Cass. civ. Sez. III, Sent., 27-01-2011, n. 1882 Opposizione all’esecuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p. 1. B.G. ha proposto ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, avverso la sentenza del 1 dicembre 2007, con cui il Tribunale di Prato ha accertato che essa ricorrente non è munita di idoneo titolo esecutivo per procedere nell’esecuzione immobiliare n.r.g. Es. 194/93 R.G., pendente nei confronti di Be.Ro. su iniziativa della creditrice procedente Cassa di Risparmio di Prato, ed ha rigettato l’istanza del Be. di dichiarazione di estinzione della procedura esecutiva.

Per quello che espone il ricorso la B., quale creditrice intervenuta nel detto procedimento esecutivo, presentava istanza di vendita dell’immobile pignorato, dichiarando di essersi surrogata per pagamento nel diritto di credito della creditrice procedente di cui al titolo esecutivo posto a base dell’esecuzione, costituto dal decreto ingiuntivo n. 1297/91, emesso dal Tribunale di Prato a favore della detta Cassa e in via solidale contro essa ricorrente, la Roccatura Signori Alfio & C. s.n.c., S.A., il Be. e C.M.. All’udienza di comparizione successiva del 18 ottobre 2005 il Be. eccepiva l’avvenuta estinzione della procedura esecutiva per rinuncia della Casa di Risparmio intervenuta il 27 settembre 1994 e adduceva che il pagamento in pretesa surrogazione era avvenuto successivamente.

Il Giudice dell’Esecuzione riteneva che l’eccezione di estinzione del debitore integrasse un’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. e assegnava termine per l’iscrizione a ruolo del procedimento, cui provvedeva il Be., il quale nelle proprie conclusioni chiedeva dichiararsi l’avventa estinzione dell’esecuzione e rigettarsi l’istanza di vendita.

La B., invece, chiedeva: a) rigettarsi l’istanza di estinzione assumendo che la rinuncia non era stata seguita dall’ordinanza di estinzione del giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 629 c.p.c., comma ultimo, e art. 306 c.p.c., comma 3; b) dichiararsi che il debitore esecutato non aveva mai fatto valere la rinuncia ed era decaduto dal diritto di opporre la relativa eccezione ai sensi dell’art. 630 c.p.c., comma 2; c) dichiararsi che il credito per cui la B. aveva spiegato l’intervento in data 20 settembre 1994 era "fondato su titolo esecutivo, dato che l’esistenza e la documentalità del titolo devono valutarsi alla data odierna e che il titolo in questione, rappresentato dal decreto ingiuntivo n. 1297/91 del Tribunale di prato, munito di formula esecutiva in favore della Sig.ra B. in data 25.2.2005, è stato prodotto con l’istanza di vendita depositata il 17.3.2005, con la conseguenza che la creditrice intervenuta ha diritto di dare impulso alla procedura esecutiva"; d) dichiararsi che la B. aveva spiegato un secondo atto di intervento il 14 novembre 2005 sempre sulla base del detto titolo onde aveva diritto di dare impulso all’esecuzione; e) rigettarsi l’opposizione all’esecuzione.

2. Al ricorso ha resistito con controricorso il Be..

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

p. 1. Con l’unico motivo prospettato – concluso da idoneo quesito di diritto – il ricorso denuncia "violazione degli artt. 474 e 475 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3".

Si censura la motivazione della sentenza impugnata esclusivamente – anche se non lo si dice – con riferimento alla statuizione che ha negato l’esistenza di titolo esecutivo a favore della B., cioè là dove, dopo avere premesso che "il diritto del condebitore solidale alla surroga ex art. 1203 c.c., n. 3 o al regresso ex art. 1299 c.c. non sorge se non con il pagamento della somma di cui il solvens pretende la rivalsa", ha affermato "che quindi il condebitore ha l’onere di munirsi di titolo esecutivo che accerti il pagamento e condanni gli altri condebitori solidali al rimborso", concludendo in conseguenza che la spedizione in forma esecutiva del decreto ingiuntivo a favore della B. era avvenuta illegittimamente e che la B. non era munita di titolo per dare impulso alla procedura esecutiva.

In sostanza si lamenta che il Tribunale abbia ritenuto che nella situazione determinata dal pagamento alla Cassa da parte della B., quale condebitrice solidale ingiunta insieme al Be., oltre che ad altri soggetti, della somma oggetto del decreto ingiuntivo divenuto definitivamente esecutivo, non si fosse originata una fattispecie che legittimava la B. a chiedere al cancelliere del Tribunale di Prato, previa esibizione dell’atto di quietanza del pagamento, il rilascio di una copia dello stesso decreto con l’apposizione della formula esecutiva a favore della B., sì da legittimarla a far valere il decreto come titolo esecutivo a suo favore nei confronti del Be.. Ciò, nella veste di surrogata alla creditrice nei diritti verso il Be. per intervenuto pagamento alla stessa, sia pure nella qualità ulteriore di coobbligata al pagamento e, quindi, di titolare, evidentemente nei limiti e secondo le vicende dei rapporti interni con lo stesso Be. in relazione al vincolo di solidarietà, di una pretesa di regresso (in tutto od in parte). p. 2. La censura così prospettata riguarda esclusivamente la statuizione della sentenza impugnata in ordine alla sussistenza del diritto di procedere all’esecuzione della B. in forza del titolo esecutivo rappresentato dal decreto ingiuntivo e nella veste di successore a titolo particolare per effetto della fattispecie di surrogazione per pagamento e con gli eventuali limiti derivanti dal rapporto di condebito fra le odierne parti. Nessuna impugnazione, viceversa, è stata svolta riguardo alla statuizione della sentenza impugnata con cui è stato rigettata l’istanza del Be. di dichiarazione di estinzione del processo esecutivo. Il motivo svolto con il ricorso, infatti, non riguarda in alcun modo tale statuizione. p. 2.1. Così delimitato l’ambito dell’impugnazione svolta dalla B., il Collegio rileva che si deve escludere la configurabilità di un problema pregiudiziale di rito che apparentemente poteva emergere per effetto della constatazione che la sentenza impugnata – ancorchè nè nel ricorso nè nel controricorso nè nella sentenza nulla si dica su come vi venne coinvolta, cioè per effetto di una vocatio di chi – risulta pronunciata anche nei confronti della Cassa di Risparmio di Prato, contro la quale il ricorso non è stato proposto.

Tale circostanza, infatti, sollecita l’interrogativo sul se quest’ultima dovesse necessariamente essere evocata in questa sede come parte necessaria del giudizio di impugnazione ai sensi dell’art. 331 c.p.c., oppure rivestisse la posizione di parte eventuale ai sensi dell’art. 332 c.p.c..

All’interrogativo va data risposta nel secondo senso perchè la posizione di parte del giudizio di merito della Cassa, avuto riguardo all’oggetto di quel giudizio per come individuato, in assenza di altri elementi, dalle conclusioni delle parti per come riprodotte nel ricorso e nella sentenza, era da riferire alla domanda del Be. intesa ad ottenere la declaratoria dell’estinzione del giudizio di esecuzione per l’intervenuta rinuncia della Cassa e non anche alla domanda di accertamento negativo del diritto di procedere all’esecuzione svolta nei confronti della B.. Solo riguardo alla prima richiesta la qualità di parte del giudizio di esecuzione della Cassa, quale creditrice procedente e autrice della pretesa rinuncia imponeva la sua partecipazione al giudizio, perchè la posizione della Cassa era direttamente oggetto del chiesto accertamento. E’ ben vero che l’estinzione per rinuncia era stata dedotta dal Be. anche come fatto costitutivo dell’inesistenza del diritto della B. di dare impulso all’esecuzione nella sua qualità di creditrice interveniente titolata, ma tale deduzione non comportava che la domanda sottesa all’opposizione all’esecuzione spiegata dal Be. contro la B. vedesse come parte anche la Cassa.

Essendo, infatti, quest’ultima parte, cioè destinataria, della domanda di accertamento dell’estinzione del processo esecutivo della quale il Tribunale si ritenne investito in sede cognitiva (anzichè provvedere come avrebbe dovuto con ordinanza denegatoria ai sensi dell’art. 306 c.p.c. nelle funzioni di giudice dell’esecuzione, riguardo alla quale sarebbe stata semmai esperibile l’opposizione agli atti ai sensi dell’art. 617 c.p.c.), non v’era alcuna ragione per ritenere estesa la domanda di opposizione all’esecuzione proposta dal Be. per contestare il diritto di procedere all’esecuzione della B. anche alla Cassa. Infatti, l’accertamento dell’estinzione di cui si ritenne investito in sede cognitiva il Tribunale era già accertamento coinvolgente tutte e tre le parti e, quindi, una volta intervenuto, vincolante per il Be. e la B. anche in relazione al giudizio di opposizione all’esecuzione. Nè risulta che alcuna delle due parti di tale giudizio avesse chiesto di estendere alla Cassa (evidentemente in funzione di invocazione ai fini di un successivo giudizio sulla complessiva vicenda) l’accertamento scaturente sull’opposizione all’esecuzione quanto alla contestazione del diritto di procedere all’esecuzione della B. sulla base della successione nella pretesa esecutiva. p. 2.2. Riguardo al ricorso proposto dalla B., dunque, la posizione della Cassa, in quanto l’impugnazione con esso proposta concerne solo il giudizio sull’opposizione all’esecuzione, è quella di chi nel giudizio cui l’impugnazione si riferisce era parte riguardo ad una domanda connessa e collegata a quella cui l’impugnazione si riferisce e lo era secondo un nesso di scindibilità, trattandosi soltanto di connessione oggettiva, dipendente dal fatto che l’uno e l’altro giudizio concernevano la stessa esecuzione forzata. E’ vero, infatti, che l’accertamento sull’estinzione dell’esecuzione si poneva rispetto a quello sul diritto di procedere all’esecuzione della B. secondo un nesso di dipendenza, cioè nel senso che l’esito dell’accertamento sul secondo poteva dipendere dall’esito di quello sulla prima, in quanto ove fosse stata accertata l’estinzione della procedura esecutiva, si sarebbe anche accertata l’impossibilità della B. di procedere all’esecuzione dando impulso alla procedura esecutiva pendente. Ma – in disparte il rilievo che l’oggetto dell’accertamento sotteso alla contestazione del diritto di procedere all’esecuzione, se non altro per come esteso dalla B. conceraeva non solo il diritto di procedere all’esecuzione dando impulso alla procedura pendente, ma anche l’esistenza del diritto di procedervi dando impulso ad una nuova esecuzione e, quindi, la pretesa esecutiva a prescindere dall’esecuzione pendente – il ricorso per cassazione della B., avendo riguardato soltanto l’accertamento sul diritto di procedere all’esecuzione (e, quindi, la domanda di opposizione all’esecuzione) senza coinvolgere l’accertamento sull’inesistenza dell’estinzione della procedura esecutiva (e, quindi, la domanda di dichiarazione dell’estinzione), postula una decisione in questa sede di legittimità che, lasciando immutato quest’ultimo accertamento, la rende compatibile, quale che sia l’esito, con esso: infatti, sia che il ricorso per cassazione venga accolto, sia che venga rigettato, detto accertamento (sull’inesistenza dell’estinzione) resterà pienamente compatibile e non in contraddizione con l’uno o l’altro, cioè sia con il mantenimento della decisione del Tribunale che ha negato il diritto di procedere esecutivamente in capo alla B., sia con il suo rovesciamento e l’eventuale riconoscimento di tale diritto.

Ricondotta, in forza di tali rilievi, la posizione della Cassa all’art. 332 c.p.c., v’è da constatare che, essendo ormai preclusa l’impugnazione da parte di essa quanto alla decisione sull’estinzione del processo esecutivo, sempre che vi avesse avuto interesse, non è necessario ordinare la notifica del ricorso nei suoi confronti. p. 3. Venendo allo scrutinio del motivo, il Collegio rileva che esso, indipendentemente dalla soluzione della questione di diritto che esso propone ed in base alla quale il Tribunale ha ritenuto insussistente il diritto della B. di procedere all’esecuzione forzata, non può essere accolto perchè l’inesistenza di tale diritto emerge -per quanto si dirà – dalla rilevazione che deve farsi dell’esistenza di un giudicato esterno, formatosi fra le odierne parti, con il quale è stato accertato che quel diritto non sussiste per una ragione che prescinde dal se la B., nella qualità di surrogata per pagamento nella pretesa consacrata nel decreto ingiuntivo a favore della Cassa di Risparmio di Prato potesse, quale successore a titolo particolare di quest’ultima nella posizione creditoria verso il Be., valersi del decreto come titolo esecutivo verso il medesimo.

Prima di procedere alla rilevazione del giudicato esterno, il Collegio osserva che su questa questione, che pone un problema di esegesi dell’art. 475 c.p.c., comma 2, là dove ammette la successione a titolo particolare di un terzo nella pretesa esecutiva al soggetto che in esso rivesta la posizione di titolare di quella pretesa, la soluzione data dal Tribunale non appare corretta alla luce del precedente, correttamente invocato dalla ricorrente, di cui a Cass. n. 9195 del 1995. Questa sentenza, infatti, ha affermato il seguente principio di diritto, di cui alla massima ufficiale: "Il successore a titolo particolare o universale nel diritto, ove intende agire "in executivis" utilizzando il titolo formato in favore del suo dante causa, non ha l’onere di far precedere l’esecuzione forzata dalla notificazione degli atti o dei documenti che comprovano la successione, essendo sufficiente la notifica del detto titolo originario, che il pubblico ufficiale può rilasciare in forma esecutiva al successore, previa verifica della prova della successione, salva la possibilità, per l’esecutato, di contestarne in giudizio la validità e l’efficacia mediante opposizione. Ne consegue che l’esecuzione forzata promossa dal cessionario di un credito non deve essere preceduta dalla notifica, al debitore, del negozio di cessione che si perfeziona, nei rapporti tra il cedente ed il cessionario, in virtù del solo consenso da essi espresso ed attribuisce senz’altro al cessionario la veste di creditore esclusivo e, quindi, di esclusivo legittimato a pretendere la prestazione anche se sia mancata la notificazione prevista dall’art. 1264 cod. civ., questa essendo necessaria al solo fine di escludere l’efficacia liberatoria del pagamento eventualmente effettuato al cedente anzichè al cessionario dal debitore".

Poichè il pagamento del confideiussore ai sensi dell’art. 1954, quale fenomeno riconducibile all’ambito dell’art. 1299 c.c, si deve considerare anche fattispecie di surrogazione ai sensi dell’art. 1203 c.p.c., n. 3 (in termini Cass. n. 13180 del 2007 nella motivazione), giacchè questa norma fa riferimento anche al pagamento di chi sia tenuto con altri (e la riconducibilità del fenomeno a detta norma non sembra negata da quella giurisprudenza che, con riferimento all’ipotesi di fideiussioni distinte relative ad un unum debitum evoca comunque sempre l’art. 1203 c.p.c., n. 3: si veda Cass. n. 8605 del 2004), nella specie il pagamento della B. quale confideiussore determinò certamente un fenomeno di successione a titolo particolare nella posizione creditoria della Cassa di Risparmio verso gli altri coobbligati, ma, naturalmente, secondo le previsioni del loro rapporto interno.

Ne segue che nel far valere la sua pretesa esecutiva la B., dunque, correttamente agì ai sensi dell’art. 475 c.p.c., comma 2, nella veste di successore a titolo particolare della creditrice consacrata nel titolo esecutivo rappresentato dal decreto ingiuntivo, ma naturalmente la sua pretesa esecutiva, in quanto fondata non solo sul titolo, ma anche sul pagamento eseguito e sull’ atteggiarsi dei rapporti interni alla confideiussione e particolarmente del rapporto con il Be., per questi aspetti si connotava come pretesa fondata su situazioni non coperte dallo stesso titolo giudiziale e contestabili dal Be. in guisa non diversa da come il debitore esecutato può contestare un titolo esecutivo stragiudiziale.

Il Tribunale di Livorno non avrebbe potuto negare alla B. la qualità di titolare di una pretesa esecutiva rilevando che la formula esecutiva era stata concessa a soggetto diverso da quello a favore del quale il titolo era stato emanato e pretendere che la situazione del pagamento e del diritto a rivalersi fossero a loro volta oggetto di previo accertamento giudiziale. L’art. 475 c.p.c., comma 2, quando dice, infatti, che la spedizione in forma esecutiva e, quindi, l’adempimento formale necessario perchè talune specie di titoli esecutivi possano spendersi come tali può avvenire a favore del successore a titolo particolare o universale di colui a favore del quale il titolo si è formato, chiaramente sottende che la posizione di successore non deve risultare da ciò che l’art. 474 c.p.c. individua come titolo esecutivo, ma dev’essere dimostrata in modo idoneo all’autorità preposta al rilascio delle copia esecutiva e, quindi, al cancelliere (art. 153 disp. att. c.p.c.) e, se del caso, al capo dell’ufficio di fronte al rifiuto del cancelliere. La parte contro cui il titolo si è formato potrà, poi, contestare con l’opposizione all’esecuzione sia la verificazione della fattispecie di successione sia la sussistenza della possibilità per il creditore surrogato di rivalersi in tutto od in parte nei suoi confronti e, nel caso che il titolo per cui si è verificata la successione sia un titolo giudiziale, in alcun modo tali profili saranno coperti da esso. p. 4. Fermo quanto osservato, il Collegio deve rilevare, tuttavia e come s’è preannunciato, che v’è prova in atti della sopravvenienza rispetto alla decisione impugnata di una decisione coperta da giudicato la quale ha accertato che il diritto racchiuso nel titolo esecutivo, in cui la B. sarebbe succeduta per effetto del pagamento alla Cassa, non può essere esercitato nei confronti del Be., in ragione dell’atteggiarsi dei rapporti interni all’obbligazione solidale che la B. ed il Be. avevano nei confronti della Cassa nella qualità di cofideiussori della società contro cui venne emesso il decreto.

Detta decisione è rappresentata dalla sentenza n. 404 del 2007 del Tribunale di Livorno, che il resistente ha prodotto unitamente al ricorso.

Su questa decisione erano stati proposti ricorso per cassazione in via principale dalla B. e ricorso incidentale da parte del Be. e della moglie C.M. (anch’essa cooblligata solidale nel decreto ingiuntivo sempre nella qualità di cofideiussore della società). Entrambi i ricorsi, come ha rilevato nella memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. il Be. sono stati decisi da questa Corte con l’ordinanza n. 3966 del 20 aprile 2009, la quale, riuniti i ricorsi, li ha dichiarati entrambi inammissibili.

In tale modo sulla decisione del merito della lite cui la vicenda si riferiva nei termini emergenti dalla sentenza del Tribunale di Livorno si è formata cosa giudicata. L’oggetto di tale giudicato, per quello che si legge nella motivazione della sentenza, ha riguardato anche l’esistenza del diritto della B., per effetto del pagamento alla Cassa della somma, di rivalersi in regresso contro il Be.. La sentenza livornese ha negato tale diritto.

Ne consegue che a nulla varrebbe affermare che il Tribunale di Prato nella pronuncia qui impugnata ha negato erroneamente che la B. potesse, per effetto del pagamento alla Cassa, ottenere il rilascio della copia esecutiva del decreto in suo favore e valersene come titolo esecutivo, poichè tale titolo aveva valore di titolo giudiziale (e, quindi, sul punto indiscutibile in relazione a fatti anteriori alla sua formazione) relativamente all’esistenza del credito pagato dalla B. ed anche quanto al vincolo di solidarietà fra le odierne parti nella veste di confideiussori, mentre soltanto quanto al pagamento eseguito dalla B. (ma non è questo il punto che interessa) e – soprattutto – quanto al modo di essere del rapporto interno fra le parti e, quindi, all’effettiva esistenza del diritto della B. di rivalersi verso il Be., la pretesa esecutiva della B. (giusta quanto condivisibilmente adombrato proprio da Cass. n. 9195 del 1995) doveva considerarsi discutibile per non essere consacrata nel titolo, non diversamente che in un’esecuzione promossa sulla base di titolo stragiudiziale.

Tale affermazione, infatti, sarebbe inutile perchè il diritto di procedere esecutivamente della B. risulterebbe comunque insussistente giacchè le è stato già negato con vincolo di giudicato il diritto di regresso. p. 4.1. L’esistenza del giudicato negativo del diritto di regresso della B. per effetto dell’inammissibilità del ricorso per cassazione emerge per le seguenti ragioni, che si desumono dalla lettura della citata sentenza n. 404 del 2007.

Il giudizio deciso da essa venne introdotto da B.G. contro Be.Ro. e C.M. con un’opposizione avverso un pignoramento da loro eseguito nei suoi riguardi per il pagamento di spese processuali inerenti la sentenza di primo grado e quella (definitiva) di secondo grado, intervenute in uno dei tanti giudizi insorti fra le parti in relazione sempre alla vicenda delle loro posizioni debitorie comuni verso la Cassa.

A sostegno dell’opposizione la B. dedusse (non è chiaro se per la quota di spettanza di ciascuno dei due confideiussori, come parrebbe supporre la sentenza all’inizio della pagina quattro, ma è circostanza che in questa sede è irrilevante, o per l’intero) l’esistenza di un suo maggiore controcredito rappresentato proprio dalla pretesa di regresso per intervenuta surrogazione per il pagamento della somma di cui al noto decreto ingiuntivo. Essendo stato l’accertamento del controcredito eccepito in compensazione domandato in via diretta con l’opposizione all’esecuzione e, quindi, con la domanda introduttiva del giudizio si trattava di accertamento richiesto con efficacia di giudicato su tutto il credito e ciò indipendentemente dall’atteggiamento degli opposti, che comunque ne contestarono (con argomenti che qui è irrilevante riferire) l’esistenza, il che, nella situazione in cui il controcredito è eccepito per paralizzare l’avversa domanda, per ciò solo determina l’esigenza di accertarlo con efficacia di cosa giudicata. La sentenza livornese, del resto, espressamente anche se sfuggevolmente si è mossa in conformità a quanto appena affermato, posto che a pagina otto ragiona di domanda di compensazione.

Ciò premesso, si rileva che la sentenza coerentemente risulta avere proceduto all’accertamento dell’esistenza o meno del controcredito e tale accertamento, poichè le parti avevano l’onere di deduzione di tutti i fatti idonei a dimostrare l’esistenza o l’inesistenza del controcredito, non ha potuto che comportare l’estendersi del vincolo della decisione in proposito sia a quanto dedotto che a quanto non dedotto e deducibile.

Ora, la sentenza de qua, dopo avere escluso che l’esistenza del controcredito della B., come invece, essa aveva invocato, risultasse dal giudicato verificatosi sul merito proprio per effetto delle due sentenze cui si riferivano le spese processuali esecutate, ha altresì escluso che il controcredito fatto valere in via di regresso, nonostante il pagamento alla Cassa, espressamene ritenuto incontestato, fosse stato dimostrato, osservando testualmente, dopo avere rilevato che il decreto ingiuntivo non consacrava il diritto di regresso, quanto segue: "L’unica situazione incontestata è che la B. abbia pagato un debito della S.R. ma rimane indimostrato che la stessa sia titolare di regresso tanto più per essere stato dimostrato da parte convenuta in opposizione che altro pagamento in favore della Cassa risulta eseguito dalla famiglia Be. per un importo pari a quello del debito pagato dalla B. e che tali pagamenti hanno messo fine alla cospicua esposizione che nei confronti della Cassa avevano le due società facenti capo alle famiglie S. e Be., società che i testi escussi hanno dichiarato essere l’una la prosecuzione giuridica dell’altra (e per le quali si erano costituite fideiussori le medesime persone che ne erano soci). Sul punto significativa è la deposizione della teste Be.St. che ha dato contro proprio del fatto che la Elpatex si era assunta il debito verso la banca della S.R., che aveva cessato di fatto di operare già nel dicembre del 1984 e che … "di fatto la Elpatex era la S.R." oltre che del fatto che, con il pagamento ad iniziativa della famiglia Be. erano state estinte le esposizioni di tale famiglia verso la cassa sia per la R. che per Elpatex. Le ulteriori deposizioni assunte hanno confermato che il pagamento della famiglia Be. andava a estinguere la esposizione verso la Cassa di Risparmio. Tale essendo il quadro delle risultanze, appare chiaro come le prove introdotte da parte attrice non consentono, per i limiti che si sono evidenziati, di ritenere dimostrata la estinzione, per compensazione, del credito fatto valere in via esecutiva dai signori C. e Be., e ciò non solo e non tanto perchè le prove introdotte ex adverso introducono la circostanza che il pagamento effettuato dalla B. come quello poi eseguito per il B., abbiano essi chiuso la esposizione verso Casa di Risparmio delle due società facenti capo ai gruppi familiari, ma soprattutto perchè nè i giudicati invocati, nè il decreto ingiuntivo azionato sono idonei ex se a ritenere dimostrato il diritto di regresso della B. e, dunque, la compensazione del credito azionato dagli opposti con quello della opponente. Va solo aggiunto che la circostanza che la Banca abbia ritenuto di imputare il pagamento eseguito dalla B. alla posizione debitoria della R. non appare decisivo per fondare il diritto di regresso asserito dalla B. stessa, tenuto conto dei diversi interessi che si agitavano e soprattutto del fatto che, prima di quello della B., era stato eseguito il pagamento della Be. "imputato" per risalenza e vetustà ai debiti della Elpatex, con ciò nuovamente accreditandosi la possibilità che le transazioni successive alla formazione del titolo abbiano chiuso la esposizione delle società verso la Cassa e che le "imputazioni " abbiano assolto solo a esigenze del creditore esecutante Cassa di Risparmio".

E’ di tutta evidenza da questa motivazione che la sentenza del Tribunale di Livorno accertò l’inesistenza del credito fatto valere in regresso dalla B. verso il Be..

Il giudicato formatosi su tale accertamento dev’essere allora rilevato da questa Corte e si configura come ragione che, escludendo l’esistenza in capo alla B., per effetto della surrogazione per il pagamento effettuato alla Cassa, del diritto di rivalersi, in tutto od in parte, del pagamento in via di regresso in ragione dell’atteggiarsi del rapporto interno con il confideiussore Be., evidenzia l’inesistenza del diritto di procedere all’esecuzione forzata per la ragione che il credito, cioè la situazione sostanziale per cui dovrebbe avvenire l’esecuzione, non esiste a favore della B..

Ditalchè, per effetto della rilevazione del giudicato, si evidenzia una situazione per cui il dispositivo della sentenza impugnata, là dove ha dichiarato inesistente quel diritto è corretto e la motivazione, erronea là dove ha ritenuto – senza considerare il citato precedente di questa Corte – che detto diritto non fosse esistente per non essersi verificata una valida fattispecie ai sensi dell’art. 475 c.p.c., comma 2, dev’essere solo corretta in questo senso. p. 5. E’ da rilevare che riguardo alla produzione della sentenza del Tribunale di Livorno, la si deve ritenere consentita nonostante l’art. 372 c.p.c., perchè essa è stata pronunciata il 16 aprile 2007 e, quindi, dopo l’udienza di discussione orale della causa ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., che il ricorso dice tenuta il 17 novembre 2006, onde non poteva essere prodotta nel giudizio di merito. Inoltre, essendo il giudicato di cui si è detto scaturito soltanto dopo il deposito della citata ordinanza di questa Corte che rigettò i ricorsi principale ed incidentale su detta sentenza, il resistente avrebbe potuto produrre quest’ultima anche successivamente allo stesso deposito del ricorso (in termini si veda Cass. sez. un. n. 13916 del 2006).

Quanto, poi, alla considerazione da parte di questa Corte dell’ord. n. 9366 del 2009 essa è potuto avvenire indipendentemente dalla produzione da parte del resistente alla stregua dei principi affermati da Cass. n. 14014 del 2007 e ribaditi da Cass. 20802 del 2010, cioè attraverso la ricerca nei propri archivi. p. 6. Il ricorso è, conclusivamente, rigettato con la correzione della motivazione di cui si è detto in precedenza.

La circostanza che la motivazione della sentenza impugnata non era corretta e che il rigetto del ricorso avviene per la rilevazione di un giudicato sopravvenuto rispetto alla sua proposizione induce a compensare le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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