CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 gennaio 2012, n. 64 Procedure concorsuali – Liquidazione coatta amministrativa – Debito di un terzo – Giudizio proposto dal commissario liquidatore – Compensazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I fatti di causa possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.

Con citazione notificata il 13 giugno 2000 (…) s.r.l. propose opposizione avverso il decreto n.76/2000, con il quale, a istanza di Cooperativa (….) s.r.l. in liquidazione coatta amministrativa, il Tribunale di Marsala le aveva ingiunto il pagamento della somma di lire 104.175.225, quale saldo a fronte di numerose fatture emesse per forniture di vino.

L’opponente eccepì, preliminarmente, la litispendenza con la causa avente ad oggetto l’opposizione proposta dalla Cooperativa avverso il decreto n. 634/1994, emesso a istanza di essa esponente per il pagamento della somma di lire 120.833.586, oltre interessi e spese, specificando all’uopo che il relativo giudizio era stato dichiarato interrotto il 20 dicembre 1995, a seguito di sottoposizione della cooperativa alla procedura di liquidazione.

Nel merito dedusse che tra le parti era intercorso un complesso rapporto nell’ambito del quale essa medesima, oltre ad agire come rappresentante della controparte, con diritto alle relative provvigioni, ne era altresì debitrice, per essere solita acquistare del vino; che tuttavia il saldo dei crediti vantati da (…) nei confronti della cooperativa era maggiore di quelli da questa maturati, di talché era essa ingiunta creditrice dell’ingiungente, e non viceversa; che, in ogni caso, andava operata la compensazione tra i debiti e i crediti reciproci.

Costituitasi in giudizio, la Cooperativa contestò le avverse deduzioni, segnatamente allegando, in ordine all’eccezione di litispendenza, che il relativo giudizio, non più riassunto dopo l’interruzione, si era estinto, nonché l’inopponibilità del credito di cui al decreto n. 634/1994, dovendo lo stesso essere accertato all’interno della procedura concorsuale.

Con sentenza del 15 luglio 2003 il giudice adito rigettò l’opposizione.

Proposto gravame principale da (…) s.r.l. nuova denominazione assunta nelle more da (…) incidentale dalla Cooperativa (…) la corte d’appello di Palermo, in data 4 agosto 2009, ha dichiarato improponibile la domanda riconvenzionale proposta con l’atto di opposizione, confermando nel resto la decisione impugnata.

Per la cassazione di detta pronuncia ricorre (…) s.r.l., formulando quattro motivi.

Resiste con controricorso Cooperativa (…) a r.l. in liquidazione coatta amministrativa.

Motivi della decisione

1.1 Con il primo motivo l’impugnante denuncia violazione degli 345 cod. proc. civ., nonché vizi motivazionali con riferimento alla ritenuta irrilevanza delle prove documentali dimostrative della inesistenza del credito in contestazione e alla affermata inammissibilità delle istanze istruttorie da essa avanzate.

Le critiche si appuntano, in particolare, contro l’affermazione del giudice di merito secondo cui, nella fattispecie, l’eccezione di adempimento era stata esplicitata solo nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado e quindi formalmente sollevata per la prima volta in appello, di talché ininfluenti erano le prove articolate al fine di dimostrare il pagamento. Secondo il decidente l’inciso contenuto nell’atto di opposizione, con il quale (…) aveva evidenziato che, nell’ambito del complesso rapporto intercorso con la Cooperativa, il vino da essa acquistato veniva regolarmente pagato – come si ricava(va) dai numerosi assegni prodotti – non poteva essere interpretato come eccezione di adempimento del credito azionato dall’ingiungente, riferendosi chiaramente all’intero rapporto intercorso con la controparte, tanto vero che l’ammontare complessivo degli importi portati dagli assegni in discorso era superiore al credito ingiunto.

Il ricorrente contesta la scelta decisoria adottata, sostenendo di avere invece eccepito l’insussistenza del credito azionato sin dal primo atto difensivo, di avere reiterato la deduzione nelle memorie ex art. 184 cod. proc. civ., nonché nella comparsa conclusionale ed evidenziando che la Cooperativa non aveva mai disconosciuto di avere incassato gli assegni, di guisa che non poteva la Corte d’appello ignorare la valenza della documentazione prodotta, ai fini della prova dell’intervenuto pagamento.

1.2 Con il secondo mezzo l’impugnante lamenta violazione dell’art. 2697 cod. civ. Sostiene che erroneamente il giudice di merito aveva rigettato l’opposizione, senza considerare che ricadeva sull’opposto l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto azionato e che a tal fine erano del tutto insufficienti le fatture poste a base del decreto ingiuntivo opposto.

2 I motivi, che si prestano a essere esaminati congiuntamente, per la loro intrinseca connessione, sono, per certi aspetti inammissibili, per altri infondati. La questione della prova dei fatti costitutivi del diritto azionato, che, ancorché prospettata nel secondo mezzo, appare logicamente preliminare a quella svolta nel primo, non risulta trattata nella sentenza impugnata, ed è quindi nuova. Il ricorrente aveva pertanto l’onere, rimasto affatto inadempiuto, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, onde dar modo alla Corte di controllare de visu la veridicità di tale asserzione (confr. Cass. civ. sez. lav. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. civ. 1°, 31 agosto 2007, n. 18440). A ciò aggiungasi che la linea difensiva dell’opponente, qui ulteriormente ribadita, è sempre stata indirizzata alla affermazione non già dell’insussistenza, in assoluto, dei crediti azionati, ma della loro estinzione, segnatamente per intervenuto pagamento o per compensazione con i controcrediti vantati dall’opponente, di talché la deduzione contrasta con le allegazioni svolte nel giudizio di merito.

3 Quanto invece alla formulazione di una vera e propria eccezione di pagamento, il collegio, pur non condividendo il punto di vista del giudice di merito secondo cui essa costituirebbe un’eccezione in senso stretto, trattandosi piuttosto di mera difesa, sottoposta agli oneri deduttivi e probatori e, quindi, al sistema di preclusioni connesse alla esatta identificazione del thema decidendum e del thema probandum (confr. Cass. civ. 15 gennaio 2009, n. 819; Cass. civ. 8 agosto 2006, n. 17947; Cass. civ. 14 luglio 2004, n. 13015; Cass. civ. 4 maggio 1999, n. 4430), non ritiene né erronea, sotto il profilo giuridico, né incongrua, sul piano logico, la valutazione della Corte territoriale secondo cui la deduzione di (…) di essere stata, a un tempo, rappresentante della Cooperativa, e cliente della stessa, e di avere regolarmente pagato le forniture, come si ricava(va) dai numerosi assegni prodotti, non integrava una vera e propria eccezione di adempimento.

Non par dubbio infatti che in un ordinato sistema contabile a ogni acquisto corrisponde un preciso, individuato o quanto meno individuabile versamento, di talché di deduzione e prova di pagamento si sarebbe potuto, nella fattispecie, parlare, solo ove, in relazione ad ogni singola fornitura allegata dall’ingiungente, la convenuta avesse indicato l’assegno con il quale essa era stata saldata. Ne deriva che è corretta l’affermazione del giudice di merito secondo cui il generico richiamo alla situazione dedotta nel giudizio di opposizione dichiarato interrotto nonché alla compensazione tra poste debitorie e creditorie reciproche era inidoneo a rovesciare sull’ingiungente, attore in senso sostanziale, l’onere di allegare e dimostrare che il pagamento effettuato doveva imputarsi a prestazioni diverse da quelle oggetto della ingiunzione (confr. Cass. civ., 11 novembre 2008, n. 26945; Cass. civ. 31 marzo 2007, n. 8066; Cass. civ. 15 febbraio 2007, n. 3457).

4 Con il terzo motivo si deduce violazione degli 36 cod. proc. civ. Oggetto della censura è l’assunto del giudice di merito secondo cui, considerato che il giudizio di opposizione proposto dalla Cooperativa avverso il decreto ingiuntivo chiesto e ottenuto da (…) s.r.l. per il pagamento della somma di lire 120.833.586 si era estinto per mancata riassunzione nei termini di legge, dopo la declaratoria di interruzione, l’opposto doveva partecipare al concorso con gli altri creditori, essendo inopponibile alla massa il decreto privo di dichiarazione di esecutività. E invero, secondo la Corte territoriale, l’eccezione di compensazione sollevata dall’ingiunta, facendo riferimento a un credito non ancora giudizialmente accertato, andava interpretata come vera e propria domanda riconvenzionale nei confronti della liquidazione coatta amministrativa, con conseguente necessità che, separate le cause, la pretesa così azionata venisse fatta valere con il rito speciale dell’insinuazione al passivo.

Sostiene l’esponente che erroneamente la compensazione da essa eccepita, in via subordinata, a soli fini estintivi, era stata qualificata domanda riconvenzionale, anziché eccezione riconvenzionale.

5 Le critiche sono fondate.

Questa Corte ha a più riprese ribadito che nel giudizio proposto dalla curatela fallimentare per la condanna al pagamento del debito dì un terzo nei confronti del fallito, l’eccepibilità in compensazione di un credito dal terzo vantato verso la procedura, non è condizionata alla preventiva verificazione del credito stesso, purché la compensazione sia stata fatta valere come eccezione riconvenzionale (confr. Cass. civ. 9 gennaio 2009, n. 287; Cass. civ. 21 dicembre 2002, n. 18223).

Non è inutile in proposito ricordare che l’elemento distintivo tra la domanda riconvenzionale e l’eccezione riconvenzionale consiste nel fatto che con quest’ultima vengono avanzate richieste che, pur rimanendo nell’ambito della difesa, ampliano il tema della controversia, senza tuttavia tendere ad altro fine che non sia quello della reiezione della domanda, posto che al diritto fatto valere dall’attore viene opposto un diritto idoneo a paralizzarlo. Con la domanda riconvenzionale, invece, il convenuto, traendo occasione dalla domanda avanzata nei suoi confronti, chiede un provvedimento giudiziale a sé favorevole, che gli attribuisca beni determinati in contrapposizione a quelli richiesti con la domanda principale {confr. Cass. civ. n. 18223 del 2002 cit. e Cass. civ. 26 agosto 1997, n. 8007). Ciò vuol dire che solo l’eventuale eccedenza del credito del terzo verso il fallito è sottoposta al regime proprio della domanda riconvenzionale, dovendo la stessa essere proposta, nella giuridica preclusione all’attivazione di una domanda di condanna nei confronti del fallimento, con autonoma istanza di insinuazione al passivo.

Segnatamente, nella sentenza 9 gennaio 2009, n. 287, questa Corte, adita con ricorso per regolamento di competenza proposto, a norma dell’21500; Cass. civ. 21 dicembre 2002, n. 18223; Cass. civ. 3 settembre 1996, n. 8053; Cass. civ. 20 maggio 1986, n. 3337; Cass. civ. 21 febbraio 1983, n. 1302); e) che, in definitiva, laddove il debitore convenuto dalla curatela proponga non già una domanda riconvenzionale, ma una semplice eccezione di compensazione, volta a paralizzare la pretesa azionata dalla controparte, non c’è l’esigenza che la fondatezza di tale eccezione sia accertata in una sede diversa, né ricorrono le condizioni per la sospensione del giudizio avente ad oggetto il credito fatto valere dalla curatela; d) che l’accertamento del credito opposto in compensazione deve quindi aver luogo nella stessa sede, dovendosi ivi anche stabilire se l’eccezione sia o meno fondata, e cioè se ricorrano o meno le condizioni perché la compensazione possa operare.

6 Venendo al caso di specie, la Corte d’appello ha affermato che l’eccezione di compensazione opposta da (…) s.r.l., facendo riferimento a un credito non ancora giudizialmente accertato, doveva essere interpretata alla stregua di una vera e propria domanda riconvenzionale nei confronti della liquidazione coatta amministrativa e, come tale, improponibile nel giudizio azionato dalla procedura. L’errore commesso dal giudice di merito è stato dunque quello di qualificare tout court l’eccezione di compensazione come domanda riconvenzionale perciò solo che il credito che ne era oggetto non era stato giudizialmente accertato, senza considerare che ciò comportava (e comporta) invece l’esigenza di stabilire se sussistevano o meno le condizioni perché la compensazione potesse operare, accertamento che deve essere effettuato non già attraverso domanda di ammissione al passivo, ma nello stesso giudizio azionato dalla curatela.

7 Per le ragioni esposte, in accoglimento del terzo motivo di ricorso, nel quale resta assorbito il quarto, volto a far valere la pretesa violazione degli 36 cod. proc. civ., per mancata rimessione della domanda riconvenzionale al giudice delegato e conseguente sospensione del giudizio di opposizione, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio, alla Corte d’appello dì Palermo in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio e che, nel decidere, si atterrà al seguente principio di diritto: nel giudizio proposto dal commissario liquidatore per la condanna al pagamento del debito di un terzo nei confronti dell’impresa in liquidazione coatta amministrativa, l’eccepibilità in compensazione di un credito dello stesso terzo verso l’impresa in liquidazione non è condizionata alla preventiva verificazione di tale credito, purché la compensazione sia stata fatta valere come eccezione riconvenzionale.

P.Q.M.

Rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso; accoglie il terzo, assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione.

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