CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 gennaio 2012, n. 3211 Bancarotta documentale – Mancata consegna di partitari al curatore fallimentare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

In fatto

I ricorrenti sono stati tratti a giudizio per avere rivestito, in epoche successive, la qualità di amministratore unico di M. Srl, fallita in Ferrara il 7.6.2002: a costoro si addebita la mancata consegna dei “paritari” agli organi della procedura, ritenuta integrativa della violazione dell’art. 216 co. 1 n. 2 L. fall., ed all’A.R. anche la responsabilità per bancarotta fraudolenta patrimoniale in ragione dei mancato rinvenimento di alcuni beni già disponibili alla società.

A seguito di rito abbreviato furono entrambi condannati dal Tribunale di Ferrara il 19.9.2007 e la condanna fu sostanzialmente confermata dalla Corte d’Appello di Bologna il 5.10.2010.

I prevenuti interpongono ricorso dolendosi:

– della contraddittorietà ed illogicità della motivazione quanto al dolo della bancarotta documentale derivato non già dalla specifica volontà di occultare il movimento degli affari, bensì dall’inerzia del professionista che omise ogni annotazione dei movimenti di “cassa” in quanto egli non era stato remunerato; e quanto agli ulteriori rilievi dei giudici (opacità conseguente a prelievi inconfessabili) la mancata considerazione delle argomentazioni del curatore; infine evidenziano che l’assunto accusatorio urta con il giudizio di tenuità del dolo (al limite del dolo eventuale) ipotesi non consentita per questa tipologia di reato;

– omessa motivazione sulla censura dedotta con i motivi di appello quanto alla esclusione della responsabilità di J.R. che assunse la carica gestoria nel novembre del 2001 e che, pertanto, non può essere chiamato a rispondere della mancata consegna dei partitali e dell’annotazione sul Libro Giornale, due condotte diverse tra loro e sorrette da un difforme elemento psicologico.

In diritto

Non è dato ravvisare contraddizione alcuna nell’addebito di grave omissione annotativa ai due prevenuti, succedutisi nella carica di amministratore unico di M.

Infatti, sono gli stessi ricorrenti a ritenere che la figura di bancarotta fraudolenta documentale sia contrassegnata dal dolo specifico. L’integrazione di detto reato, di cui alla seconda ipotesi dell’art. 216, 1° comma, n. 2, L. fall., postula il solo dolo generico, ossia la consapevolezza che la confusa tenuta della contabilità renderà o potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio, in quanto la locuzione «in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari» connota la condotta e non la volontà dell’agente, sicché è da escludere che essa configuri il dolo specifico (giurisprudenza costante; da ultimo cfr. Cass. pen., sez. V, 25 marzo 2010, n. 21872, Laudiero).

Del pari è del tutto logica l’argomentazione che desume la rappresentazione dell’evento pregiudizievole dalla condotta omissiva, ancorché essa sia derivata dal comportamento di un professionista inerte: invero, l’imprenditore che esercita un’attività commerciale è obbligato, personalmente, alla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili nella propria azienda; egli può avvalersi dell’opera di un tecnico, sia esso un proprio dipendente o un libero professionista, ma resta sempre responsabile per l’attività da costoro svolta nell’ambito dell’impresa; in caso di fallimento, quindi, risponde penalmente dell’attività e delle omissioni delle persone da lui incaricate che non hanno tenuto i libri e le scritture contabili prescritte dalla legge, principio valido anche per i delitti punibili soltanto a titolo di dolo (bancarotta fraudolenta documentale, cfr. Cass. pen., sez. V, 1.10.1998, Mollo, Ced Cass., rv. 212147).

Le considerazioni che precedono privano di interesse lo scrutinio del secondo motivo, non potendosi differenziare le due posizioni in ragione dell’elemento psicologico, uguale per entrambe le ipotesi. In tema di nesso di causalità tra l’azione illecita nel reato di bancarotta ed il dissesto, risulta decisivo il rilievo che il delitto viene ad esistenza soltanto con la sentenza dichiarativa del fallimento. Pertanto, anche se nel tempo vi fu avvicendamento degli amministratori in momenti successivi, la circostanza risulta ininfluente in termini di penale responsabilità, quando – comunque – decisivo il convincimento (fatto proprio da giurisprudenza ormai consolidata) che il reato fallimentare viene ad esistenza al momento della sentenza del giudice fallimentare. Pertanto, la lesione agli interessi protetti si colloca al momento della dichiarazione del fallimento, non a quello delle condotte gestorie. Dunque, anche se dette condotte risultano nel tempo ad esso antecedenti (ed ancorché siano esplicate in momenti cronologici differenti), esse riflettono i loro effetti al momento dell’apertura della procedura concorsuale, essendo fra loro concorrenti nella serie causale disciplinata dall’art. 41 c.p.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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