Cass. civ. Sez. III, Sent., 21-01-2011, n. 1419 Procura alle liti

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Svolgimento del processo

I fatti di causa possono essere così ricostruiti sulla base della sentenza impugnata.

C.S., con atto del 19 marzo 1992, convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Roma i fratelli Sa. e G., chiedendone la condanna in solido al rimborso delle somme da lui anticipate, dietro loro mandato, per la costruzione, in (OMISSIS), su terreno di proprietà comune, di un fabbricato, nonchè al pagamento dei compensi spettantigli per l’attività di amministrazione svolta.

I convenuti, costituitisi, contestarono la domanda, chiedendo, in via riconvenzionale, la condanna dell’attore alla restituzione di tutte le somme incassate, a titolo di canoni, dai conduttori delle unità immobiliari de quibus.

Il Tribunale, con sentenza n. 26485 del 2001, in parziale accoglimento delle domande, condannò i convenuti in solido al pagamento della somma di L. 762.663.819, oltre interessi.

Proposto gravame da Sa. e C.G., la Corte d’appello di Roma, in data 9 giugno 2005, in accoglimento dello stesso, ha rigettato la domanda di C.S..

Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione, illustrato anche da memoria, C.S., articolando tre motivi.

Resistono con controricorso Sa. e C.G..

Motivi della decisione

1.1 Col primo motivo l’impugnante lamenta violazione dell’art. 33 cod. proc. civ., erroneità, contraddittorietà e illogicità della motivazione su un punto decisivo della controversia.

La critica ha ad oggetto la ritenuta validità della procura conferita al difensore dai convenuti, della quale la parte appellata aveva eccepito la nullità all’udienza di discussione. Evidenzia l’esponente che, a fronte di un gravame proposto da Co.

S. e da C.G., la delega a margine dell’atto, significativamente formulata al singolare, conteneva una sola firma, per giunta illeggibile, di talchè non era dato comprendere quale dei due appellanti avesse conferito il mandato. L’assunto del giudice a quo secondo cui la sottoscrizione apposta sarebbe stata di Co.

S. non trovava alcun riscontro negli atti di causa. In ogni caso erroneamente la Corte d’appello aveva affermato che Co.

S. aveva agito quale procuratore di G., perchè dall’intestazione dell’atto di appello si evinceva che il mandato era stato direttamente conferito anche da questi, il che non consentiva l’utilizzo della procura da parte dell’altro appellante.

2 Le critiche non hanno pregio.

Il giudice di merito, considerato che il mandato al difensore apposto a margine dell’atto di appello recava la sottoscrizione di Co.

S.; che nell’epigrafe erano tuttavia indicati i nominativi di entrambi i fratelli; che pacificamene G. aveva conferito al germano Sa. procura generale a rogito notar Anthony Como di Windsor, ha ritenuto che nessun dubbio potesse insorgere sulla identità degli appellanti e sulla validità del mandato conferito dall’uno anche come procuratore generale dell’altro.

Ciò significa che il decidente, ritenuta imputabile a Co.

S. la sottoscrizione del mandato difensivo, si è mosso nell’ottica che la mancata menzione della spendita dei poteri derivanti dalla procura generale, a lui conferita dal fratello G., fosse frutto di una svista, assolutamente inidonea a incidere sulla validità dell’atto.

A confutazione dei rilievi formulati in ricorso è allora sufficiente ricordare che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte la procura ad litem è atto geneticamente sostanziale con rilevanza processuale, atto che va pertanto interpretato secondo i criteri ermeneutici stabiliti per gli atti di parte dal combinato disposto di cui all’art. 1367 cod. civ. e all’art. 159 cod. proc. civ., nel rispetto, in particolare, del principio di relativa conservazione, in relazione al contesto dell’atto cui essa accede, di modo che l’interpretazione datane dal giudice di merito è censurabile in sede di legittimità solo per eventuali omissioni e incongruità argomentative, non anche per asserita ingiustificatezza del risultato interpretativo raggiunto. Tale prospettazione, invero, mira a sollecitare un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (Cass. civ. 16 giugno 2004, n. 11326; Cass. civ., 12 ottobre 2006, n. 21924).

3 Si prestano a essere esaminati congiuntamente i successivi due motivi di ricorso.

Col secondo l’impugnante denuncia violazione degli artt. 1719, 1720 e 2697 cod. civ. Sostiene che il giudice di merito avrebbe violato il principio di diritto per cui il mandatario che agisce in giudizio per il recupero di spese ed esborsi sopportati per l’esecuzione dell’incarico deve fornire la dimostrazione dei fatti. che ne costituiscono il fondamento, restando invece a carico del mandante, che quel diritto contesti, l’onere di provare l’adempimento del proprio obbligo di tenere indenne la controparte da ogni diminuzione patrimoniale, attraverso anticipazioni o in via di rifusione. Nella fattispecie, incontestata l’esecuzione del negozio gestorio, gli esborsi sostenuti per la costruzione dell’edificio non potevano essere desunti da documenti indiziari, come aveva fatto il decidente, ma andavano determinati sulla base del motivato parere dell’ausiliario.

Col terzo motivo il ricorrente lamenta vizi motivazionali con riferimento alla ricostruzione dei rapporti di dare e avere tra le parti. In maniera affatto incongrua il giudice di merito sarebbe invero pervenuto a quantificare in L. 50.000.000 il credito di C.S. per spese anticipate e in L. 191.643.623 il credito vantato dagli appellanti, in contrasto con altri dati emergenti dalla stessa sentenza impugnata.

4 Le censure non hanno pregio.

Nella determinazione del costo della costruzione il giudice di merito ha motivatamente dissentito dal parere dell’ausiliario il quale aveva assunto come base di riferimento, per il calcolo delle somme hinc et inde date e ricevute, il costo di costruzione complessivo alla data del 1983, laddove risultava provato che alcune unità immobiliari erano state locate sin dal 1978. Effettuata quindi una puntuale disaminata di tutta la documentazione versata in atti, ivi compresa la ricognizione di debito di C.G. per l’importo di L. 42 milioni, ha ritenuto che le spese occorse per la costruzione potessero, con prudente criterio equitativo, determinarsi in L. 40.000.000, ai quali andavano aggiunte L. 43.000.000 per spese di amministrazione e tributarie sostenute dal Salvatore fino alla revoca della procura intervenuta nel giugno 1991; che, tenuto conto delle rimesse dei fratelli, il credito residuo di C.S. andasse determinato in L. 50.000.000, somma da maggiorarsi dell’importo di L. 15.976.000, spettante all’attore a titolo di compenso per la supervisione dei lavori di costruzione, e di L. 28.250.000 a titolo di compenso per l’amministrazione dello stabile.

Ha aggiunto che peraltro, avendo C.S. riscosso fitti per l’ammontare complessivo di L. 126.064.000 e usufruito di un immobile e di un garage il cui valore di godimento era stato apprezzato in L. 139.418.550, nulla era a lui dovuto dai fratelli, essendo semmai l’attore debitore di somme nei loro confronti.

5 A fronte di tale percorso motivazionale, che da conto del convincimento maturato dal decidente in relazione a ogni singolo elemento emerso dalla compiuta istruttoria e che dissente con argomentazioni plausibili e convincenti dal parere dell’ausiliario, i rilievi formulati in ricorso si risolvono in enunciazioni meramente assertive e comunque in critiche volte a sollecitare una rivalutazione dei fatti e delle prove preclusa in sede di legittimità.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 5.200,00 (di cui Euro 200,00 per spese), oltre IVA e CPA, come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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