Cass. civ. Sez. III, Sent., 27-01-2011, n. 1881 Revocatoria fallimentare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La spa Banca Arditi Galati conveniva, davanti al tribunale di Bari, L.R. e B.C., al fine di sentire dichiarare l’inefficacia, nei suoi confronti, del fondo patrimoniale dagli stessi costituito in data 31.3.1999 in pregiudizio delle ragioni creditorie dell’attrice.

Deceduto nelle more il L., si costituivano i suoi eredi F. ed L.A. e la stessa B. sostenendo che non ricorrevano i presupposti dell’art. 2901 c.c., perchè la costituzione del fondo patrimoniale era antecedente al debito con la banca, sorto soltanto con la revoca dei fidi fra il novembre 1999 e l’aprile 2000.

Eccepivano, inoltre, il difetto di legittimazione della Banca perchè, essendo stato dichiarato il fallimento della ditta RL2 di L.R. il 26.6.2000, la relativa azione revocatoria competeva esclusivamente al curatore.

Con sentenza del 30.6.2004, il tribunale accoglieva la domanda.

A diversa conclusione perveniva la Corte d’Appello, investita dell’impugnazione da parte degli eredi L. e della B., che, con sentenza in data 11.8.2006, dichiarava improponibile l’azione revocatoria promossa dall’istituto di credito.

Affermava, a tal fine, l’erroneità della declaratoria di tardività del difetto di legittimazione attiva della Banca affermata dal primo giudice, ed in tal senso accoglieva l’appello proposto.

Ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi la spa Banca Arditi Galati.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. e della L. Fall., art. 64;

violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 163 e 345 c.p.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 3 e 5).

Al di là del potenziale rilievo di inammissibilità del motivo per una generica formulazione dei quesiti, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis nella specie, il motivo, comunque, non è fondato.

La costituzione del fondo patrimoniale per fronteggiare i bisogni della famiglia (artt. 167 ss. c.c.) non integra adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, anche quando proviene da entrambi i coniugi;

e ciò perchè, neppure in questo caso, l’atto di costituzione trova contropartita in un’attribuzione in favore dei disponenti.

Ne consegue che, in caso di fallimento di uno dei coniugi, l’atto di costituzione del fondo patrimoniale è inefficace rispetto ai creditori a norma della L. Fall., art. 64 (Cass. 16.7.2010 n. 16760;

cass. 2.2.2006 n. 2327; cass. 23.3.2005 n. 6267).

In via del tutto particolare, è stato statuito anche che se i beni destinati al fondo erano in comunione legale fra i coniugi, l’inefficacia dell’atto possa essere dichiarata solo per la quota spettante al coniuge fallito (Cass. 25.7.1997 n. 6954).

Nel caso in esame, l’unico dato contenuto nella parte espositiva della sentenza impugnata è che "Il 31 marzo 1999 i coniugi L. R. e B.C. costituivano in fondo patrimoniale per la famiglia le rispettive quote indivise dell’appartamento sito in …".

E, pertanto, evidente che, in mancanza di ulteriori elementi significativi dei rapporti patrimoniali fra i coniugi, l’inefficacia vada estesa – ai sensi della L. Fall., art. 64 – all’atto di costituzione del fondo tout court.

Nè alcun rilievo, a tal fine, potrebbe riconoscersi alle conclusioni – così come riportate in sentenza-rassegnate, in sede di appello, dal Fallimento "RL2 di Larizza Rocco" il quale, nel comunicare di avere proposto separata azione, ai sensi della L. Fall., art. 64, al fine di ottenere la declaratoria di inefficacia dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale, chiedeva una pronuncia dichiarativa della sua legittimazione esclusiva, e, solo in subordine, la limitazione degli effetti della sentenza alla quota di proprietà della B..

Una volta riconosciuta l’improponibilità della domanda da parte della Banca ricorrente, per appartenere la relativa legittimazione esclusivamente al curatore, è priva di rilievo la richiesta avanzata in via subordinata.

D’altra parte, la legittimazione dell’odierna ricorrente non può essere recuperata neppure sotto il profilo della qualità di fideiussore della B..

Questa, infatti, – come si legge in sentenza – aveva prestato in data 28.6.1998 fideiussione in favore della Banca con riferimento ad un rapporto di conto corrente intestato al L., quale titolare della impresa individuale poi fallita.

Ma, la B. è stata evocata in giudizio quale coniuge compartecipe alla costituzione del fondo patrimoniale e non nella sua qualità di fideiussore.

Ne deriva che la stessa non può essere considerata nella veste di coobligata di un’obbligazione solidale, per la quale la regola dell’improcedibilità nella sede ordinaria della domanda di adempimento e della conseguente attrazione a quella fallimentare, ai sensi della L. Fall., art. 24, non trova applicazione in caso di sopravvenuto fallimento di uno dei condebitori, qualora, contro tale soggetto, non sia svolta alcuna domanda volta ad ottenere un titolo per partecipare al concorso (Cass. 3.12.2009 n. 25403).

Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2901 e 2967 c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 3 e 5).

Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.

La ratio decidendi della sentenza impugnata non involge i profili di merito dell’azione revocatoria, esaminata dalla Corte di merito ad abundantiam, ma riguarda soltanto il profilo processuale relativo alla legittimazione attiva dell’appellata.

Ne deriva che, con la statuizione di improponibilità della domanda, la Corte di merito si è spogliata della potestas iudicandi con riferimento al merito della controversia.

Le ulteriori argomentazioni sul fondo della domanda, inserite nella motivazione soltanto "per mero scrupolo di completezza", quindi, non hanno alcun rilievo – come già detto – ai fini della decisione, di natura esclusivamente processuale. Con la conseguente inammissibilità, per difetto di interesse, dell’impugnazione che pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza impugnata (S.U. 20.2.2007 n. 3840; conformi succ. Cass. 5.6.2007 n. 13068; cass. 19.2.2009 n. 4053; cass. 9.4.2009 n. 8676).

Conclusivamente, il ricorso è rigettato.

Nessun provvedimento deve essere adottato in ordine alle spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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