CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 gennaio 2012, n. 231 Lavoro subordinato – Indennità di fine rapporto – Ritenute fiscali – Calcolo al netto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza 29.1/16.2.2004 il Tribunale di Rossano, in funzione di giudice del lavoro, annullava il licenziamento individuale comminato dalla società M. Cnc a N. G., il 15.7.98, adottando le statuizioni conseguenti, e condannava la datrice di lavoro, inoltre, al pagamento, in favore del predetto, della somma di € 26.359,18 oltre accessori di legge per differenze retributive.

2. Con ricorso in data 8.4.2004, la società M. snc, proponeva appello avverso la sentenza suddetta.

Con l’atto di gravame l’appellante proponeva vari motivi .

Deduceva che la sentenza appellata era illogica nella parte in cui riteneva provato, dalle assunte testimonianze e dando corso alla valutazione equitativa di cui all’art. 432 c.p.c., che il N. avesse lavorato alle dipendenze della M. s.n.c. dal lunedì al venerdì, con orario 7.30 18.30, con un’ora di pausa pranzo, nonché il sabato fino alle 14.30.

Lamentava inoltre che vi erano varie incongruenze ed errori in cui era incorso il tribunale in sede di quantificazione delle differenze retributive riconosciute al N.. Le risultanze contabili fomite dal C.T.U. erano state trasfuse in sentenza senza apportarvi le modifiche correttive ed integrative imposte da incontestabili dati documentali e fattuali già acquisiti agli atti di causa. Ciò riguardava, in particolare, un assegno già versato in corso di causa al N., i contributi previdenziali e le ritenute fiscali addebitate due volte, il doppio addebito di rivalutazione ed interessi legali.

Costituitosi, N. G. invocava il rigetto dell’appello, siccome infondato e a sua volta proponeva appello incidentale per il pagamento di ulteriori importi.

3. La corte d’appello di Catanzaro con sentenza del 17.11.2005 21.9.2006 accoglieva parzialmente l’appello principale e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, eliminava dalla somma di cui alla condanna quella di € 2.005.36;confermava nel resto la sentenza impugnata; compensava tra le parti le spese del grado di giudizio.

4. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione la società con tre motivi.

Resiste con controricorso la parte intimata.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è articolato in tre motivi.

Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la nullità dell’impugnata sentenza per insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo. Deduce infatti che nella sentenza si fanno decorrere gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sulla medesima sorte capitale da una data diversa rispetto a quella indicata nella motivazione e spostata in avanti nel tempo di più anni.

Con il secondo motivo la società denuncia ancora nullità della sentenza per omessa motivazione. In appello la società aveva rilevato che nelle retribuzioni spettanti al lavoratore licenziato non dovevano conteggiarsi contributi previdenziali e le ritenute fiscali. Nella sentenza impugnata il giudice d’appello non ha esaminato la questione.

Con il terzo motivo la società denuncia l’insufficienza della motivazione in ordine a fatto controverso decisivo per il giudizio. Secondo la società il generico richiamo contenuto nella sentenza impugnata alla convergenza delle varie testimonianze è inidoneo a fondare la pronuncia adottata.

2. Il primo motivo del ricorso è fondato.

È pacifico in causa – come del resto ammette lo stesso controricorrente nel suo controricorso – che il giudice di primo grado nel liquidare a favore del lavoratore la somma di euro 26.359.18 abbia fatto decorrere interessi e rivalutazione monetaria sulla somma ricapitalizzata di anno in anno dal 22 luglio 1998 all’effettivo soddisfo.

Di ciò si è doluta la società appellante che ha lamentato un doppio addebito di rivalutazione interessi in quanto il consulente tecnico aveva già computato interessi e rivalutazione fino al 27 novembre 2003. La corte d’appello in sostanza ritiene fondata la censura perché espressamente afferma che rivalutazione monetaria ed interessi decorrono non già dal 22 luglio 1998, ma dalla 27 novembre 2003. Di ciò è consapevole anche il contro ricorrente che parimenti ritiene che da questa ultima data decorrano interessi e rivalutazione monetaria. Però la sentenza della corte d’appello in questa parte conferma la sentenza di primo grado e quindi conferma anche l’erronea decorrenza interessi e rivalutazione monetaria dal 22 luglio 1998.

Né può ritenersi – come deduce il controricorrente – che si tratti di un mero errore materiale, sussistendo effettivamente, come dedotto dalla società ricorrente un insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo.

In breve interessi e rivalutazione monetaria decorrono non già dalla 27 luglio 1998, ma dal 27 novembre 2003.

3. Il secondo motivo è inammissibile.

Da una parte deve considerarsi che correttamente la corte d’appello ha ribadito quanto già affermato da questa corte (Cass., sez. lav., 18 aprile 2003, n. 6337), secondo cui l’accertamento e la liquidazione dei crediti pecuniari del lavoratore per differenze retributive, e quindi anche per il tir, debbono essere effettuati al lordo delle ritenute fiscali, poiché il meccanismo della determinazione di questi ultimi inerisce ad un momento successivo, a quello dell’accertamento e della liquidazione delle spettanze retributive e si pone in relazione al distinto rapporto d’imposta, sul quale il giudice chiamato all’accertamento e alla liquidazione predetti non ha il potere di interferire, rientrando il relativo accertamento nella giurisdizione esclusiva delle commissioni tributarie.

A questo corretto principio di diritto la società ricorrente nel suo secondo motivo oppone in sostanza che il primo giudice non vi si sarebbe attenuto giacché avrebbe considerato le retribuzioni percepite dal lavoratore al netto e non al lordo.

La deduzione è però generica ed imprecisa e comunque difetta di autosufficienza perché non riporta i dati della consulenza contabile da cui emergerebbe l’errore commesso dal consulente d’ufficio.

La censura è anche formulata in modo irrituale perché denunciando vizio di motivazione ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.

4. Anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile mancando la formulazione del quesito ex art. 432 c.p.c. al fine di ritenere provato lo svolgimento del lavoro straordinario.

5. Il ricorso va quindi accolto limitatamente al primo motivo e va rigettato nel resto. L’impugnala sentenza va cassata limitatamente al motivo accolto e potendo la causa essere decisa nel merito va dichiarato che interessi e rivalutazione monetaria decorrono non già dalla 27 luglio 1998, ma dal 27 novembre 2003.

L’accoglimento solo parziale del ricorso consente l’integrale compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarati inammissibili gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara che interessi e rivalutazione monetaria decorrono dal 27 novembre 2003 e non già dalla 27 luglio 1998. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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