Cass. civ. Sez. I, Sent., 28-01-2011, n. 2107 Espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 27.7.1994 T.A. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Napoli il Consorzio Quarto – Pozzuoli ed il Funzionario CIPE, per sentirli condannare alla restituzione di un’area di sua proprietà illegittimamente occupata, previa riduzione in pristino, ovvero al pagamento del relativo valore venale e dei frutti non percepiti.

I convenuti, costituitisi, chiedevano il rigetto della domanda, che viceversa il tribunale accoglieva nei confronti del Consorzio, condannandolo al pagamento di L. 29.424.000, oltre interessi e rivalutazione, quale controvalore dell’area acquisita.

La decisione, impugnata in via principale dal Consorzio ed in via incidentale dalla T., veniva parzialmente modificata dalla Corte di Appello che in particolare, sui diversi profili sottoposti al suo esame, rilevava: l’inefficacia del decreto di occupazione disposto dal Funzionario CIPE con ordinanza del 7.11.1989, per essere intervenuta l’acquisizione delle aree oltre il termine di sei mesi dall’emanazione dell’ordinanza ivi previsto; la legittimazione – contestata – della T. alla proposizione dell’azione risarcitoria, ritenendo accertata la circostanza dell’avvenuta trasformazione dell’area in data successiva all’acquisto della proprietà da parte sua; la qualità acquisitiva dell’occupazione in oggetto, perdurando la sussistenza della dichiarazione di pubblica utilità; la perdurante occupazione dell’intera area da parte dell’Amministrazione, indirettamente risultante anche dalla circostanza che la T. non aveva formulato richieste di restituzione ed aveva anzi prestato acquiescenza alla sentenza appellata nella parte in cui le era stato riconosciuto il risarcimento per la parte di fondo illegittimamente occupato; la natura agricola del terreno in questione; la concorrente responsabilità del Consorzio, esclusa dal giudice di primo grado.

Avverso la decisione quest’ultimo proponeva ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, poi ulteriormente illustrati da memoria, cui non resistevano gli intimati.

La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 17.12.2010.

Motivi della decisione

Con i motivi di impugnazione il Consorzio Quarto Pozzuoli ha rispettivamente denunciato:

1) violazione del D.Lgs. N. 354 del 1999, art. 9, comma 2, e L. n. 865 del 1971, art. 20 per aver la Corte territoriale ritenuto che il decreto di occupazione avesse perso efficacia alla data dell’esecuzione, per il decorso del termine di tre mesi dalla sua adozione. La normativa vigente sarebbe stata infatti erroneamente interpretata, perchè la proroga con essa disposta non avrebbe avuto ad oggetto le occupazioni in corso, ma i termini di efficacia dei decreti di occupazione emessi per la realizzazione degli interventi di cui alla L. n. 219 del 1981, ed avrebbe avuto, inoltre, efficacia retroattiva;

2) vizio di motivazione, con riferimento all’affermata legittimazione di T.A., sotto il duplice aspetto che, al fine di determinare l’antecedenza o meno del suo acquisto del terreno rispetto alla realizzazione dell’opera pubblica, il giudice avrebbe dovuto tener conto esclusivamente dell’ultimazione dei lavori insistenti sul fondo in questione (e non dell’intera opera), e su tale ultimo punto sarebbe stata fornita adeguata dimostrazione;

3) violazione dell’art. 2697 c.c. e vizio di motivazione, con riferimento all’affermato perfezionamento di un’ipotesi di accessione invertita per l’intera superficie indicata nell’ordinanza di occupazione, e non soltanto quindi per quella utilizzata per la realizzazione dell’opera pubblica. La decisione sarebbe errata, in quanto non sarebbe stata legittima la presunzione di una coincidenza dei termini dell’occupazione con le previsioni contenute nel decreto, mentre sarebbe stato onere dell’attore provare i termini ed i limiti dell’apprensione;

4) violazione dell’art. 2043 c.c. e vizio di motivazione in relazione alla determinazione dell’indennità di occupazione, correttamente riferita ad un terreno agricolo, ma mal calcolata per l’avvenuta applicazione di un moltiplicatore previsto per l’indennità di stima di terreni edificatori;

5) violazione dell’art. 1224 c.c., L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis per il riconoscimento della rivalutazione monetaria, che sarebbe stata viceversa da escludere trattandosi di obbligazione di valuta.

Il ricorso è infondato.

Ed infatti, quanto al primo motivo va rilevato che il ricorrente confonde il termine entro il quale va eseguita l’occupazione con quello entro il quale il relativo procedimento deve essere concluso e che questa Corte, con una giurisprudenza sostanzialmente costante, ha reiteratamente affermato che la proroga normativamente stabilita deve trovare applicazione per consentire la definizione delle occupazioni in corso legittimamente iniziate, e non già per spostare in avanti il termine iniziale dell’occupazione al fine di assicurarne l’efficacia (C. 08/13358, C. 01/4088, C. 00/1814, C. 00/415), in tal modo stabilendo il principio che il recupero di legittimità e di efficacia D.Lgs. n. 354 del 1999, ex art. 9, comma 2 vale solo se non si è perfezionato l’illecito acquisitivo, per l’illegittimità dell’occupazione e la trasformazione del suolo.

Da ciò consegue che correttamente la Corte di Appello ha ritenuto che il termine in questione fosse decorso e che l’occupazione del terreno, quindi, fosse illegittima.

In ordine al secondo si rileva innanzitutto che, a parte la confusione fra questione di merito e di legittimità che si evince dall’esame della censura e la dubbia configurabilità di un vizio di motivazione per quanto riguarda la prima, la Corte di Appello ha respinto l’eccezione di carenza di legittimazione della T. sulla base dei seguenti elementi: a) l’irreversibile trasformazione del fondo sarebbe avvenuta in data 20.10.91; b) l’immissione in possesso della T. si sarebbe verificata il 19.4.91; c) l’atto di compravendita sarebbe stato stipulato in epoca antecedente.

Da ciò la Corte territoriale ha dedotto che al momento della trasformazione del fondo la T. era proprietaria del bene e che pertanto la tesi secondo cui le originarie proprietarie C. e C.F. non avrebbero potuto trasferire la proprietà del terreno alla T., per averla persa a seguito della trasformazione del fondo, sarebbe del tutto inconsistente.

Si tratta di valutazione in fatto sorretta da motivazione immune da vizi logici e che risulta per di più non ben contestata atteso che la censura, avente ad oggetto una pretesa non corretta valutazione della Corte di appello, non risulta calibrata sul profilo di erroneità riscontrato nell’asserita (e viceversa affermata) carenza di legittimazione della T.. Nel merito poi non sembrano inutili due ulteriori considerazioni, consistenti rispettivamente nel fatto che il giudicante ha comunque considerato le deduzioni svolte dal consulente di parte, disattendendole, e che l’assunto secondo cui il giudizio sulla determinazione della data dell’irreversibile trasformazione del fondo avrebbe dovuto essere parametrato sulla parte di opera eseguita sul fondo della T., e non già su quella realizzata sull’intera area espropriata, appare per di più nuova.

Anche il terzo motivo, con il quale il ricorrente ha lamentato un’errata applicazione dei criteri di ripartizione dell’onere probatorio, è privo di pregio. Contrariamente a quanto sostenuto, infatti, la Corte territoriale non ha addebitato al Consorzio l’onere di dare dimostrazione di fatti posti a base della pretesa creditoria della T., che in quanto tali avrebbe dovuto quest’ultima dimostrare, ma ha più semplicemente ritenuto che vi fosse prova dell’avvenuta concreta occupazione dell’intero fondo della T. su cui è controversia.

Ciò in particolare sulla base di specifiche considerazioni analiticamente rappresentate, quali segnatamente: a) la presunzione, in mancanza di elementi in senso contrario, dell’attuazione dell’occupazione in conformità di quanto disposto con il decreto autorizzativo; b) l’assenza di un formale atto di restituzione al proprietario di aree non utilizzate; c) l’irrilevanza del fatto che i pilastri del viadotto insisterebbero soltanto su una parte dell’area compresa nel decreto di occupazione, non potendosi da ciò desumere la cessazione dell’occupazione delle aree rimanenti; d) la persistenza di un vincolo di destinazione alla realizzazione dell’opera pubblica, impresso dalla dichiarazione di pubblica utilità su tutta l’area considerata dal decreto di occupazione; e) la proprietaria non ha formulato alcuna richiesta di restituzione (anche parziale) del fondo, non ha manifestato l’intenzione di chiederne la retrocessione ed ha anzi prestato acquiescenza alla sentenza appellata nella parte in cui è stato riconosciuto il risarcimento per la porzione di fondo illegittimamente occupato.

Si tratta dunque di valutazioni di merito sorrette da sufficiente motivazione, non viziata sul piano logico, e pertanto non sindacabile in questa sede di legittimità.

Per il quarto motivo, avente ad oggetto la quantificazione dell’indennità di occupazione, va considerato che la Corte di Appello l’ha liquidata facendo corretto riferimento alla natura agricola del terreno (e sul punto non vi è contestazione), circostanza da cui discende che la relativa valutazione deve essere effettuata ai sensi della L. n. 1359 del 1992, art. 5 bis, commi 3 e 4, che richiamano il titolo secondo della L. n. 1865 del 1971 ed in base ai quali la stima deve essere dunque effettuata con un parametro di riferimento corrispondente al terreno agricolo medio secondo i tipi di coltura (C. 10/12862, C. 09/10217, C. 07/6980, C. 06/1319 C. 04/10280), criterio cui risulta essersi attenuta la Corte di Appello, che ha richiamato in proposito i "valori agricoli medi". Per di più non sembra inutile rilevare che la censura appare anche viziata sul piano dell’autosufficienza, atteso che il ricorrente non ha spiegato i motivi per i quali il computo effettuato dalla Corte territoriale sarebbe errato e in contrasto con i valori agricoli medi di cui è stata affermata l’applicazione. Resta infine il quinto ed ultimo motivo, con il quale il Consorzio si è doluto dell’avvenuto riconoscimento della rivalutazione monetaria, doglianza che è sostanzialmente soltanto enunciata, pur se sostenuta da una decisione di questa Corte (C. 02/4766) che peraltro appare non correttamente richiamata perchè (per la parte di interesse) incentrata sulla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, dichiarato incostituzionale con la sentenza 07/349.

Al contrario va evidenziato come il riconoscimento della rivalutazione monetaria sia in linea con la natura "lato sensu" risarcitoria dell’indennità, oltre che con la giurisprudenza di questa Corte (C. 08/3189, C. 05/19511, C. 03/4070, e la stessa C. 02/4766 per i principi in essa affermati) , che si è più volte pronunciata nel senso indicato dalla Corte territoriale.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, mentre nulla va stabilito in ordine alle spese processuali, poichè l’intimata non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *