Corte Costituzionale, Sentenza n. 331 del 2011, In tema di misure cautelari per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina aggravata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 53 del 21-12-2011

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 12, comma
4-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico
delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e
norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma
26, lettera f), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in
materia di sicurezza pubblica), promosso dalla Corte di cassazione
nel procedimento penale a carico di E.S.A.K.M.F. ed altri con
ordinanza del 27 aprile 2011, iscritta al n. 169 del registro
ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2011.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 9 novembre 2011 il Giudice
relatore Giuseppe Frigo.

Ritenuto in fatto

1. – Con ordinanza depositata il 27 aprile 2011, la Corte di
cassazione ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, primo
comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 12, comma 4-bis, del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione
dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 26, lettera f), della
legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza
pubblica), nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono
gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati previsti dal comma 3
del medesimo articolo, e’ applicata la custodia cautelare in carcere,
salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non
sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresi’, l’ipotesi in
cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso
concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere
soddisfatte con altre misure.
La Corte rimettenteriferisce che, con ordinanza del 3 novembre
2010, il Tribunale di Roma, in funzione di giudice distrettuale del
riesame, aveva confermato l’ordinanza di custodia cautelare in
carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di Latina nei confronti di cinque cittadini egiziani, da tempo
residenti Italia. Agli indagati era contestato il delitto di cui
all’art. 12, comma 3, lettere a), b) e d), del d.lgs. n. 286 del
1998, per aver compiuto, tra il 3 e il 4 ottobre 2010, atti diretti a
procurare illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato di
alcuni stranieri, giunti con un peschereccio davanti alla costa di
Borgo Grappa, trasportandoli a terra con un gommone e conducendoli
presso un’abitazione sita in Anzio. Si trattava, cioe’, «della
ipotesi autonoma del reato di favoreggiamento dell’immigrazione
clandestina, aggravata in relazione al numero dei migranti
trasportati, alle condizioni di pericolo in cui si e’ svolto il
trasporto e al numero dei concorrenti nel reato».
Ravvisati, a carico degli indagati, i gravi indizi di
colpevolezza, il Tribunale del riesame rilevava come – non essendo
stati acquisiti elementi dai quali evincere l’insussistenza di
esigenze cautelari – risultasse operante, nella specie, la
presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia carceraria,
stabilita dall’art. 12, comma 4-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, che
privava il giudice di ogni discrezionalita’ nella scelta della misura
cautelare applicabile.
Avverso la decisione proponevano ricorso per cassazione gli
indagati, reiterando l’eccezione di illegittimita’ costituzionale del
citato art. 12, comma 4-bis, gia’ disattesa dal Tribunale. I
ricorrenti formulavano, altresi’, motivi volti a denunciare un
preteso profilo di nullita’ dell’ordinanza impugnata, nonche’ la
carenza di motivazione della medesima in ordine alla sussistenza
delle condizioni di cui agli artt. 273 e 274 del codice di procedura
penale.
Ad avviso della Corte rimettente, mentre i motivi da ultimo
indicati non potrebbero essere accolti, la questione di legittimita’
costituzionale risulterebbe rilevante e non manifestamente infondata.
Quanto alla rilevanza, il giudice a quo osserva come, nei motivi
di ricorso, si sostenga – «non senza fondamento» – che il fatto non
e’ stato commesso nell’ambito di una struttura criminale organizzata
avente caratteristiche di stampo mafioso: circostanza che
emergerebbe, in effetti, dallo stesso provvedimento impugnato, nel
quale si riconosce come «la rudimentale organizzazione delle
attivita’ di collaborazione poste in essere da ciascuno degli
indagati deponga per una condotta episodica e, in sostanza, di non
peculiare gravita’». D’altra parte, fin dall’inizio del procedimento,
lo stesso pubblico ministero aveva ritenuto di dover distinguere la
posizione di almeno uno degli indagati, chiedendo che al medesimo
fosse applicata la misura degli arresti domiciliari: istanza non
accolta dal giudice – che pure, di regola, non puo’ disporre una
misura piu’ afflittiva di quella richiesta dal pubblico ministero –
solo in ragione della previsione limitativa contenuta nella norma
denunciata.
Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo
rileva come questa Corte, con la sentenza n. 265 del 2010, abbia
dichiarato l’illegittimita’ costituzionale, per contrasto con gli
artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, Cost., dell’art. 275,
comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui – nel prevedere che,
quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti
di cui agli artt. 600-bis, primo comma, 609-bis e 609-quater del
codice penale, e’ applicata la custodia cautelare in carcere, salvo
che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono
esigenze cautelari – non fa salva, altresi’, l’ipotesi in cui siano
acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai
quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte
con altre misure.
Ad avviso del giudice a quo, le medesime considerazioni poste a
base di tale pronuncia – sinteticamente ripercorse nell’ordinanza di
rimessione – varrebbero anche in rapporto all’omologa previsione
della norma censurata. In particolare, allo stesso modo dei delitti a
sfondo sessuale oggetto della citata sentenza n. 265 del 2010,
neppure i delitti di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina
potrebbero essere assimilati, sotto il profilo che interessa, ai
delitti di mafia, in rapporto ai quali questa Corte (con l’ordinanza
n. 450 del 1995) ha ritenuto giustificabile la presunzione assoluta
di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere. Il
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – consistente nel
compimento di atti diretti a procurare l’ingresso illegale di
stranieri nel territorio dello Stato – e’, infatti, un delitto che,
pure nelle ipotesi aggravate, puo’ essere compiuto anche
occasionalmente, con condotte individuali fortemente differenziate
tra loro e al di fuori di una struttura criminale organizzata.
In questa prospettiva, la norma censurata violerebbe sia l’art. 3
Cost., sottoponendo irrazionalmente i delitti in questione al
medesimo trattamento cautelare previsto per i delitti di mafia; sia
l’art. 13, primo comma, Cost., introducendo una deroga al regime
ordinario delle misure cautelari privative della liberta’ personale
senza una adeguata ragione giustificatrice; sia, infine, l’art. 27,
secondo comma, Cost., attribuendo alla coercizione processuale tratti
funzionali tipici della pena, in contrasto con la presunzione di non
colpevolezza dell’imputato prima della condanna definitiva.
2. – E’ intervenuto nel giudizio di legittimita’ costituzionale
il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
dichiarata non fondata.
La difesa dello Stato rileva che e’ ben vero che questa Corte,
con la sentenza n. 265 del 2010, ha dichiarato costituzionalmente
illegittima, con riferimento a taluni delitti a sfondo sessuale,
l’analoga disposizione dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.:
declaratoria di illegittimita’ costituzionale successivamente estesa
dalla sentenza n. 164 del 2011 anche al delitto di omicidio
volontario (art. 575 cod. pen.).
In precedenza, tuttavia, la Corte, con l’ordinanza n. 450 del
1995, aveva escluso che la presunzione sancita dal citato art. 275,
comma 3, cod. proc. pen. potesse ritenersi costituzionalmente
illegittima in riferimento ai delitti di mafia, tenuto conto della
specificita’ degli stessi, caratterizzati dalla permanenza e dalla
«vischiosita’» del rapporto del reo con il sodalizio criminoso di
appartenenza. Nell’occasione, la Corte aveva specificamente affermato
che, mentre l’apprezzamento delle esigenze cautelari («l’an della
cautela») deve essere lasciato al giudice, l’individuazione del tipo
di misura cautelare («il quomodo») puo’ bene essere operata, in
termini generali, dal legislatore, nel rispetto della ragionevolezza
della scelta e del corretto bilanciamento dei valori coinvolti.
La giurisprudenza costituzionale avrebbe valutato, quindi,
diversamente le presunzioni di adeguatezza della sola custodia
cautelare, a seconda della natura dei reati e della pericolosita’
sociale degli indiziati.
A questo riguardo, andrebbe tenuto conto del fatto che le citate
sentenze n. 265 del 2010 e n. 164 del 2011 hanno riguardato figure
criminose – quali i reati sessuali e l’omicidio volontario – che,
nella maggior parte dei casi, si pongono al di fuori di un contesto
di criminalita’ organizzata. Di contro, le fattispecie delittuose
previste dall’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998 – se pure
non costituiscono, di per se’, reati a concorso necessario –
colpirebbero condotte poste in essere, nella generalita’ delle
ipotesi concrete, da soggetti inseriti in organizzazioni criminali
stabilmente dedite a promuovere o a favorire l’ingresso clandestino
di cittadini extracomunitari nel territorio dello Stato. Come
comprovato anche dall’esperienza giudiziaria, i reati in discorso
richiederebbero, infatti, una adeguata predisposizione di mezzi e
l’impiego di uomini specificamente «addestrati per il traffico di
esseri umani». Di conseguenza, essi risulterebbero assimilabili piu’
ai delitti di criminalita’ organizzata indicati nell’art. 51, comma
3-bis, cod. proc. pen., che non a quelli oggetto delle richiamate
sentenze n. 265 del 2010 e n. 164 del 2011.
Cosi’ come in rapporto ai delitti di mafia in senso lato, non
potrebbe ritenersi, dunque, irragionevole che il legislatore abbia
individuato nella custodia in carcere l’unica misura idonea a
fronteggiare le esigenze cautelari in rapporto alle figure criminose
di cui si discute. Cio’, sia in considerazione della necessita’ di
interrompere il vincolo che lega il singolo soggetto al gruppo
criminale di appartenenza, obiettivo che le misure cautelari piu’
lievi risulterebbero inidonee a realizzare; sia in ragione dell’«alto
coefficiente di pericolosita’ per la sicurezza collettiva connaturato
alle suddette fattispecie di reato, anche in relazione alla
recrudescenza del fenomeno».

Considerato in diritto

1. – La Corte di cassazione dubita della legittimita’
costituzionale dell’art. 12, comma 4-bis, del decreto legislativo 25
luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 26, lettera f), della legge
15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza
pubblica), nella parte in cui non consente di applicare misure
cautelari diverse e meno afflittive della custodia cautelare in
carcere alla persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza in
ordine a taluno dei delitti di favoreggiamento dell’immigrazione
clandestina, previsti dal comma 3 del medesimo art. 12.
Il giudice a quo reputa estensibili ai procedimenti relativi a
detti reati le ragioni che hanno indotto questa Corte, con la
sentenza n. 265 del 2010, a dichiarare costituzionalmente illegittima
l’analoga presunzione prevista dall’art. 275, comma 3, del codice di
procedura penale in riferimento a taluni delitti a sfondo sessuale
(artt. 600-bis, primo comma, 609-bis e 609-quater del codice penale).
Al pari di tali delitti, neanche le fattispecie di cui all’art.
12, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998 potrebbero essere, infatti,
assimilate, sotto il profilo in esame, ai delitti di mafia,
relativamente ai quali questa Corte ha ritenuto giustificabile la
presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia cautelare in
carcere. Il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina potrebbe
essere infatti realizzato, anche nelle ipotesi aggravate cui la norma
censurata fa riferimento, con condotte profondamente diverse tra
loro, indipendenti da una struttura criminale organizzata, e tali,
dunque, da proporre esigenze cautelari affrontabili anche con misure
diverse dalla custodia carceraria.
La presunzione censurata verrebbe, di conseguenza, a porsi in
contrasto – conformemente a quanto deciso dalla citata sentenza n.
265 del 2010 – con i principi di eguaglianza e di ragionevolezza
(art. 3 Cost.) e di inviolabilita’ della liberta’ personale (art. 13,
primo comma, Cost.), nonche’ con la presunzione di non colpevolezza
(art. 27, secondo comma, Cost.).
2. – La questione e’ fondata.
3. – La norma denunciata assoggetta i reati di favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina da essa considerati a uno speciale e
piu’ severo regime cautelare, omologo a quello prefigurato, in
rapporto a un complesso di altre figure delittuose, dall’art. 275,
comma 3, secondo e terzo periodo, del codice di procedura penale,
come modificato dall’art. 2, comma 1, lettere a) e a-bis), del
decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di
sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonche’ in
tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge
23 aprile 2009, n. 38.
Si tratta di un regime che fa perno su una duplice presunzione:
relativa, quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari; assoluta,
quanto alla scelta della misura, reputando il legislatore adeguata –
ove la presunzione relativa non risulti vinta – unicamente la
custodia cautelare in carcere.
3.1. – Come ricorda il giudice a quo, questa Corte, con la
sentenza n. 265 del 2010, ha gia’ dichiarato costituzionalmente
illegittima la norma del codice di cui quella censurata replica le
cadenze, nella parte in cui configura una presunzione assoluta di
adeguatezza della sola misura carceraria nei confronti degli
indiziati di taluni delitti a sfondo sessuale (induzione o
sfruttamento della prostituzione minorile, violenza sessuale e atti
sessuali con minorenne).
Ad analoghe declaratorie di illegittimita’ costituzionale la
Corte e’ altresi’ pervenuta, successivamente all’ordinanza di
rimessione, nei riguardi della medesima norma, nella parte in cui
rende operante la predetta presunzione assoluta anche nei
procedimenti per i delitti di omicidio volontario (sentenza n. 164
del 2011) e di associazione finalizzata al traffico illecito di
sostanze stupefacenti o psicotrope (sentenza n. 231 del 2011).
3.2. – Nelle decisioni ora citate, questa Corte ha rilevato come,
alla luce dei principi costituzionali di riferimento – segnatamente,
il principio di inviolabilita’ della liberta’ personale (art. 13,
primo comma, Cost.) e la presunzione di non colpevolezza (art. 27,
secondo comma, Cost.) – la disciplina delle misure cautelari debba
essere ispirata al criterio del «minore sacrificio necessario»: la
compressione della liberta’ personale va contenuta, cioe’, entro i
limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari del
caso concreto. Cio’ impegna il legislatore, da una parte, a
strutturare il sistema cautelare secondo il modello della «pluralita’
graduata», predisponendo una gamma di misure alternative, connotate
da differenti gradi di incidenza sulla liberta’ personale;
dall’altra, a prefigurare criteri per scelte «individualizzanti» del
trattamento cautelare, parametrate sulle esigenze configurabili nelle
singole fattispecie concrete. Canoni ai quali non contraddice, la
disciplina generale del codice di procedura penale, basata sulla
tipizzazione di un «ventaglio» di misure di gravita’ crescente (artt.
281-285) e sulla correlata enunciazione del principio di
«adeguatezza» (art. 275, comma 1), al lume del quale il giudice e’
tenuto a scegliere la misura meno afflittiva tra quelle astrattamente
idonee a soddisfare le esigenze cautelari ravvisabili nel caso
concreto e, conseguentemente, a far ricorso alla misura massima (la
custodia cautelare in carcere) solo quando ogni altra misura risulti
inadeguata (art. 275, comma 3, primo periodo).
3.3. – Discostandosi in modo marcato da tale regime, il novellato
art. 275, comma 3, cod. proc. pen. – e, sulla sua falsariga, la norma
oggi sottoposta a scrutinio – sottraggono, per converso, al giudice
ogni potere di scelta, vincolandolo a disporre la misura maggiormente
rigorosa, senza alcuna possibile alternativa, allorche’ la gravita’
indiziaria attenga a determinate fattispecie di reato. Questa
soluzione normativa si traduce in una valutazione legale di idoneita’
della sola custodia carceraria a fronteggiare le esigenze cautelari
(presunte, a loro volta, iuris tantum).
A tale proposito, questa Corte ha, peraltro, ribadito che «le
presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale
della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono
arbitrarie e irrazionali, cioe’ se non rispondono a dati di
esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod
plerumque accidit. In particolare, l’irragionevolezza della
presunzione assoluta si coglie tutte le volte in cui sia agevole
formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione
posta a base della presunzione stessa» (sentenze n. 231 e n. 164 del
2011, n. 265 e n. 139 del 2010).
L’evenienza ora indicata era puntualmente riscontrabile in
rapporto alla presunzione assoluta in questione, nella parte in cui
risultava riferita, tra gli altri, tanto ai delitti a sfondo sessuale
dianzi indicati (sentenza n. 265 del 2010), quanto all’omicidio
volontario (sentenza n. 164 del 2011), quanto, ancora,
all’associazione finalizzata al narcotraffico (sentenza n. 231 del
2011). A tali figure delittuose non poteva, infatti, estendersi la
ratio giustificativa del regime derogatorio gia’ ravvisata dalla
Corte in rapporto ai delitti di mafia (i soli considerati dall’art.
275, comma 3, cod. proc. pen. anteriormente alla novella legislativa
del 2009) (ordinanza n. 450 del 1995): ossia che dalla struttura
stessa della fattispecie e dalle sue connotazioni criminologiche –
legate alla circostanza che l’appartenenza ad associazioni di tipo
mafioso implica un’adesione permanente ad un sodalizio criminoso di
norma fortemente radicato nel territorio, caratterizzato da una fitta
rete di collegamenti personali e dotato di particolare forza
intimidatrice – deriva, nella generalita’ dei casi e secondo una
regola di esperienza sufficientemente condivisa, una esigenza
cautelare alla cui soddisfazione sarebbe adeguata solo la custodia in
carcere (non essendo le misure minori sufficienti a troncare i
rapporti tra l’indiziato e l’ambito delinquenziale di appartenenza,
neutralizzandone la pericolosita’).
Connotazioni analoghe non erano infatti riscontrabili in rapporto
alle figure criminose sopra elencate. Pur nella loro indubbia
gravita’ e riprovevolezza – destinata a pesare opportunamente nella
determinazione della pena inflitta all’autore, quando ne sia
riconosciuta in via definitiva la colpevolezza – i suddetti delitti
abbracciano, infatti, ipotesi concrete marcatamente eterogenee tra
loro e suscettibili soprattutto di proporre, in un numero non
marginale di casi, esigenze cautelari adeguatamente fronteggiabili
con misure diverse e meno afflittive di quella carceraria.
Questa Corte ha ritenuto, quindi, che l’art. 275, comma 3, cod.
proc. pen. violasse, in parte qua, sia l’art. 3 Cost., per
l’ingiustificata parificazione dei procedimenti relativi ai delitti
considerati a quelli concernenti i delitti di mafia, nonche’ per
l’irrazionale assoggettamento a un medesimo regime cautelare delle
diverse ipotesi concrete riconducibili ai relativi paradigmi
punitivi; sia l’art. 13, primo comma, Cost., quale referente
fondamentale del regime ordinario delle misure cautelari privative
della liberta’ personale; sia, infine, l’art. 27, secondo comma,
Cost., per essere attribuiti alla coercizione processuale tratti
funzionali tipici della pena.
4. – Alle medesime conclusioni deve pervenirsi anche in rapporto
alle figure di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, cui il
regime cautelare speciale e’ esteso dal censurato art. 12, comma
4-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998.
Si tratta, in specie, delle ipotesi previste dal comma 3 del
medesimo articolo (oggetto, a sua volta, di profonda modifica ad
opera della legge n. 94 del 2009), nelle quali il fatto di
favoreggiamento – identificato in quello di chi, in violazione del
testo unico sull’immigrazione, «promuove, dirige, organizza, finanzia
o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato
ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso
nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la
persona non e’ cittadina o non ha titolo di residenza permanente» –
viene configurato come fattispecie distinta e piu’ severamente punita
di quella di cui al comma 1, per il concorso di elementi che
accrescono, nella valutazione legislativa, il disvalore
dell’illecito. Tali elementi attengono, alternativamente, al numero
degli stranieri agevolati (lettera a) o dei concorrenti nel reato
(lettera d), prima parte); alle modalita’ del fatto (che espongano a
pericolo la vita o l’incolumita’ del trasportato o lo sottopongano a
trattamento inumano o degradante: lettere b) e c); ai mezzi
utilizzati (servizi internazionali di trasporto o documentazione
alterata, contraffatta o comunque illegalmente ottenuta: lettera d,
seconda parte); alla disponibilita’, infine, di armi o materie
esplodenti da parte degli autori del fatto (lettera e).
Anche in ragione dell’alternativita’ delle ipotesi ora indicate,
la figura delittuosa viene, peraltro, a ricomprendere fattispecie
concrete marcatamente differenziate tra loro, sotto il profilo che
qui rileva.
Il delitto in discorso costituisce, infatti, un reato a
consumazione anticipata, che si perfeziona con il solo compimento di
«atti diretti a procurare» l’ingresso illegale di stranieri «nel
territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona
non e’ cittadina o non ha titolo di residenza permanente». Il verbo
«procurare» conferisce, altresi’, alla fattispecie un’ampia
latitudine applicativa, abbracciando qualunque apporto efficiente e
causalmente orientato a produrre il risultato finale, ivi comprese –
secondo una corrente lettura giurisprudenziale – talune attivita’
immediatamente successive all’arrivo in Italia degli stranieri, che
agevolino l’esito dell’operazione.
Dal paradigma legale tipico esula, in ogni caso, il necessario
collegamento dell’agente con una struttura associativa permanente. Il
reato puo’ bene costituire frutto di iniziativa meramente
individuale: la presenza di un numero di concorrenti pari o superiore
a tre e’, infatti – come accennato – solo una delle ipotesi
alternativamente considerata dalla citata norma. D’altra parte,
quando pure risulti ascrivibile a una pluralita’ di persone, il fatto
puo’ comunque mantenere un carattere puramente episodico od
occasionale e basarsi su una organizzazione rudimentale di mezzi:
evenienza, questa, che – stando a quanto si riferisce nell’ordinanza
di rimessione – si sarebbe, del resto, verificata nel caso oggetto
del giudizio a quo. Cio’, indipendentemente dal rilievo che, secondo
quanto gia’ chiarito da questa Corte in rapporto al delitto di
associazione finalizzata al narcotraffico, neppure la natura
associativa del reato basterebbe, di per se’ sola, a legittimare la
presunzione in parola, ove non accompagnata da una particolare
qualita’ del vincolo fra gli associati, come nell’ipotesi
dell’associazione mafiosa (sentenza n. 231 del 2011).
In sostanza, dunque, le fattispecie criminose cui la presunzione
in esame e’ riferita possono assumere le piu’ disparate connotazioni:
dal fatto ascrivibile ad un sodalizio internazionale, rigidamente
strutturato e dotato di ingenti mezzi, che specula abitualmente sulle
condizioni di bisogno dei migranti, senza farsi scrupolo di esporli a
pericolo di vita; all’illecito commesso una tantum da singoli
individui o gruppi di individui, che agiscono per le piu’ varie
motivazioni, anche semplicemente solidaristiche in rapporto ai loro
particolari legami con i migranti agevolati, essendo il fine di
profitto previsto dalla legge come mera circostanza aggravante (comma
3-bis, lettera b), dell’art. 12 del d.lgs. n. 286 del 1998).
L’eterogeneita’ delle fattispecie concrete riferibili al
paradigma punitivo astratto non consente, dunque, di enucleare una
regola generale, ricollegabile ragionevolmente a tutte le
«connotazioni criminologiche» del fenomeno, secondo la quale la
custodia cautelare in carcere sarebbe l’unico strumento idoneo a
fronteggiare le esigenze cautelari.
La presunzione assoluta censurata non puo’ neppure rinvenire la
sua base di legittimazione costituzionale nella gravita’ astratta del
reato di favoreggiamento dell’immigrazione, ne’ nell’esigenza di
eliminare o ridurre le situazioni di allarme sociale correlate
all’incremento del fenomeno della migrazione clandestina. Va,
infatti, ribadito quanto gia’ affermato al riguardo da questa Corte:
e, cioe’, che la gravita’ astratta del reato, considerata in rapporto
alla misura della pena o alla natura dell’interesse protetto, e’
significativa ai fini della determinazione della sanzione, ma
inidonea a fungere da elemento preclusivo alla verifica del grado
delle esigenze cautelari e all’individuazione della misura
concretamente idonea a farvi fronte; mentre il rimedio all’allarme
sociale causato dal reato non puo’ essere annoverato tra le finalita’
della custodia cautelare, costituendo una funzione istituzionale
della pena, perche’ presuppone la certezza circa il responsabile del
delitto che ha provocato l’allarme (sentenze n. 231 e n. 164 del
2011, n. 265 del 2010).
5. – Cio’ che vulnera i valori costituzionali non e’ la
presunzione in se’, ma il suo carattere assoluto, che implica una
indiscriminata e totale negazione di rilievo al principio del «minore
sacrificio necessario». Di contro, la previsione di una presunzione
solo relativa di adeguatezza della custodia carceraria – atta a
realizzare una semplificazione del procedimento probatorio suggerita
da aspetti ricorrenti del fenomeno criminoso considerato, ma comunque
superabile da elementi di segno contrario – non eccede i limiti di
compatibilita’ costituzionale, rimanendo per tale verso non
censurabile l’apprezzamento legislativo circa la ordinaria
configurabilita’ di esigenze cautelari nel grado piu’ intenso
(sentenze n. 231 e n. 164 del 2011, n. 265 del 2010).
Il comma 4-bis dall’art. 12 del d.lgs. n. 286 del 1998 va
dichiarato, pertanto, costituzionalmente illegittimonella parte in
cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di
colpevolezza in ordine ai reati previsti dal comma 3, e’ applicata la
custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai
quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva,
altresi’, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in
relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze
cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 12, comma
4-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico
delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e
norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma
26, lettera f), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in
materia di sicurezza pubblica), nella parte in cui – nel prevedere
che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai
reati previsti dal comma 3 del medesimo articolo, e’ applicata la
custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai
quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva,
altresi’, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in
relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze
cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 2011.

Il Presidente: Quaranta

Il redattore: Frigo

Il cancelliere: Melatti

Depositata in cancelleria il 16 dicembre 2011.

Il direttore della cancelliere: Melatti

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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