Corte Costituzionale, Sentenza n. 8 del 2012, in tema di previdenza sociale e trattamento pensionistico

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 4 del 25-1-2012

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’articolo 4, comma 3,
del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 42 (Disposizioni in
materia di totalizzazione dei periodi assicurativi), promosso dalla
Corte d’appello di Torino nel procedimento vertente tra A. A. e
l’Associazione Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore
dei ragionieri e periti commerciali con ordinanza del 24 febbraio
2011, iscritta al n. 142 del registro ordinanze 2011 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, 1ª serie speciale,
dell’anno 2011.
Visti gli atti di costituzione di A.A., dell’Associazione Cassa
nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e periti
commerciali, nonche’ l’atto di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 13 dicembre 2011 il Giudice
relatore Luigi Mazzella;
uditi gli avvocati Massimo Luciani e Matteo Fusillo per
l’Associazione Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore
dei ragionieri e periti commerciali e l’avvocato dello Stato Enrico
Arena per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Nel corso di un giudizio civile promosso da A.A. contro
l’Associazione Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore
dei ragionieri e periti commerciali, la Corte d’appello di Torino ha
sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 76 della Costituzione,
questioni di legittimita’ costituzionale dell’articolo 4, comma 3,
del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 42 (Disposizioni in
materia di totalizzazione dei periodi assicurativi).
La Corte rimettente deduce che l’attore nel giudizio principale,
iscritto alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza in favore
dei ragionieri e periti commerciali e titolare di posizione
assicurativa anche presso l’Istituto nazionale della previdenza
sociale, non avendo maturato i requisiti contributivi per il
conseguimento della pensione in alcuna delle due gestioni, aveva
presentato, in sede amministrativa, domanda per ottenere la pensione
di anzianita’ mediante totalizzazione dei periodi assicurativi
vantati nelle due gestioni, ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2006.
L’art. 4, comma 1, di tale decreto legislativo dispone che le
gestioni interessate, ciascuna per la parte di propria competenza,
determinano il trattamento pro quota in rapporto ai rispettivi
periodi di iscrizione maturati e il successivo comma 3 dello stesso
art. 4 dispone che, per gli enti previdenziali privatizzati ai sensi
del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (Attuazione della
delega conferita dall’art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993,
n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di
enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza), tra i
quali rientra anche la Cassa convenuta nel giudizio a quo, la misura
del trattamento e’ determinata con le regole del sistema di calcolo
contributivo sulla base dei criteri indicati dalla medesima norma.
La Corte d’appello di Torino afferma che la Cassa nazionale di
previdenza ed assistenza in favore dei ragionieri e periti
commerciali aveva determinato il trattamento pro quota a proprio
carico applicando, appunto, i parametri di cui all’art. 4, comma 3,
del d.lgs. n. 42 del 2006, liquidando cosi’ in favore dell’assicurato
un importo sensibilmente inferiore a quello che sarebbe risultato ove
fossero state seguite le regole di calcolo proprie dell’ente e
contenute nel Regolamento di esecuzione della Cassa, nella versione
vigente dal 1° gennaio 2004. Questo, infatti, prevede all’art. 53 che
la pensione di anzianita’, relativa agli iscritti con decorrenza
anteriore al 1° gennaio 2004 (come l’attore nel giudizio principale),
sia determinata dalla somma della quota retributiva (calcolata in
base a criteri che valorizzano i redditi professionali antecedenti la
data del 1° gennaio 2004) e della quota contributiva (pari
all’importo determinato dalla trasformazione in rendita del montante
risultante dalla posizione contributiva individuale istituita dal 1°
gennaio 2004).
L’assicurato aveva quindi promosso il giudizio a quo chiedendo
che fosse dichiarato il suo diritto alla liquidazione della quota di
pensione provvisoria di anzianita’ da totalizzazione maturata presso
la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza in favore dei
ragionieri e periti commerciali secondo le regole di calcolo proprie
della Cassa medesima e vigenti alla data del pensionamento. Tanto
premesso, la Corte rimettente sostiene che la norma censurata,
disponendo che per gli enti previdenziali privatizzati ai sensi del
d.lgs. n. 509 del 1994 la misura del trattamento pensionistico dovuto
a seguito di totalizzazione dei periodi assicurativi e’ determinata
con le regole del sistema di calcolo contributivo, contrasterebbe con
l’art. 76 Cost., per violazione del principio direttivo dettato
dall’art. 1, comma 2, lettera o), della legge delega 23 agosto 2004,
n. 243 (Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel
settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza
complementare e all’occupazione stabile e per il riordino degli enti
di previdenza ed assistenza obbligatoria), secondo il quale, nel
ridefinire la disciplina in materia di totalizzazione dei periodi
assicurativi, il legislatore delegato era tenuto a prevedere che ogni
ente presso cui sono versati i contributi sia tenuto pro quota al
pagamento del trattamento pensionistico determinato «secondo le
proprie regole di calcolo».
Invece, le regole del sistema di calcolo contributivo stabilite
dall’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2006 si discostano
ampiamente da quelle dettate dal citato art. 53 del Regolamento di
esecuzione della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza in
favore dei ragionieri e periti commerciali.
Il giudice a quo aggiunge che la conferma della volonta’ del
legislatore delegato di introdurre una disciplina generale difforme
dalla delega si ricava dal comma 5 dell’art. 4 del d.lgs. n. 42 del
2006, ove, sempre in riferimento agli enti previdenziali privatizzati
ai sensi del d.lgs. n. 509 del 1994, e’ prevista, in deroga a quanto
stabilito dai precedenti commi 3 e 4, l’applicazione del «sistema di
calcolo della pensione previsto dall’ordinamento della gestione
medesima», qualora il requisito contributivo maturato nella gestione
pensionistica sia uguale o superiore a quello minimo richiesto per il
conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia. Quindi, cio’
che nella legge delega era indicato come principio generalizzato, nel
decreto legislativo risulta trasformato in eccezione rispetto ad un
diverso principio che fa invece riferimento alle «regole del sistema
di calcolo contributivo».
Ad avviso della Corte rimettente, l’art. 4, comma 3, del d.lgs.
n. 42 del 2006 confligge anche con l’art. 3 Cost., poiche’ la norma
censurata e’ fonte di un’irragionevole disparita’ di trattamento con
gli assicurati presso gli enti previdenziali privati costituiti ai
sensi del decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103 (Attuazione
della delega conferita dall’art. 2, comma 25, della legge 8 agosto
1995, n. 335, in materia di tutela previdenziale obbligatoria dei
soggetti che svolgono attivita’ autonoma di libera professione), i
quali, in virtu’ del successivo comma 6 dello stesso art. 4,
ottengono la liquidazione del trattamento pensionistico sulla base
del sistema di calcolo vigente nell’ordinamento degli enti medesimi.
In ordine alla rilevanza della questione di legittimita’
costituzionale, il giudice a quo afferma che, se la quota a carico
della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza in favore dei
ragionieri e periti commerciali fosse determinata secondo i criteri
stabiliti nel Regolamento di esecuzione della Cassa stessa,
all’assicurato sarebbe attribuito un importo superiore rispetto a
quello liquidatogli in applicazione dei criteri stabiliti nella norma
censurata.
2. – Nel giudizio di costituzionalita’ si e’ costituito A.A., il
quale chiede che la questione sia accolta.
La parte privata sostiene che l’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 42
del 2006 viola l’art. 76 Cost., per gli stessi motivi indicati
nell’ordinanza di rimessione.
Aggiunge che la norma censurata contrasta anche con l’art. 3
Cost., poiche’ introduce una disciplina disparitaria, da un lato,
rispetto alle altre normative in materia di totalizzazione e, in
particolare, rispetto a quella prevista dal comma 6 dello stesso art.
4 del d.lgs. n. 42 del 2006 (che, per la determinazione della misura
del trattamento a carico degli enti previdenziali privati costituiti
ai sensi del d.lgs. n. 103 del 1996, fa rinvio al sistema di calcolo
vigente nei rispettivi ordinamenti) e, dall’altro, rispetto al
principio di settore enucleato, in materia di totalizzazione dei
periodi assicurativi, dalla sentenza n. 61 del 1999 di questa Corte e
relativo al mantenimento delle regole di calcolo proprie di ciascuna
gestione previdenziale.
A conferma dell’esistenza di un generale principio di
salvaguardia delle quote pensionistiche maturate presso le varie
gestioni previdenziali, da calcolarsi secondo le regole applicabili a
ciascuna di esse, la parte privata menziona la sentenza della Corte
di cassazione 6 maggio 2009, n. 10396, che ha ritenuto
l’illegittimita’ dell’art. 3 del decreto del Ministro del lavoro 2
maggio 1996, n. 282 (Regolamento recante la disciplina dell’assetto
organizzativo e funzionale della gestione e del rapporto assicurativo
di cui all’art. 2, comma 32, della legge 8 agosto 1995, n. 335),
anche nella parte in cui non prevedeva, ai fini della determinazione
dell’importo della pensione, il ricorso ai criteri di cui all’art. 16
della legge 2 agosto 1990, n. 233 (Riforma dei trattamenti
pensionistici dei lavoratori autonomi), norma che rinvia ai criteri
vigenti presso le differenti gestioni.
3. – Nel giudizio di costituzionalita’ si e’ costituita anche
l’Associazione Cassa nazionale di previdenza ed assistenza in favore
dei ragionieri e periti commerciali che chiede che le questioni siano
dichiarate inammissibili e comunque infondate.
Le questioni sarebbero inammissibili, in primo luogo, perche’ il
giudice a quo non avrebbe indicato la ragione per la quale il
giudizio principale non potrebbe essere definito senza applicare la
norma censurata.
In secondo luogo, la Cassa deduce che in primo grado le questioni
di legittimita’ costituzionale erano state dichiarate non rilevanti
dal Tribunale. La Corte d’appello avrebbe avuto l’onere di motivare
sul punto, al fine di spiegare per quale motivo la rilevanza delle
questioni, negata dal giudice di primo grado, fosse invece
sussistente.
Un terzo motivo di inammissibilita’ delle questioni risiederebbe,
ad avviso della Cassa, nel fatto che esse sono state sollevate nel
corso di un giudizio instaurato al solo scopo di sollecitare
l’intervento di questa Corte.
Infine, specificamente inammissibile sarebbe la censura formulata
in riferimento all’art. 3 Cost., perche’ la remittente non avrebbe
motivato sulla ragione per la quale una, anziche’ l’altra, delle
discipline poste a raffronto sia assunta (non ad oggetto della
questione, ma) quale tertium comparationis.
Nel merito, la Cassa contesta che l’art. 4, comma 3, del d.lgs.
n. 42 del 2006 sia censurabile per eccesso di delega.
Infatti, in virtu’ dell’ampia formulazione dell’art. 1, comma 1,
lettera d), della legge n. 243 del 2004, il legislatore delegato era
facoltizzato a dettare una disciplina organica della totalizzazione
che doveva necessariamente coniugare le esigenze di tutela dei
diritti previdenziali dei singoli con quelle di sostenibilita’ delle
gestioni previdenziali. Ne consegue che l’opzione in favore del
sistema di calcolo contributivo costituisce un ragionevole punto di
equilibrio fra tutte le esigenze in gioco. Al riguardo, la Cassa
deduce che gia’ da tempo l’ordinamento previdenziale e’ orientato
decisamente nel senso della preferenza per il sistema contributivo,
onde il legislatore delegato non avrebbe fatto altro che applicare un
principio generalissimo dell’ordinamento.
Ne’, ad avviso della Cassa, si potrebbe pervenire a diversa
conclusione facendo leva sul rinvio alle regole di calcolo proprie
dei singoli enti previdenziali contenuto nell’art. 1, comma 2,
lettera o), della legge n. 243 del 2004. Infatti, tra le fonti
legittimate a definire quelle regole di calcolo rientra anche il
decreto legislativo emanato in esecuzione della stessa legge n. 243
del 2004.
Quanto alla pretesa violazione del principio di eguaglianza, la
Cassa richiama la giurisprudenza di questa Corte che esclude la
possibilita’ di porre a confronto tra loro i vari sistemi
previdenziali.
4. – Nel giudizio di costituzionalita’ e’ intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale chiede che la
questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
La difesa dello Stato sostiene che non sussiste alcuna violazione
dell’art. 76 Cost., perche’ quando, come nel caso di specie, la
delega legislativa ha ad oggetto il riassetto e il riordino di norme
preesistenti, tali finalita’ giustificano un adeguamento della
disciplina al nuovo quadro normativo complessivo risultante dal
sovrapporsi nel tempo di disposizioni emanate in vista di situazioni
diverse.
La questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. sarebbe
invece inammissibile per omessa motivazione sulla rilevanza e
comunque infondata perche’ il d.lgs. n. 42 del 2006 non ha previsto
una disciplina differente per i diversi enti previdenziali, bensi’
regolato in maniera uniforme le modalita’ di computo della
prestazione in caso di totalizzazione dei periodi assicurativi.
5. – In prossimita’ dell’udienza di discussione, A.A. ha
depositato una memoria nella quale insiste per l’accoglimento della
questione di illegittimita’ costituzionale e contesta la fondatezza
delle eccezioni sollevate e delle argomentazioni svolte dalla Cassa e
dal Presidente del Consiglio dei ministri.
5.1. – In particolare, per quel che concerne le eccezioni di
inammissibilita’ sollevate dalla Cassa, la parte privata deduce, in
primo luogo, che la Corte rimettente ha adeguatamente motivato circa
la rilevanza della questione, avendo precisato gli elementi
essenziali della fattispecie devoluta alla sua cognizione e indicato
che nel giudizio principale deve essere applicata la norma censurata.
In secondo luogo, la parte privata nega di aver instaurato la
controversia al solo scopo di far dichiarare l’incostituzionalita’
dell’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2006, avendo invece agito
per ottenere una precisa utilita’ economica (la maggior quota del
trattamento pensionistico da totalizzazione liquidato dalla Cassa
nazionale di previdenza ed assistenza in favore dei ragionieri e
periti commerciali). Infine, la difesa di A.A. sostiene che il
giudice a quo ha chiaramente individuato il tertium comparationis nel
criterio generale del rinvio alle regole stabilite dagli ordinamenti
interni dei singoli enti previdenziali previsto dalla legge delega.
Con riferimento alle deduzioni svolte dalla Cassa in ordine al
merito della questione, la parte privata contesta che la delega
legislativa contenuta nella legge n. 243 del 2004 legittimasse il
legislatore delegato ad un intervento di riforma organica
dell’istituto della totalizzazione e sottolinea che comunque la
delega legislativa includeva lo stringente criterio direttivo che
rinviava, per la liquidazione delle quote dovute da ciascun ente
previdenziale, alle regole proprie di ogni ente, in questa maniera
precludendo al legislatore delegato la possibilita’ di imporre
unilateralmente il sistema contributivo, nel rispetto dell’autonomia
delle Casse privatizzate.
La parte privata aggiunge che quella proposta dalla difesa della
Cassa e’ una interpretatio abrogans dell’art. 1, comma 2, lettera o),
della legge n. 243 del 2004, nella parte in cui questo prevede che
gli enti previdenziali dovranno liquidare le quote di trattamento
pensionistico a loro carico secondo le proprie regole di calcolo.
Quanto, poi, alla violazione dell’art. 3 Cost., la difesa di A.A.
sostiene che, fermo restando il principio della non confrontabilita’
dei vari ordinamenti previdenziali, il carattere disparitario del
trattamento cui la norma censurata ha assoggettato gli enti
privatizzati ai sensi del d.lgs. n. 509 del 1994 emerge dal confronto
con la disciplina invece riservata agli enti istituiti ai sensi del
d.lgs. n. 103 del 1996 per i quali vige il sistema del mantenimento
delle «proprie regole di calcolo».
5.2. – Con riferimento alle difese svolte dal Presidente del
Consiglio dei ministri, la parte privata contesta che, avendo la
delega legislativa una funzione di riassetto e riordino di norme
preesistenti, tali finalita’ potessero giustificare un adeguamento
della disciplina previgente tale da consentire l’introduzione della
norma censurata.
Ne’ si potrebbe sostenere che quest’ultima sarebbe destinata a
garantire l’applicazione di un unico sistema di computo, poiche’ il
d.lgs. n. 42 del 2006 non detta una disciplina uniforme.
Infine, sarebbe erroneo individuare la ratio della norma
censurata nell’intento del legislatore di evitare effetti onerosi per
la finanza pubblica, considerato che le Casse previdenziali
privatizzate sono estranee al sistema della finanza pubblica.
6. – Anche l’Associazione Cassa nazionale di previdenza ed
assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali ha depositato
una memoria nella quale ripete le eccezioni di inammissibilita’ gia’
sollevate nell’atto di costituzione.
Circa il merito della questione, la Cassa afferma che la legge
delega attribuiva al Governo una discrezionalita’ particolarmente
ampia, poiche’ esso era abilitato a dettare una disciplina organica
della totalizzazione.
Inoltre, l’intera legge di delegazione ribadiva la necessita’ che
tale organica disciplina coniugasse le esigenze di tutela dei diritti
previdenziali dei singoli con quelle di sostenibilita’ delle gestioni
previdenziali, tanto piu’ evidenti nel caso delle Casse privatizzate
che operano in regime di integrale autofinanziamento. Pertanto, tra
le varie possibilita’ attuative della delega, l’opzione a favore del
calcolo contributivo era quella maggiormente rispondente alla
volonta’ del legislatore delegante di rispettare il vincolo delle
risorse disponibili.
La necessita’ della scelta operata dal Governo e’, poi,
confermata, ad avviso della Cassa, dall’ultimo suo bilancio tecnico,
dal quale risulta che, in difetto di opportune misure di
riequilibrio, gia’ a partire dal 2029 la Cassa non sara’ piu’ in
grado di erogare le pensioni correnti.
Quanto alla pretesa violazione dell’art. 3 Cost., la difesa della
Cassa ricorda l’orientamento della Corte che nega la possibilita’ di
comparare tra loro i vari sistemi previdenziali.

Considerato in diritto

1. – La Corte d’appello di Torino dubita, in riferimento agli
aricoli 3 e 76 della Costituzione, della legittimita’ costituzionale
dell’articolo 4, comma 3, del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n.
42 (Disposizioni in materia di totalizzazione dei periodi
assicurativi).
Ad avviso della rimettente, la norma censurata, disponendo che
per gli enti previdenziali privatizzati ai sensi del decreto
legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (Attuazione della delega conferita
dall’art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in
materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti
gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza) – e,
dunque, anche per la Cassa nazionale di previdenza e assistenza a
favore dei ragionieri e dei periti commerciali – la misura del
trattamento pensionistico dovuto a seguito di totalizzazione dei
periodi assicurativi e’ determinata con le regole del sistema di
calcolo contributivo, sulla base di parametri dettati dallo stesso
art. 4, comma 3, contrasterebbe con l’art. 76 Cost., per violazione
del principio direttivo dettato dall’art. 1, comma 2, lettera o),
della legge 23 agosto 2004, n. 243 (Norme in materia pensionistica e
deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il
sostegno alla previdenza complementare e all’occupazione stabile e
per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria),
secondo il quale ogni ente presso cui sono stati versati i contributi
e’ tenuto pro quota al pagamento del trattamento pensionistico
«secondo le proprie regole di calcolo».
L’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2006 violerebbe, poi,
l’art. 3 Cost., poiche’ sarebbe fonte di un’irragionevole disparita’
di trattamento con gli assicurati presso gli enti previdenziali
privati costituiti ai sensi del decreto legislativo 10 febbraio 1996,
n. 103 (Attuazione della delega conferita dall’art. 2, comma 25,
della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di tutela previdenziale
obbligatoria dei soggetti che svolgono attivita’ autonoma di libera
professione), i quali, in virtu’ del successivo comma 6 dello stesso
art. 4, ottengono la liquidazione del trattamento pensionistico sulla
base del sistema di calcolo vigente nell’ordinamento degli enti
medesimi.
2. – L’Associazione Cassa nazionale di previdenza e assistenza a
favore dei ragionieri e dei periti commerciali ha sollevato alcune
eccezioni di inammissibilita’ delle questioni.
2.1. – Queste sarebbero inammissibili, in primo luogo, perche’ il
giudice a quo non avrebbe indicato la ragione per la quale il
giudizio principale non potrebbe essere definito senza applicare la
norma censurata.
L’eccezione non e’ fondata, perche’ la Corte d’appello di Torino
ha spiegato chiaramente che, applicando al ricorrente nel giudizio
principale i criteri di calcolo in vigore presso la Cassa (invece di
quelli stabiliti dalla norma censurata), la quota di pensione
spettante all’assicurato sarebbe superiore rispetto a quella
determinata dall’ente previdenziale sulla base dei criteri imposti
dall’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2006.
2.2. – In secondo luogo, la Cassa deduce che in primo grado le
questioni di legittimita’ costituzionale erano state dichiarate non
rilevanti. Pertanto la Corte d’appello avrebbe avuto l’onere di
motivare sul punto, al fine di spiegare per quale motivo la rilevanza
della questione, negata dal giudice di primo grado, fosse invece
sussistente.
Neppure tale eccezione e’ fondata.
La rimettente aveva l’onere di spiegare, nella propria ordinanza,
le ragioni della rilevanza delle questioni ai fini della decisione
della controversia e, nel fare cio’, non aveva affatto l’onere di
controbattere specificamente agli argomenti sostenuti dal giudice di
primo grado.
2.3. – Un terzo motivo di inammissibilita’ delle questioni
risiederebbe, ad avviso della Cassa, nel fatto che esse sono state
sollevate nel corso di un giudizio instaurato al solo scopo di
sollecitare l’intervento di questa Corte.
Neppure tale deduzione puo’ essere condivisa. Dall’ordinanza di
rimessione risulta che il ricorrente ha proposto il giudizio
principale allo scopo di ottenere la riliquidazione della quota di
pensione erogatagli dalla Cassa di previdenza dei ragionieri.
Pertanto la controversia ha ad oggetto un preciso e concreto bene
della vita, vale a dire un incremento dell’importo del trattamento
pensionistico, e quella della legittimita’ costituzionale dell’art.
4, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2006 e’ solamente una delle
questioni che debbono essere risolte per pervenire all’accertamento
del diritto rivendicato dalla parte attrice.
2.4. – Infine, ad avviso della Cassa, specificamente
inammissibile sarebbe la censura formulata in riferimento all’art. 3
Cost., perche’ la remittente non avrebbe motivato sulla ragione per
la quale una, anziche’ l’altra, delle discipline poste a raffronto
sia assunta (non ad oggetto della questione, ma) quale tertium
comparationis.
L’eccezione non e’ fondata, poiche’ e’ evidente che la Corte
rimettente individua il tertium comparationis nella disciplina
prevista per gli iscritti agli enti di cui al d.lgs. n. 103 del 1996,
perche’ il sistema di calcolo per essi stabilito dall’art. 4 del
d.lgs. n. 42 del 2006 e’ conforme a quello che, secondo l’opinione
del giudice a quo, era il principio direttivo imposto dalla legge
delega.
3. – Nel merito, la questione sollevata in riferimento all’art.
76 Cost. non e’ fondata.
Ad avviso del giudice a quo, l’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 42
del 2006 contrasterebbe con il principio direttivo dettato dall’art.
1, comma 2, lettera o), della legge delega n. 243 del 2004. A norma
di tale disposizione, il legislatore delegato aveva il compito di
«ridefinire la disciplina in materia di totalizzazione dei periodi
assicurativi, al fine di ampliare progressivamente le possibilita’ di
sommare i periodi assicurativi previste dalla legislazione vigente,
con l’obiettivo di consentire l’accesso alla totalizzazione sia al
lavoratore che abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di eta’ sia
al lavoratore che abbia complessivamente maturato almeno quaranta
anni di anzianita’ contributiva, indipendentemente dall’eta’
anagrafica, e che abbia versato presso ogni cassa, gestione o fondo
previdenziale, interessati dalla domanda di totalizzazione, almeno
cinque anni di contributi». La norma cosi’ prosegue: «Ogni ente
presso cui sono stati versati i contributi sara’ tenuto pro quota al
pagamento del trattamento pensionistico, secondo le proprie regole di
calcolo. Tale facolta’ e’ estesa anche ai superstiti di assicurato,
ancorche’ deceduto prima del compimento dell’eta’ pensionabile».
In particolare, secondo la rimettente, sarebbe violato il secondo
periodo della norma, dal quale dovrebbe desumersi che, per l’aspetto
concernente i criteri di calcolo della quota di pensione gravante
sulle gestioni interessate dalla totalizzazione, il legislatore
delegato non avesse facolta’ di dettare un’autonoma disciplina,
dovendosi limitare a rinviare a quanto gia’ previsto dagli
ordinamenti dei singoli enti interessati.
Tale assunto non e’ condivisibile. Il riferimento alle «proprie
regole di calcolo» contenuto nell’art. 1, comma 2, lettera o), della
legge n. 243 del 2004 non escludeva di prevedere criteri di calcolo
per le singole gestioni previdenziali al fine di consentire un
ampliamento progressivo dell’ambito di operativita’ dell’istituto
della totalizzazione.
La necessita’, quindi, di disciplinare anche tale fondamentale
aspetto era direttamente connessa e implicita nell’attribuzione al
Governo del compito di «rivedere il principio della totalizzazione
dei periodi assicurativi» (art. 1, comma 1, lettera d, della legge n.
243 del 2004) e di «ridefinire la disciplina in materia » al fine di
allargare progressivamente «le possibilita’ di sommare i periodi
assicurativi previste dalla legislazione vigente» (art. 1, comma 2,
lettera o, della legge delega). E’ evidente che per estendere
l’applicazione dell’istituto della totalizzazione il legislatore
poteva precisare anche i criteri di calcolo delle prestazioni che
sarebbero spettate agli assicurati in virtu’ della nuova disciplina.
In altre parole, per aumentare il novero dei casi in cui gli
assicurati potevano ricorrere all’istituto della totalizzazione, il
legislatore delegato poteva anche apportare a quella disciplina gli
adattamenti conseguenti all’ampliamento delle ipotesi in cui si
poteva ricorrere alla totalizzazione. Non a caso la legge n. 243 del
2004 definiva con termini ampi il compito che essa delegava al
Governo.
In definitiva, la prescrizione secondo la quale «Ogni ente presso
cui sono stati versati i contributi sara’ tenuto pro quota al
pagamento del trattamento pensionistico, secondo le proprie regole di
calcolo» dev’essere, certamente, intesa nel senso di una
riaffermazione del principio generale secondo cui le quote di
trattamento pensionistico a carico di ogni gestione previdenziale
interessata dalla totalizzazione debbono essere calcolate in base ai
criteri specifici della singola gestione, non escludendosi, pero’,
che il legislatore delegato fosse autorizzato dalla delega a
determinare esso stesso in base a quali criteri ogni ente
previdenziale dovesse liquidare la quota di propria spettanza.
Si consideri, altresi’, che i criteri di calcolo previsti dal
d.lgs. n. 42 del 2006 costituiscono applicazione del sistema
contributivo, vale a dire di quello che e’ il criterio di
determinazione delle prestazioni previdenziali che ormai ha assunto
una valenza generale nel sistema previdenziale italiano. La scelta
operata dal legislatore, pertanto, e’ coerente con le generali linee
evolutive dell’ordinamento.
4. – Neppure la questione sollevata in riferimento all’art. 3
Cost. e’ fondata.
Ad avviso della Corte rimettente, l’art. 4, comma 3, del d.lgs.
n. 42 del 2006 sarebbe fonte di un’irragionevole disparita’ di
trattamento con gli assicurati presso gli enti previdenziali privati
costituiti ai sensi del d.lgs. n. 103 del 1996; per costoro, infatti,
il successivo comma 6 dello stesso art. 4 stabilisce che la misura
del trattamento pensionistico sia determinata sulla base del sistema
di calcolo vigente nell’ordinamento degli enti medesimi.
Al riguardo occorre ricordare, in primo luogo, che, per
consolidata giurisprudenza di questa Corte, i vari sistemi
previdenziali non possono essere comparati tra loro (sentenze n. 34
del 2011, n. 202 del 2008, n. 83 del 2006).
In secondo luogo, la differenza segnalata dal giudice a quo e’
apparente, piu’ che reale. Infatti, gli enti costituiti a seguito del
d.lgs. n. 103 del 1996 – essendo successivi alla svolta in favore del
sistema contributivo operata dalla legge 8 agosto 1995, n. 335
(Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare) –
hanno tutti dovuto adottare il predetto sistema di calcolo (v., in
particolare, l’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 103 del 1996). Ne
consegue che sia gli iscritti agli enti privatizzati in virtu’ del
d.lgs. n. 509 del 1994, sia gli iscritti agli enti di cui al d.lgs.
n. 103 del 1996, si vedono liquidare la quota di trattamento
pensionistico dovuta, in virtu’ della totalizzazione dei periodi
assicurativi secondo regole proprie del sistema contributivo.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara non fondate le questioni di legittimita’ costituzionale
dell’articolo 4, comma 3, del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n.
42 (Disposizioni in materia di totalizzazione dei periodi
assicurativi), sollevate, in riferimento agli articoli 3 e 76 della
Costituzione, dalla Corte d’appello di Torino con l’ordinanza in
epigrafe indicata.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l’11 gennaio 2012.

Il Presidente: Quaranta

Il redattore: Mazzella

Il cancelliere: melatti

Depositata in cancelleria il 20 gennaio 2012.

Il direttore della cancelleria: Melatti

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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