Cass. civ. Sez. I, Sent., 24-01-2011, n. 1622 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il decreto impugnato, depositato l’11 aprile 2008, la corte d’appello di Venezia ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente p.t., alla corresponsione a favore della ricorrente M.V. della somma di Euro 1900,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, esclusa la rivalutazione, nonchè al rimborso della metà delle spese di lite, liquidate secondo il D.M. n. 127 del 2004, art. 11, comma 2, e dunque con riferimento al par. 4^ della Tabella A, per il danno non patrimoniale sofferto dalla ricorrente per la durata irragionevole del giudizio promosso avanti alla Corte dei Conti, iniziato con ricorso depositato il 29/1/2000, con cui la M. aveva chiesto la riliquidazione del trattamento pensionistico, ed ancora pendente alla data di deposito del ricorso ex L. n. 89 del 2001.

La corte territoriale, ritenuta la durata ragionevole: del giudizio presupposto in anni tre, considerato che il deposito del ricorso avanti alla corte dei conti era avvenuto il 29/1/00 e che il ricorso ex L. 89 del 2001 era stato depositato il 27/12/06, ha concluso per la durata irragionevole di anni tre e mesi undici, e, considerata l’irrilevanza della mancata presentazione dell’istanza di prelievo, non prevista nel giudizio pensionistico ed incompatibile con lo stesso, tenuto conto della posta in gioco, valutata anche con riferimento al fatto che la domanda era stata avanzata da una pluralità di soggetti, con partecipazione emotiva quindi affievolita, ha liquidato il complessivo importo di Euro 1900,00, oltre interessi legali dalla domanda.

Ricorre per cassazione la M., sulla base di due motivi; il ricorso è stato notificato alla Presidenza del Consiglio ed al Ministero dell’Economia e delle Finanze. La Presidenza ed il Ministero resistono con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1.1.- Con il primo motivo, la ricorrente sostiene la violazione dell’art. 6, par. 1 e dell’art. 41 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, la violazione della L. n. 89 del 1991, art. 2 e dell’art. 2697 c.c. per avere la corte territoriale ritenuto di liquidare solo Euro 1900,00 per la durata complessiva di anni 7 e mesi 11, disattendendo nei fatti la giurisprudenza della CEDU, ed il diritto vivente come interpretato dalla corte di cassazione e dalla corte di Strasburgo, secondo cui è dovuto l’importo di Euro 1000,00 – 1500,00 per anno;spetta all’amministrazione dare la prova di elementi ragionevoli riduttivi del normale danno, di cui non v’è allegazione nè prova, mentre deve ritenersi irrilevante la natura collettiva del ricorso.

1.2.- Con il secondo motivo, la ricorrente prospetta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 366 bis c.p.c., difetto di motivazione circa fatto controverso e decisivo per il giudizio: fatto controverso è la data di deposito del ricorso alla corte dei conti, se risalga al 29/1/99, come indicato nel ricorso per equa riparazione (e risultante alla pag. 2 della sentenza della Corte dei Conti) ovvero al 29/1/2000, come indicato dalla corte, senza alcun elemento di prova, da cui il difetto assoluto di motivazione per travisamento della data iniziale del ricorso presupposto; altro fatto controverso è se l’ansia, per essere considerata di modesta entità, possa affievolirsi in presenza di un partecipante al ricorso giurisdizionale collettivo in relazione alla asserita tenuità della posta in gioco, ma nel caso si tratta di pensionato ricorrente per trattamento pensionistico; la corte non ha valutato il caso concreto, giudicando sulla base di assiomi erronei ed apodittici, mentre risulta che la posta in gioco era rilevante.

2.1.- Va in primis dichiarata l’inammissibilità del ricorso come proposto e notificato al Ministero dell’Economia e delle Finanze, atteso che il giudizio di merito, introdotto con ricorso depositato il 27/12/2006 e definito con il decreto depositato l’11/4/2008, si è svolto legittimamente nel contraddittorio con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, atteso che nei giudizi di equa riparazione per violazione del termine ragionevole, della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1224 che ha modificato la L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 3, attribuendo al Ministero dell’Economia e delle Finanze la legittimazione residuale spettante in precedenza alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, si applica esclusivamente ai giudizi nella fase di merito introdotti successivamente all’entrata in vigore di detta modifica (L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1225) e non a quelli iniziati prima, come nel caso, e ritualmente svoltisi nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri (sul principio, vedi Cass. 21352/2009).

2.2.- Il primo motivo del ricorso è fondato, nei limiti di cui seguito esposti.

Ed invero, nel 1^ motivo, la ricorrente ha sostanzialmente prospettato la violazione da parte del giudice nazionale dei principi della giurisprudenza della CEDU e della corte di cassazione relativi al quantum del danno morale, individuato sulla base di parametri oggettivi nell’importo compreso tra Euro 1000,00 ed Euro 1500,00 ad anno per la durata irragionevole, mentre la corte territoriale ha liquidato un importo inferiore, ritenendo che il ricorso collettivo aveva comportato una partecipazione "affievolita" rispetto al ricorso individuale. Nel quesito formulato a conclusione del 1^ motivo, la ricorrente ha chiesto alla corte se nel giudizio di equa riparazione, la base di calcolo di Euro 1000,00 ad anno di ritardo ragionevole possa essere decurtata "avuto riguardo in concreto alla natura specifica di ciascuna controversia, sicchè non può il giudice del merito procedere, in violazione dell’art. 2697 c.c., ad una decurtazione del danno morale (rispetto agli ordinari parametri di Euro 1000,00 ad anno di durata ragionevole), senza alcun supporto probatorio dell’entità della posta in gioco, nè il giudice del merito può ridurre il danno in ragione della circostanza del tutto irrilevante della partecipazione ad un ricorso collettivo ovvero individuale".

Orbene, premesso che il quesito, pur nell’erroneo riferimento alla "durata ragionevole" anzichè "irragionevole", che appare prima facie essere oggetto di un mero refuso, deve ritenersi ammissibile, avendo la parte evidenziato il nesso tra fattispecie e il principio di diritto, diverso da quello applicato nel provvedimento impugnato, che è tale da condurre a diversa decisione; (in termini, Cass. 11535/2008), deve farsi nel caso applicazione del principio seguito da questa Corte anche per i giudizi instaurati avanti al giudice amministrativo, nel senso che la lesione del diritto alla definizione del processo nel termine ragionevole di cui all’art. 6, par. 1 della Convenzione va riscontrata, anche per le cause davanti al Giudice pensionistico, con riferimento al periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimento, mentre l’omissione od il ritardo nella presentazione dell’istanza di prelievo o di sollecitazione o di trattazione anticipata (pur quando prevista dalla prassi degli uffici giudiziari quale strumento acceleratorio, come sarebbe stato possibile nel caso, L. n. 19 del 1994, ex art. 1, comma 4 bis atteso che il ricorso avanti alla corte dei conti risulta depositato il 18/6/1998 e quindi successivamente alla riforma di cui al D.L. n. 453 del 1993, convertito nella L. n. 19 del 1994, che riconosce il potere di fissazione soltanto e d’ufficio al Presidente della Sezione, art. 6, comma 3, nel mentre l’onere di instare per la prosecuzione spetta solo per i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione a pena di estinzione art. 6, comma 1 e art. 29, così come previsto dalla L. n. 205 del 2000, art. 9, comma 3, per la perenzione dei ricorsi a pendenza ultradecennale), non implica il trasferimento sulla parte della responsabilità dello stato del superamento della scadenza congrua, nè il differimento della decorrenza dalla data della proposizione della domanda, del termine ragionevole di durata,potendo la mancata presentazione di istanza acceleratoria collocarsi sul terreno della valutazione della entità del patema d’animo inferto da ritardo ed alla misura del ristoro da riconoscere in termini di equa riparazione (così tra le ultime nel giudizio pensionistico, Cass. 3782/2006 e 8156/2006 e nel giudizio amministrativo, Cass. 14753/2010) SU 28507/2005,19804/2005, 1365/2008).

Non è invece giuridicamente rilevante il riferimento alla entità della posta in gioco (Cass. 1630/2006) ed alla natura collettiva della controversia.

Nel caso, la corte d’appello, ritenuta la durata ragionevole in tre anni, ha riconosciuto l’importo di circa Euro 500,00 per ogni anno di ritardo e proporzionalmente per la frazione, di anno, importo inferiore anche rispetto a quella, già ridotta rispetto ai parametri ordinari, liquidata dalle sentenze CEDU del 16 marzo 1 6 aprile 2010. 2.3.- Il secondo motivo deve ritenersi inammissibile, in relazione ad ambedue le prospettazioni fatte valere. Ed invero, quanto alla deduzione del "difetto assoluto di motivazione per travisamento della data iniziale del ricorso presupposto", è da rilevare che l’erroneità della indicazione nel decreto della corte d’appello di Venezia della data di deposito del ricorso nel giudizio presupposto potrebbe configurare non già vizio di motivazione, ma bensì violazione di legge, in relazione alla valutazione del termine ragionevole del giudizio presupposto. Nel resto, si deve rilevare che, come ripetutamente affermato da questa corte, e ribadito di recente nella pronuncia 27680/2009, "alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis c.p.c. introdotto, con decorrenza dal 2/3/2006 dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, ma applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2001 e il 4 luglio 2009 (cfr. 1^ n. 69 del 2009, art. 58, comma 5)… allorchè … il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso, in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

Ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603)", da ritenersi quale "indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (tra le tantissime, ad esempio, Cass. 7 aprile 2008, n. 8897/2008, nonchè Cass., sez. un., 18 giugno 2008, n. 16528; Cass. 25 febbraio 2009, n. 4556; Cass. 26 febbraio 2009, n. 4589)".

Nella specie, è di palese evidenza la mancanza del momento di sintesi, anche a tacere dalla difficoltà di ritenere l’ansia, che costituisce elemento costitutivo del danno da riparare, quale "fatto controverso" ex art. 360 c.p.c., n. 5, come prospettato dalla ricorrente.

3.1.- In forza dell’accoglimento del 1^ motivo,in base ai principi sopra enunciati, in adesione all’orientamento assunto dalla recentissima pronuncia di questa corte, n. 14753 del 2010, in accoglimento del ricorso in base ai principi sopra enunciati, va pertanto cassato il decreto impugnato, e, decidendosi nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., tenuto conto degli elementi sopra indicati, considerate le specificità del caso in relazione al protrarsi della procedura dinanzi al giudice contabile oltre i limiti ragionevoli di durata, che ha evidenziato, in relazione al comportamento delle parti, uno scarso interesse alla causa, nonchè considerate la natura e la consistenza della pretesa azionata e i margini di riduzione ricavabili dalle decisioni della CEDU sopra indicate, l’indennizzo può essere liquidato nella misura forfettaria complessiva di Euro 3400,00, con gli interessi legali dalla domanda sino al saldo.

Attesa la parziale novità della questione, si ritiene di potere compensare le spese del giudizio di legittimità tra ricorrente e Ministero dell’Economia e delle Finanze. Attesa la soccombenza, la Presidenza del Consiglio va condannata alla rifusione alla ricorrente delle spese di merito e di legittimità, negli importi indicati in dispositivo, e con distrazione per le spese del giudizio di merito.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’Economìa e delle Finanze.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione , cassa il decreto impugnato in parte qua e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente la somma di Euro 3400,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio di merito e di legittimità, che determina per il giudizio di merito, nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 351,00 per diritti, ed Euro 450,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e dispone che siano distratte in favore degli avv.ti Francesco e Gabriele De Paola, e per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 700,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Compensa le spese del giudizio di cassazione tra la ricorrente ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

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