
come tali, direttamente inquadrabili nell’ambito di quegli interventi
di natura solidaristica che l’ordinamento e’ chiamato ad approntare;
e cio’, come e’ ovvio, tanto sul versante specifico della salute, che
su quello del relativo inserimento sociale, con l’attenzione rivolta
a fornire il necessario ausilio, anche economico, per le relative
famiglie, specie nei casi in cui – come i limiti di reddito cui e’
subordinato il beneficio ineluttabilmente attestano – versino in
condizioni disagiate.
Come questa Corte non ha mancato di sottolineare, la tutela della
salute psico-fisica della persona disabile – che costituisce la
finalita’ perseguita dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104
(Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti
delle persone handicappate) – postula anche l’adozione di interventi
economici integrativi di sostegno alle famiglie, il cui ruolo resta
fondamentale (sentenza n. 233 del 2005). Accanto a cio’, assume un
risalto del tutto peculiare, proprio nella prospettiva di agevolare
l’inserimento sociale del minore portatore di infermita’ che ne
ledano la socialita’, la relativa frequenza a centri specializzati
nel trattamento terapeutico e riabilitativo e «nel recupero di
persone portatrici di handicap» ovvero a «centri di formazione o di
addestramento professionale finalizzati al reinserimento sociale dei
soggetti stessi», come recita l’art. 1 della legge n. 289 del 1990.
Il tutto, d’altra parte – come segnalato nella ordinanza n. 285 del
2009 – in linea con i principi affermati anche nella Convenzione
delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilita’,
adottata dalla Assemblea Generale il 13 dicembre 2006 e ratificata
con la legge n. 18 del 2009, ove vengono, fra l’altro, sottolineati,
oltre che l’esigenza di assicurare il pieno rispetto dei diritti
dell’uomo e delle liberta’ fondamentali con particolare riguardo ai
bambini con disabilita’ (art. 7), anche l’impegno a sviluppare le
misure tese a soddisfare le esigenze educative e rieducative dei
soggetti portatori di disabilita’, quelle connesse alla salute e al
lavoro nonche’ quelle tese a garantire un adeguato livello di vita e
di protezione sociale.
Il contesto in cui si iscrive la indennita’ di frequenza e’,
dunque, quanto mai composito e costellato di finalita’ sociali che
coinvolgono beni e valori, tutti, di primario risalto nel quadro dei
diritti fondamentali della persona. Si va, infatti, dalla tutela
della infanzia e della salute alle garanzie che devono essere
assicurate, in situazioni di parita’, ai portatori di handicap,
nonche’ alla salvaguardia di condizioni di vita accettabili per il
contesto familiare in cui il minore disabile si trova inserito,
coinvolgendo al tempo stesso l’esigenza di agevolare il futuro
ingresso del minore nel mondo del lavoro e la partecipazione attiva
alla vita sociale.
Ebbene, a fronte di tutto cio’, il condizionamento che viene
imposto ai fini del riconoscimento del beneficio in questione per i
minori stranieri, pur regolarmente presenti nel territorio dello
Stato, rappresentato dalla titolarita’ della carta di soggiorno,
finisce per determinare, per un periodo minimo di cinque anni –
quello richiesto per il rilascio della carta – una sostanziale
vanificazione, incompatibile non soltanto con le esigenze di
"effettivita’" e di soddisfacimento che i diritti fondamentali
naturalmente presuppongono, ma anche con la stessa specifica funzione
della indennita’ di frequenza, posto che – come ha puntualmente messo
in luce il giudice rimettente – l’attesa del compimento del termine
di cinque anni di permanenza nel territorio nazionale potrebbe
«comprimere sensibilmente le esigenze di cura ed assistenza di
soggetti che l’ordinamento dovrebbe invece tutelare», se non,
addirittura, vanificarle in toto.
La normativa di cui qui si discute risulta, dunque, in contrasto,
non solo con l’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art.
14 della CEDU, per come interpretato dalla Corte di Strasburgo, ma
anche con i restanti parametri evocati dal giudice a quo, posto che
il trattamento irragionevolmente differenziato che essa impone –
basato sulla semplice condizione di straniero regolarmente
soggiornante sul territorio dello Stato, ma non ancora in possesso
dei requisiti di permanenza utili per conseguire la carta di
soggiorno – viola, ad un tempo, il principio di uguaglianza e i
diritti alla istruzione, alla salute ed al lavoro, tanto piu’
gravemente in quanto essi si riferiscano a minori in condizione di
disabilita’.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 80, comma 19,
della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria
2001), nella parte in cui subordina al requisito della titolarita’
della carta di soggiorno la concessione ai minori extracomunitari
legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della indennita’
di frequenza di cui all’art. 1 della legge 11 ottobre 1990, n. 289
(Modifiche alla disciplina delle indennita’ di accompagnamento di cui
alla legge 21 novembre 1988, n. 508, recante norme integrative in
materia di assistenza economica agli invalidi civili, ai ciechi
civili ed ai sordomuti e istituzione di un’indennita’ di frequenza
per i minori invalidi).
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 2011.

Il Presidente: Quaranta

Il redattore: Grossi

Il cancelliere: Melatti

Depositata in cancelleria il 16 dicembre 2011.

Il direttore della cancelleria: Melatti

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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