Corte Costituzionale, Sentenza n. 333 del 2011, In tema di insindacabilità parlamentare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 53 del 21-12-2011

Sentenza

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito della deliberazione 16 luglio 2008 (doc. IV-quater,
n. 1), relativa all’insindacabilita’, ai sensi dell’art. 68, primo
comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dall’onorevole
Umberto Bossi nei confronti della dott.ssa Paola Braggion, promosso
dalla Corte di cassazione, terza sezione civile, con ricorso
notificato il 18 dicembre 2009, depositato in cancelleria il 29
dicembre 2009 ed iscritto al n. 7 del registro conflitti tra poteri
dello Stato 2009, fase di merito.
Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;
Udito nell’udienza pubblica del 22 novembre 2011 il Giudice
relatore Giuseppe Frigo;
Udito l’avvocato Beniamino Caravita di Toritto per la Camera dei
deputati.

Ritenuto in fatto

1. – Con provvedimento qualificato come «ordinanza
interlocutoria» del 27 marzo 2009, la Corte di cassazione, terza
sezione civile, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri
dello Stato nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla
delibera adottata il 16 luglio 2008 (doc. IV-quater, n. 1), con la
quale e’ stato dichiarato che i fatti, per i quali e’ in corso il
procedimento civile per risarcimento dei danni promosso dalla
dott.ssa Paola Braggion nei confronti del deputato Umberto Bossi,
riguardano opinioni espresse da quest’ultimo nell’esercizio delle sue
funzioni parlamentari e sono, quindi, insindacabili ai sensi
dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.
La Corte ricorrente riferisce che, con citazioni notificate il 21
e 23 giugno 2003, la dott.ssa Braggion aveva convenuto in giudizio
l’on. Bossi davanti al Tribunale di Brescia, proponendo nei suoi
confronti domanda di condanna al risarcimento dei danni e alla
riparazione pecuniaria prevista dall’art. 12 della legge 8 febbraio
1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa).
A fondamento delle proprie richieste, l’attrice aveva posto i
seguenti fatti. Con sentenza del 23 maggio 2001, essa dott.ssa
Braggion, quale giudice del Tribunale penale di Como, sezione
distaccata di Cantu’, aveva dichiarato l’on. Bossi colpevole del
delitto di vilipendio alla bandiera nazionale, condannandolo alla
pena di un anno e quattro mesi di reclusione. Nei giorni successivi,
l’on. Bossi aveva reso alla stampa dichiarazioni ritenute
dall’attrice lesive della propria reputazione, accusandola di
strumentalizzare il proprio ufficio per incidere sulla competizione
politica, di approfittare di un processo politico per ricavarne
visibilita’ e di utilizzare «relitti giuridici», con perdita di tempo
e «furto dello stipendio». Tali dichiarazioni erano apparse su vari
quotidiani: in particolare, «La Repubblica», «Il Giorno», «Il
Corriere di Como», «Libero», «La Provincia di Como», «Il Giornale»,
«La Stampa» e «La Padania».
La domanda veniva respinta dall’adito Tribunale con sentenza del
24 maggio 2004, sul rilievo che le opinioni in questione costituivano
manifestazione di critica politica connessa alla funzione
parlamentare, coperta dall’immunita’ di cui agli artt. 68, primo
comma, Cost. e 3 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per
l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonche’ in materia
di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato).
La pronuncia veniva impugnata dalla dott.ssa Braggion.
Nelle more, il Parlamento europeo, con deliberazioni del 22
maggio 2004, approvava la relazione A5-0281/2004, contenente la
raccomandazione a difendere l’immunita’ dell’on. Bossi – membro anche
di quel Consesso, all’epoca dei fatti – con riferimento alle
dichiarazioni pubblicate su quotidiani diversi da «La Padania»;
mentre disattendeva l’analoga proposta formulata nella relazione
A5-0282/2004, in rapporto alle dichiarazioni apparse sul predetto
giornale.
Ritenendo la prima deliberazione vincolante, la Corte di appello
di Brescia, con sentenza del 27 febbraio 2008, rigettava la domanda
della dott.ssa Braggion per la parte corrispondente e la accoglieva,
invece, in relazione alle dichiarazioni riportate da «La Padania» –
che non riteneva riconducibili alle attivita’ protette dall’art. 68,
primo comma, Cost. – condannando, quindi, per esse, l’on. Bossi al
risarcimento del danno cosiddetto morale.
Avverso la sentenza l’on. Bossi proponeva ricorso per cassazione,
basato su due motivi, cui resisteva la dott.ssa Braggion, proponendo,
a propria volta, ricorso incidentale, inteso a contestare, con i
primi tre motivi, la statuizione di rigetto della domanda quanto alle
dichiarazioni pubblicate da testate giornalistiche diverse da «La
Padania» e, con il quarto, il mancato esame della domanda, riproposta
in appello, relativa alla riparazione pecuniaria prevista dall’art.
12 della legge n. 47 del 1948.
Nel frattempo, la Camera dei deputati adottava la delibera del 16
luglio 2008, oggetto dell’odierna impugnazione, con la quale –
accogliendo la proposta adottata a maggioranza dalla Giunta per le
autorizzazioni a procedere – dichiarava che i fatti per i quali e’ in
corso il giudizio concernevano opinioni espresse dall’on. Bossi
nell’esercizio delle funzioni parlamentari, con conseguente loro
insindacabilita’ ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost.
Cio’ premesso, la Corte di cassazione osserva che la delibera di
insindacabilita’ e’ intervenuta in pendenza del termine nel quale
entrambe le parti potevano impugnare la sentenza di appello, nei capi
per ciascuna di esse sfavorevoli, ed e’ stata trasmessa l’11 agosto
2008, prima che fosse stato assunto un qualsiasi provvedimento. Detta
deliberazione inciderebbe, inoltre, non soltanto sul capo della
sentenza di appello di accoglimento della domanda risarcitoria,
impugnato con il ricorso principale dell’on. Bossi, ma anche sul
quarto motivo del ricorso incidentale della dott.ssa Braggion, con il
quale si lamenta che il giudice di appello non abbia pronunciato,
anche in relazione alle dichiarazioni pubblicate su «La Padania», la
condanna alla riparazione pecuniaria prevista dall’art. 12 della
legge sulla stampa. In conseguenza di cio’, la ricorrente «non
ritiene […] di poter affrontare», allo stato, l’eccezione,
preliminarmente sollevata dalla dott.ssa Braggion, di
inammissibilita’ del ricorso principale, in quanto i due motivi su
cui esso si fonda non sarebbero seguiti da un quesito di diritto, in
conformita’ a quanto previsto dall’art. 366-bis del codice di
procedura civile (allora vigente).
La Corte ricorrente reputa, per altro verso, che non sia chiaro
se la delibera di insindacabilita’ impugnata attenga alle sole
dichiarazioni rese dall’on. Bossi al giornale «La Padania», per
essere le altre gia’ «coperte» dall’analoga presa di posizione del
Parlamento europeo, o se riguardi, invece, anche le dichiarazioni
pubblicate da altri quotidiani, esse pure ancora oggetto di giudizio.
Ad avviso della ricorrente, risulterebbe, peraltro, preferibile
questa seconda e piu’ ampia lettura (che impedirebbe di esaminare
anche i primi tre motivi del ricorso incidentale). Dovrebbe
ritenersi, infatti, dirimente – rispetto alle contrarie indicazioni
pure ricavabili dalla relazione della Giunta per le autorizzazioni –
la circostanza che l’Assemblea sia stata comunque chiamata, in
termini generali, ad esprimersi sui «fatti per i quali e’ in corso il
procedimento di cui al Doc. IV-quater, n. 1» nei confronti dell’on.
Bossi: procedimento che – a fronte del mancato passaggio in giudicato
della sentenza di secondo grado – investe anche le dichiarazioni
riportate da quotidiani diversi da «La Padania».
Su tale presupposto, la Corte ricorrente propone, quindi, in via
principale, conflitto di attribuzione nei confronti della delibera di
insindacabilita’, intesa come riferita a tutte le dichiarazioni
oggetto del giudizio civile. In subordine, e per l’ipotesi in cui si
dovesse, invece, optare per una interpretazione di segno restrittivo,
solleva conflitto nei confronti della medesima deliberazione, intesa
come attinente alle sole dichiarazioni riportate su «La Padania».
Quanto a tali ultime dichiarazioni, la Corte rileva come il
quotidiano «La Padania» del 24 maggio 2001, sotto il titolo «La
sinistra ordina: Bossi in galera» – dopo aver premesso che
«L’onorevole Umberto Bossi e’ stato condannato a un anno e quattro
mesi di reclusione (pena sospesa) per vilipendio alla bandiera, in
seguito alle parole pronunciate nel luglio ’97 in un comizio nel
comasco» – riportasse dichiarazioni dello stesso on. Bossi del
seguente tenore: «E’ un attacco al governo […] ed e’ incivile che
un magistrato perda il tempo, pagato dai contribuenti, per fare un
processo basato su reati di opinione e il codice Rocco […] il Paese
ha voltato pagina, c’e’ una nuova maggioranza e un governo, la
giustizia e’ un obiettivo disastro, eppure una certa magistratura non
perde l’attitudine di occuparsi di politica in momenti "particolari".
Intanto l’84 per cento dei reati (compresi scippi, rapine, furti e
omicidi) rimane impunito. C’e’ solo da ridere di fronte a queste
notizie, per non mettersi a piangere».
In un successivo articolo, pubblicato il 25 maggio 2001 dal
medesimo quotidiano, si affermava, altresi’: «Il carroccio si
mobilita dopo la condanna al segretario federale. Basta coi giudici
del codice Rocco. La condanna a un anno e quattro mesi a Umberto
Bossi per vilipendio alla bandiera e’ un altro esempio di giustizia
politica contro la Lega. Non e’ possibile che due magistrati in cerca
di pubblicita’ (il PM Claudio Galoppi e il giudice Paola Braggion)
possono ricorrere alle norme fasciste del codice Rocco per colpire
deliberatamente la liberta’ di espressione – cosi’ reagisce ancora il
segretario federale -. Intervenga il Consiglio Superiore della
Magistratura e si decida a sanzionare quei magistrati che continuano
ad usare norme fasciste sui reati di opinione, norme gia’ cancellate
nella coscienza democratica del popolo. E’ passato quasi un secolo
dal codice Rocco, il regime fascista e’ stato sconfitto, e’ tornata
la democrazia eppure c’e’ chi ancora usa questi relitti giuridici per
scegliere e colpire gli avversari politici della sinistra. Uno
scandalo intollerabile».
Al riguardo, la ricorrente rileva come, in ordine
all’applicabilita’ della guarentigia offerta dall’art. 68, primo
comma, Cost. ad opinioni espresse dal membro del Parlamento extra
moenia, la giurisprudenza costituzionale abbia da tempo adottato il
criterio del nesso funzionale con l’attivita’ parlamentare: criterio
che postula il concorso di un legame temporale tra quest’ultima e
l’attivita’ esterna e di un elemento contenutistico, rappresentato
dalla sostanziale corrispondenza di significato tra le opinioni
espresse nell’esercizio di funzioni parlamentari e le dichiarazioni
esterne.
Nella specie, non ricorrerebbe ne’ l’uno ne’ l’altro requisito.
L’attivita’ parlamentare rilevante e’ stata, infatti, individuata
dalla relazione della Giunta per le autorizzazioni nella battaglia
parlamentare per il federalismo amministrativo e fiscale, condotta
dalla Lega Nord gia’ nel corso della XIIIa legislatura, nonche’ nella
sua opposizione al disegno di legge sull’esposizione della bandiera,
poi divenuto la legge 5 febbraio 1998, n. 22 (Disposizioni generali
sull’uso della bandiera della e di quella dell’Unione europea). In
sede di discussione sulla proposta di insindacabilita’, si e’ fatto
riferimento, altresi’, alle reiterate critiche espresse dall’on.
Bossi nei confronti della magistratura, con riferimento agli
specifici fatti oggetto del giudizio.
Mancherebbe, tuttavia, il legame temporale, giacche’ le
espressioni esterne risulterebbero di alcuni anni successive alle
posizioni manifestate in ambito parlamentare. Ma non sussisterebbe
neppure la sostanziale corrispondenza di significato tra le
espressioni esterne e tali posizioni – comunque evocate senza
individuare specifici atti di esercizio della funzione – essendo
ravvisabile, al piu’, una mera comunanza di contesto politico. Il
«fulcro» della reazione dell’on. Bossi alla condanna inflittagli
starebbe, infatti, nell’accusa rivolta al magistrato, da un lato, di
aver voluto «mettersi in mostra»; dall’altro, «d’essersi fatto
strumento di una sorta di messa in discussione della vittoria
elettorale conseguita anche dalla Lega, dando cosi’ dimostrazione
[…] di propensione a far impiego di strumenti giuridici, anche
obsoleti, per fini politici».
Le medesime considerazioni varrebbero, secondo la ricorrente,
anche in rapporto alle dichiarazioni – di tenore complessivamente
equivalente – pubblicate su altri quotidiani del 24 maggio 2001 e
parimenti riprodotte nel ricorso.
2. – Il conflitto e’ stato dichiarato ammissibile con ordinanza
n. 332 del 2009.
3. – Si e’ costituita la Camera dei deputati, chiedendo che il
ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato.
In via preliminare, la Camera eccepisce l’inammissibilita’ del
ricorso per indeterminatezza e genericita’ del suo oggetto. La
ricorrente avrebbe, infatti, impugnato alternativamente la delibera
di insindacabilita’ in due diversi significati – ossia come riferita
a tutte le dichiarazioni dell’on. Bossi, ovvero soltanto a quelle
riportate sul quotidiano «La Padania» – venendo meno, con cio’,
all’onere di esatta identificazione della materia del conflitto.
Quanto al merito – premesso che, alla luce delle inequivoche
affermazioni del relatore in Assemblea, on. Gava, la delibera
impugnata riguarderebbe, in realta’, le sole dichiarazioni rilasciate
al quotidiano «La Padania» – la difesa della Camera dei deputati
assume che tali dichiarazioni costituirebbero legittima espressione
di critica politica nei confronti della permanenza, all’interno del
nostro sistema giuridico, dei reati di opinione e, in particolare,
dei reati di vilipendio. Esse si iscriverebbero, in specie, nel
quadro della battaglia politica condotta dalla Lega Nord – formazione
della quale l’on. Bossi e’ sempre stato il «leader indiscusso» – per
l’abolizione di detti reati, in quanto contrastanti con la liberta’
di pensiero e suscettibili di utilizzazioni strumentali da parte di
una magistratura «politicizzata»: battaglia che ha trovato concreta
eco nella legge di riforma 24 febbraio 2006, n. 85 (Modifiche al
codice penale in materia di reati di opinione), della quale la Lega
Nord e’ stata la principale promotrice.
In tale cornice, le dichiarazioni in questione rientrerebbero,
piu’ specificamente, nell’ambito di operativita’ della garanzia
accordata dall’art. 68, primo comma, Cost., in quanto avvinte da
nesso funzionale con l’attivita’ parlamentare tipica svolta dall’on.
Bossi, nella quale sarebbe parimenti riscontrabile una chiara linea
politica, volta, da un lato, a contestare aspramente la permanenza
nell’ordinamento di reati di opinione di matrice autoritaria e,
dunque, antidemocratici; dall’altro, ad accusare in modo altrettanto
aspro la magistratura di aver «utilizzato» detti reati per fini
meramente politici e, in particolare, per osteggiare l’azione della
Lega Nord.
A tale riguardo, la difesa della Camera evoca, in particolare,
l’intervento effettuato nella seduta del 2 agosto 1995, nel corso del
quale l’on. Bossi aveva affermato che «il Codice Rocco, cardine di
tutti i processi celebrati dal tribunale speciale per la difesa dello
Stato fascista, non e’ evidentemente lo strumento idoneo per uno
Stato democratico»: cio’, in sostanziale assonanza con le successive
dichiarazioni oggi in discussione, nelle quali si evidenzia come i
reati di opinione siano anacronistici rispetto alla forma democratica
dello Stato.
Nel corso di altro intervento, effettuato nella seduta del 9
aprile 1997, l’on. Bossi – riferendosi all’allora Presidente del
Consiglio, on. Prodi – aveva altresi’ affermato che «lo davano per
uscito di mente con la sua magistratura intenta a sfogliare il codice
Rocco», avendo riguardo alla propensione della magistratura ad
avvalersi di figure criminose ormai obsolete per avversare l’azione
politica della Lega Nord.
Con ancora maggiore chiarezza, nella successiva seduta 11 aprile
1997, l’on. Bossi aveva, poi, dichiarato: «vedo la magistratura
attaccare gli uomini della Lega, vedo tutte le cose che fate […]
Abbiamo magistrati che ricorrono ai reati di opinione, al Codice
Rocco, contro i cittadini della Padania».
Nella seduta del 28 aprile 2000, l’on. Bossi aveva osservato,
infine, come l’azione del Governo fosse «erede della scelta ulivista
di consegnare la Lega e il cambiamento incarnato in essa nelle mani
della magistratura, del Codice Rocco, del nazionalismo efferato
brandito proprio mentre la globalizzazione ha messo in crisi
irreversibile lo Stato nazionale».
Dall’insieme delle dichiarazioni ora ricordate emergerebbe,
dunque, come il rapporto tra magistratura e politica sia stato
l’argomento centrale all’interno del dibattito politico svolto
dall’on. Bossi: valendo esemplarmente, sul punto, l’intervento
effettuato nella seduta del 22 luglio 1998, con il quale egli aveva
disapprovato l’operato di quei magistrati che sembravano piu’
interessati alle vicende politiche che non alla gestione della
giustizia, in sintonia con quanto riportato anche nelle interviste a
«La Padania», oggetto del conflitto.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte ricorrente,
sussisterebbe, quindi, una sostanziale identita’ di contenuti – e,
talora, anche di espressioni – tra le dichiarazioni extra moenia e le
opinioni manifestate dall’on. Bossi in sede parlamentare.
Quanto, poi, al legame temporale, la difesa della Camera rimarca
come, alla luce della giurisprudenza costituzionale, l’esistenza del
suddetto requisito debba essere riscontrata non su un metro puramente
«quantitativo», ma sulla base di un criterio oggettivo, ancorato alla
persistente attualita’ del tema oggetto delle dichiarazioni. Nella
specie, la distanza temporale tra l’ultimo degli atti tipici citati
(l’intervento parlamentare del 28 aprile 2000) e le interviste in
contestazione (rilasciate il 24 e 25 maggio 2001) non sarebbe, gia’
di per se’, piu’ ampio di quello che, in altri casi, la Corte ha
ritenuto non ostativo alla configurabilita’ del «nesso funzionale».
Ma, soprattutto, esso troverebbe giustificazione nella sentenza di
condanna di primo grado, intervenuta il 23 maggio 2001: l’interesse
divulgativo del parlamentare, volto a denunciare l’uso politico che
una parte della magistratura avrebbe fatto di figure di reato ormai
«obsolete», nascerebbe proprio a seguito della sentenza che ha
condannato l’on. Bossi per quel tipo di reati.
Da ultimo, la difesa della Camera rileva che qualora, in
contrasto con quanto da essa sostenuto, si ritenesse che la delibera
impugnata attenga anche alle dichiarazioni riportate su quotidiani
diversi da «La Padania», il ricorso risulterebbe infondato anche
rispetto ad esse, per ragioni analoghe a quelle dianzi riassunte.
4. – La Camera dei deputati ha depositato due memorie
illustrative, con le quali – oltre a ribadire e sviluppare le
precedenti difese – ha eccepito l’inammissibilita’ del ricorso sotto
l’ulteriore profilo dell’omessa valutazione, da parte del giudice
ricorrente, della reale natura offensiva delle dichiarazioni delle
quali si discute: valutazione da ritenere necessaria al fine di
evitare che il conflitto di attribuzioni si traduca «in una mera
vindicatio potestatis del tutto astratta e priva di qualsivoglia
utilita’ e rilevanza ai fini della decisione del processo», nonche’,
al tempo stesso, quale strumento per ridurre il «volume» dei
conflitti sottoposti al vaglio di questa Corte.

Considerato in diritto

1. – La Corte di cassazione, terza sezione civile, ha sollevato
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della
Camera dei deputati, contestando che spettasse ad essa deliberare,
nella seduta del 16 luglio 2008 (doc. IV-quater, n. 1), che i fatti,
per i quali e’ in corso il procedimento civile per risarcimento dei
danni promosso dalla dott.ssa Paola Braggion nei confronti del
deputato Umberto Bossi, riguardano opinioni espresse da quest’ultimo
nell’esercizio delle funzioni parlamentari, con conseguente loro
insindacabilita’ ai sensi dell’art. 68, primo comma, della
Costituzione.
2. – Deve essere preliminarmente ribadita l’ammissibilita’ del
conflitto, sussistendone i presupposti soggettivi e oggettivi, come
gia’ ritenuto da questa Corte con l’ordinanza n. 332 del 2009.
3. – Al riguardo, va disattesa, altresi’, l’eccezione di
inammissibilita’ del conflitto per indeterminatezza e genericita’ del
suo oggetto, formulata dalla difesa della Camera dei deputati.
La Corte ricorrente – dopo aver rilevato come la delibera
impugnata si presti, per tal verso, a interpretazioni contrastanti –
ha, infatti, optato – motivandola – per una sua lettura in termini di
ampia comprensivita’, alla stregua della quale l’affermazione di
insindacabilita’ investirebbe l’intero complesso delle dichiarazioni
per le quali l’on. Bossi e’ stato convenuto in giudizio. Su tale
premessa, la ricorrente ha quindi contestato, in via principale, la
sussistenza del nesso funzionale in rapporto alla generalita’ delle
dichiarazioni oggetto del procedimento civile in corso. In subordine,
e per l’eventualita’ in cui questa Corte dovesse invece optare per
una interpretazione di segno restrittivo, ha limitato la
contestazione alle sole dichiarazioni riprodotte sul quotidiano «La
Padania». Trattandosi di prospettazione subordinata, e non gia’
alternativa, non vi e’, dunque, alcuna oscurita’ o ambiguita’ nella
individuazione del thema decidendum.
4. – Parimenti infondata e’ l’ulteriore eccezione, sollevata
dalla difesa della Camera dei deputati nella seconda memoria
illustrativa, di inammissibilita’ del ricorso per omessa verifica
preventiva, da parte del giudice ricorrente, del carattere offensivo
delle dichiarazioni dell’on. Bossi.
L’ipotizzato onere di anticipazione degli esiti del giudizio da
cui il conflitto trae origine – privo di riscontri nella
giurisprudenza di questa Corte in materia, come la stessa resistente
riconosce – si pone, a tacer d’altro, in contrasto con l’effetto
inibente che, alla luce della disciplina recata dall’art. 3 della
legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione
dell’articolo 68 della Costituzione nonche’ in materia di processi
penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), la delibera di
insindacabilita’ produce sulle attivita’ giurisdizionali. Impugnando
detta delibera, il giudice mira propriamente a "riappropriarsi" del
potere (pieno) di giudicare – in un senso o nell’altro – sul merito
della domanda, al quale attiene la valutazione della reale lesivita’
delle esternazioni (valutazione che potrebbe, tra l’altro, richiedere
– segnatamente quando venga in rilievo il diritto di critica o di
cronaca e si verta nell’ambito di giudizi di merito – opportuni
approfondimenti istruttori).
5. – Nel merito, questa Corte deve prendere in esame, non la
richiesta principale della ricorrente, ma quella subordinata: cio’,
in quanto la delibera impugnata risulta, in realta’, riferibile alle
sole interviste rilasciate al quotidiano «La Padania», come sostenuto
anche dalla difesa della Camera.
A sostegno della prospettata lettura estensiva, la ricorrente
adduce la circostanza che – a prescindere dalle contrastanti
affermazioni contenute nella relazione della Giunta per le
autorizzazioni – l’Assemblea sarebbe stata comunque chiamata, in
termini generali, ad esprimersi sulla insindacabilita’ dei «fatti per
i quali e’ in corso il procedimento civile di cui al Doc. IV-quater,
n. 1» (la ricorrente sembra fare riferimento, con cio’,
all’enunciazione dell’oggetto della deliberazione operata dal
Presidente dell’Assemblea in apertura di dibattito).
Tale argomento risulta, peraltro, soverchiato da un complesso di
indicazioni di segno contrario, emergenti non soltanto dalla
relazione della Giunta per le autorizzazioni, ma anche
dall’illustrazione della proposta fatta in aula del relatore, on.
Gava. Nella prima si afferma, infatti, espressamente che, a seguito
della presa di posizione del Parlamento europeo, che aveva
riconosciuto all’on. Bossi la garanzia dell’immunita’ in rapporto
alle dichiarazioni a quotidiani diversi da «La Padania», tale insieme
di dichiarazioni «non rientra[va] piu’ nell’oggetto della
deliberazione della Camera». In ambedue le sedi viene, d’altra parte,
puntualizzato che la proposta formulata all’Assemblea riguardava le
sole dichiarazioni oggetto dell’«intervenuta condanna» in sede civile
(quella emessa nei confronti dell’on. Bossi dalla Corte d’appello di
Brescia, attinente, per l’appunto, unicamente alle interviste a «La
Padania»).
6. – Nei termini ora indicati, il ricorso e’ fondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, per la
configurabilita’ di un nesso funzionale tra le dichiarazioni rese
extra moenia da un parlamentare e l’espletamento delle sue funzioni
di membro del Parlamento – al quale e’ subordinata la prerogativa
dell’insindacabilita’, di cui all’art. 68, primo comma, Cost. – e’
necessario che tali dichiarazioni possano rappresentare l’espressione
dell’esercizio di attivita’ parlamentare (tra le molte, sentenze n.
98 del 2011, n. 301 del 2010, n. 420 e n. 410 del 2008).
Nella specie, la relazione della Giunta per le autorizzazioni non
ha indicato alcuno specifico atto parlamentare, compiuto dal medesimo
deputato, al quale, per il suo contenuto, possano essere riferite le
opinioni oggetto di conflitto.
Nell’ambito del presente giudizio, la difesa della Camera dei
deputati ha invece richiamato, come atti tipici cui le dichiarazioni
esterne si connetterebbero, cinque interventi effettuati dall’on.
Bossi nell’ambito di dibattiti in Assemblea, negli anni tra il 1995 e
il 2000.
A prescindere dallo iato temporale che separa detti interventi
dalle esternazioni di cui si discute (pubblicate il 24 e 25 maggio
2001), deve ritenersi, peraltro, carente il requisito della
sostanziale identita’ di contenuti, al di la’ delle formule letterali
usate, tra le opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni e le
dichiarazioni esterne: requisito che, per consolidata giurisprudenza
di questa Corte, condiziona la riconoscibilita’ del nesso funzionale,
non potendo ritenersi sufficiente, a tal fine, ne’ una mera comunanza
di argomenti, ne’ un mero «contesto politico» cui entrambe possano
riferirsi (ex plurimis, sentenze n. 81 del 2011, n. 420 e n. 410 del
2008, n. 152 del 2007 e n. 258 del 2006).
Gli interventi evocati dalla difesa della Camera si traducono,
infatti, per la parte che interessa, in generici accenni al carattere
antidemocratico del «codice Rocco» e ad un suo uso strumentale da
parte della magistratura. Solo nell’intervento dell’11 aprile 1997 si
rinviene un riferimento ai reati di opinione, peraltro sempre a
carattere generale («vedo la magistratura attaccare gli uomini della
Lega, vedo tutte le cose che fate […] Abbiamo magistrati che
ricorrono ai reati di opinione, al Codice Rocco, contro i cittadini
della Padania»).
Nelle interviste in discussione, per converso, si formulano
specifiche censure all’operato della dott.ssa Braggion, in rapporto
alla condanna per vilipendio alla bandiera nazionale pronunciata nei
confronti dello stesso on. Bossi. Le si rimprovera, in particolare,
di essere andata «in cerca di pubblicita’», perdendo il proprio
tempo, pagata dai contribuenti, per celebrare un processo basato
sulle «norme fasciste sui reati di opinione», mentre la gran parte
dei reati rimane impunita, e di aver strumentalizzato, altresi’, il
proprio ufficio per finalita’ politiche, valendosi di «relitti
giuridici» per un «attacco al governo» e per «colpire gli avversari
politici della sinistra» in un momento «particolare», ossia dopo
l’esito delle ultime elezioni, dalle quali essi erano usciti
vincitori.
Al riguardo, questa Corte ha gia’ avuto modo di precisare come
debba escludersi la corrispondenza contenutistica – necessaria
affinche’ possa riconoscersi alle dichiarazioni extra moenia
carattere divulgativo dell’attivita’ parlamentare – quando gli atti
tipici esprimano critiche generali alla magistratura, o a una sua
corrente, mentre le dichiarazioni esterne censurino l’operato di
singoli magistrati in rapporto a specifici episodi (da ultimo,
sentenze n. 97 e n. 81 del 2011). In simili frangenti – e, dunque,
anche nel caso in esame, nel quale vengono prospettate, altresi’, con
le dichiarazioni esterne, particolari finalita’ distorsive della
funzione giudicante – puo’ ravvisarsi, al piu’, una semplice
comunanza di tematiche o di «contesto politico», insufficiente, per
quanto detto, a radicare il nesso funzionale.
7. – Si deve, di conseguenza, concludere che la delibera della
Camera dei deputati e’ stata adottata in violazione dell’art. 68,
primo comma, Cost., ledendo le attribuzioni dell’autorita’
giudiziaria ricorrente, e deve essere, pertanto, annullata.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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