Corte di Cassazione – Sentenza n. 28649 del 2011

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Sul ricorso proposto da G. D., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv. P. M. e G. C., elettivamente domiciliato nel loro studio in Roma, via (…)
– ricorrente –
contro
REGIONE AUTONOMA DELLA VALLE D’AOSTA, rappresentata e difesa, per legge, dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliata in Roma, via
dei Portoqhesi, n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza del Tribunale di Chieti n. 283 del 24 maggio 2005.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 28 novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. G.;

udito l’Avv. P. M.;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. C. S., che ha
concluso per il rigetto del ricorso.

Ritenuto che il Tribunale di Aosta, con sentenza in data 24 maggio 2005, ha rigettato l’opposizione proposta da D.G. avverso l’ordinanza-ingiunzione con la quale gli era stato intimato il pagamento della somma di euro 5.170 a titolo di sanzione amministrativa, per violazione delle disposizioni in materia di fauna selvatica, per avere detenuto all’ interno del campeggio “(…) nel Comune di Valsavarenche, all’ interno di un camper, un esemplare di Felis concolor (puma) in assenza della prescritta autorizzazione della prefettura; che il Tribunale ha ritenuto inapplicabile al procedimento amministrativo di natura sanzionatoria il termine di trenta giorni previsto dall’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, ed ha rilevato che il provvedimento del Prefetto di Venezia dell’ 8 giugno 1998 autorizzava la detenzione dell’animale presso il solo domicilio del richiedente, non anche il trasporto dall’ abitazione del G. al di fuori; che per la cassazione della sentenza del Tribunale il G.ha proposto ricorso, con atto notificato il 27 giugno 2006, sulla base di quattro motivi;
che la Regione intimata ha resistito con controricorso.
Considerato che il primo motivo denuncia violazione dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990 e degli artt. 18 e 28 della legge 24 novembre 1981, n. 689, lamentando che il Tribunale non abbia dichiarato la nullità dell’ ordinanza-ingiunzione per non essersi il procedimento amministrativo concluso nel termine di trenta giorni dal suo inizio; che il motivo è infondato; che la disposizione di cui all’ art. 2, comma 3, della legge n. 241 del 1990, tanto nella sua originaria formulazione, applicabile ratione temporis, secondo cui il procedimento amministrativo deve essere concluso entro il termine di trenta giorni, quanto nella formulazione risultante dalla modificazione apportata dall’art. 36-bis del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, secondo cui detto termine è di novanta giorni, nonostante la generalità del testo legislativo in cui è inserita, è incompatibile con i procedimenti regolati dalla legge n. 689 del 1981, che costituisce un sistema di norme organico e compiuto e delinea un procedimento di carattere contenzioso scandito in fasi i cui tempi sono regolati in modo da non consentire, anche nell’ interesse dell’ incolpato, il rispetto di un termine così breve (Cass., Sez. Un., 27 aprile 2006, n. 9591); che con il secondo mezzo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’ art. 6, comma 3, della legge 7 febbraio 1992, n. 150, e succ. modifiche dell’art. 111 Cost., nonché vizio di motivazione, sul rilievo che il comportamento ascritto al G. – ossia l’aver condotto l’animale in questione al di fuori del luogo di custodia – non sarebbe vietato e non richiederebbe alcuna autorizzazione, essendo sanzionabile esclusivamente la detenzione dello stesso senza autorizzazione; che la censura è infondata; che l’art. 6, comma 3, della legge n. 150 del 1992
prevede che coloro i quali, alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale di cui al precedente comma, detengono esemplari vivi di mammiferi o rettili di specie selvatica ed esemplari vivi di mammiferi o rettili provenienti da riproduzione in cattività compresi nell’apposito elenco recato dal predetto decreto ministeriale, sono tenuti a farne denuncia alla
prefettura territorialmente competente entro un certo termine, e che il prefetto, d’intesa con le autorità sanitarie competenti, può autorizzare la detenzione dei suddetti esemplari previa verifica della idoneità delle relative strutture di custodia, in funzione della corretta sopravvivenza degli
stessi, della salute e dell’incolumità pubblica; che la violazione delle disposizioni di cui al citato comma 3 è punita con la sanzione amministrativa indicata nel successivo comma 5 dello stesso articolo; che tanto premesso, il Tribunale ha rilevato che il provvedimento di autorizzazione era testualmente riferito alla sola detenzione del puma presso l’abitazione del G. sita in Venezia e che tale precisazione circoscriveva il perimetro dell’autorizzazione; che correttamente il Tribunale ha ritenuto la violazione dei limiti spaziali dell’ autorizzazione punita ai sensi dell’art. 6 della legge n. 150 del 1992, posto che l’illecito amministrativo in questione scatta non soltanto per la mancata richiesta dell’autorizzazione da parte del detentore dell’ esemplare vivo di mammifero o rettile di specie selvatica o proveniente da riproduzione in cattività, ma anche in caso di detenzione in contrasto con i limiti della rilasciata autorizzazione prefettizia; che la tesi del ricorrente muove da una premessa (di liceità generale delle condotte relative ad animali selvatici e pericolosi, e di limitazione del campo prescrittivo alla sola “detenzione” che era stata autorizzata) che non ha conforto nel testo legislativo, il quale, basato sulla regola generale del di vieto di detenzione di animali che costituiscano pericolo per la salute e per l’incolumità pubblica (art. 6, comma l), correla
l’autorizzazione alla “previa verifica della idoneità delle relative strutture di custodia, in funzione della corretta sopravvivenza degli animali e della salute e dell’ incolumità pubblica (art. 6, comma 3) ; che il terzo motivo denuncia insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, lamentando che il Tribunale abbia escluso la buona fede del contravventore nonostante la Prefettura di Venezia – richiesta dell’ autorizzazione al trasporto dell’ animale –
avesse comunicato che tale nulla osta esulava dalla sua competenza; che il motivo è infondato, poiché il primo giudice ha correttamente escluso la ricorrenza di un errore incolpevole sulla liceità del fatto, sul rilievo che la dichiarazione di incompetenza della richiesta prefettura non costituisce un fatto idoneo a radicare la buona fede dell’agente; che neppure è suscettibile di indurre al fraintendimento della regola iuris la mancata elevazione di contestazione dell’illecito amministrativo a carico del G. in occasione di un precedente soggiorno nella stessa località con il puma al seguito, non potendo un atteggiamento di mera tolleranza da parte della pubblica
amministrazione essere invocato come esimente, mancando, in tal caso, un comportamento o un atto di carattere positivo idoneo a fuorviare l’esatta conoscenza del precetto (Cass., Sez. I, 2 ottobre 1989, n. 3958; Cass., Sez. I, 2 ottobre 2002, n. 14168); che con l’ ultimo mezzo il ricorrente censura la violazione degli artt. 3 e 18 della legge n. 689 del 1981 in merito all’entità della sanzione applicata; che il motivo è privo di fondamento, avendo il Tribunale ritenuto congrua la motivazione dell’ ordinanza ingiunzione sulla misura della sanzione; che in tema di sanzioni amministrative pecuniarie, ove la norma indichi un minimo e un massimo della sanzione, spetta al potere discrezionale del giudice determinarne l’entità entro tali limiti, allo scopo di commisurarla alla gravità del fatto concreto, qlobalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soqgettivi; peraltro, il qiudice non è tenuto a specificare nella sentenza i criteri adottati nel procedere a detta determinazione, né la Corte di cassazione può censurare la statuizione adottata ove tali limiti siano stati rispettati e dal complesso della motivazione risulti che quella valutazione è stata, come nella specie, compiuta (Cass., Sez. I, 24 marzo 2004, n. 5877); che il ricorso va, pertanto, rigettato;
che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corta rigetta il. ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali, liquidate in
complessivi euro 1.000 per onorari, oltre alle spese prenotate a debito.

Depositata in Cancelleria il 23.12.2011

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