Cass. civ. Sez. V, Sent., 21-01-2011, n. 1377 Redditi di capitale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Sig.ra P.G. ha impugnato un avviso di accertamento con il quale il competente ufficio finanziario ha rettificato la dichiarazione dei redditi relativa all’anno 1997, recuperando a tassazione redditi di capitale, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 42 (T.U.I.R.), relativi ai rendimenti di somme affidate per investimenti a tale Sig. M.C., successivamente fallito ed inquisito per truffa ai danni dei risparmiatori.

La CTP ha accolto il ricorso della contribuente. La CTR, invece, accogliendo in parte l’appello dell’ufficio, ha riconosciuto la legittimità del recupero, ma soltanto con riferimento alle somme che i giudici di appello hanno ritenuto che fossero state effettivamente percepite dalla contribuente, con esclusione, quindi delle somme che risultavano accreditate alla stessa sulla base della documentazione contabile del M..

La P. ricorre contro l’Agenzia delle Entrate per ottenere la cassazione della sentenza di appello, meglio indicata in epigrafe, sulla base di tre motivi, illustrati anche con memoria.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso appare fondato in relazione al terzo motivo.

I primi due motivi di ricorso invece non possono trovare accoglimento. Il primo, perchè denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 42 cit. T.U.I.R., unitamente a vizi di motivazione, la ricorrente prospetta una censura di merito, come tale inammissibile, relativa alla valutazione di attendibilità della documentazione contabile del M., in base alla quale la CTR ha ritenuto provato che alcune somme siano state corrisposte alla P. a titolo di interessi. Il motivo è anche infondato nella parte in cui denuncia la contraddittorietà della motivazione, laddove dopo avere ritenuto inattendibile la documentazione del M., da credito alla tesi della corresponsione degli interessi, sulla base della indicazione degli assegni con i quali sono stati effettuati i versamenti (a differenza delle somme imputate soltanto in contabilità). E’ evidente, infatti, che mentre la semplice annotazione in contabilità non può costituire prava se non contro l’autore delle registrazioni, il pagamento può considerarsi provato sulla base della produzione della fotocopia del relativo assegno, non contestata.

Il secondo motivo, con il quale viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 1823, 1825, 1834 e 1852 c.c., artt. 41 e 42 cit. T.U.I.R., è inammissibile.

Infatti, la ricorrente ripropone la tesi della inattendibilità della documentazione rinvenuta dalla guardia di finanza, in base alla quale non sarebbe possibile ricostruire la natura e la effettività dei pagamenti fatti a favore degli investitori, tanto più che l’obbligo di pagare gli interessi, per i conti correnti non bancari matura alla scadenza del contratto. E’ evidente che si tratta di censure che attengono al merito della vicenda giudiziaria (esame e valutazione della documentazione acquisita dalla guardia di finanza e dei contratti che disciplinavano i rapporti tra gli investitori ed il M.).

Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 26, 27 e 64, in quanto erroneamente la CTR ha escluso che le somme corrisposte a titolo di interessi non beneficiassero della aliquota agevolata del 12,50% in conseguenza di un comportamento omissivo non addebitabile alla odierna ricorrente. Effettivamente, la censura già in tesi appare fondata anche perchè, nella specie, come sembra pacifico, gli investitori erano vittime e non complici (almeno non risulta che lo fossero) del sedicente intermediario finanziario.

Conseguentemente, il ricorso va accolto in relazione al terzo motivo e la sentenza impugnata va cassata in parte qua. Il Collegio, atteso che in punto di fatto la CTR ha quantificato in L. trentanovemilioni e settecentoquarantamila il reddito da sottoporre a tassazione, ritiene di poter decidere nel merito la controversia, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., nel senso che tale somma deve essere incisa nella misura del 12,50%, con le conseguenze di legge.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Sussistono giuste ragioni per compensare le spese dell’intero giudizio di merito, considerando gli esiti non omogenei dei due gradi del giudizio.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo ed il secondo motivo di ricorso ed accoglie il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara applicabile l’aliquota d’imposta nella misura del 12,50%. Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella misura di Euro milleottocento, di cui Euro milleseicento per onorario. Compensa le spese del giudizio di merito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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