Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-12-2010) 04-01-2011, n. 17

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Bologna, con sentenza in data 24 febbraio 2010, confermava la sentenza del Tribunale di Ravenna in data 2 febbraio 2007, appellata da R.F., dichiarato colpevole del reato di ricettazione, falso e truffa per aver ricevuto un assegno bancario in bianco, denunciato quale smarrito, compilato per l’importo di Euro 5.888,48, apponendovi una falsa firma di traenza, negoziato tramite un corriere autotrasportatore, presso la ditta Molino Boschi di (OMISSIS) per l’acquisto di una partita di mais e condannato, con la continuazione alla pena di anni due, mesi quattro di reclusione e Euro 600 di multa.

Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi:

a) violazione dell’art 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per mancanza, insufficienza, manifesta illogicità della motivazione e violazione dell’art. 546 c.p.p., lett. e) non avendo la Corte territoriale motivato in ordine alla circostanza che la materiale dazione dell’assegno contestato era avvenuta ad opera di altro soggetto, nonchè sulla richiesta di derubricazione del fatto contestato da ricettazione ad appropriazione di cose smarrite (art. 647 c.p.), trattandosi di assegno denunciato quale smarrito;

b) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 648 c.p.p., comma 2 e mancanza, insufficienza, manifesta illogicità della motivazione per il mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto;

c) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), mancanza, manifesta illogicità della motivazione in relazione all’omessa applicazione delle circostanze attenuanti generiche, non avendo considerato che i precedenti penali erano costituiti da reati depenalizzati.

Motivi della decisione

il ricorso è infondato.

1) Con riferimento al primo motivo di ricorso questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede, (si vedano: Sez. 2, Sentenza n. 2436 del 27/02/1997 Ud. – dep. 13/03/1997 – Rv. 207313; Sez. 2, Sentenza n. 16949 del 27/02/2003 Ud.

– dep. 10/04/2003 – Rv. 224634).

La Corte territoriale ha evidenziato come risulti provato che il R. diede all’autista dell’impresa di autotrasporti l’assegno compilato con la sola firma di traenza, giustificandosi successivamente, con il rappresentante della società beneficiaria Molino Boschi, adducendo un contrattempo e promettendo che avrebbe eseguito un bonifico, mai effettuato; inoltre, la perizia disposta dal Tribunale ha accertato che la firma di traenza sul titolo in questione era stata apposta dall’imputato. L’omessa indicazione di una giustificazione attendibile sul possesso dell’assegno conferma la piena consapevolezza del R. della provenienza illecita del titolo. A tal proposito questa Suprema Corte ha affermato il principio che per la configurabilità del delitto di ricettazione è necessaria la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, potendo anche essere desunta da prove indirette, purchè gravi, univoche e tali da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto (Sez. 2, Sentenza n. 18034 del 07/04/2004 Ud. – dep. 19/04/2004 – Rv. 228797; Sez. 4, Sentenza n. 4170 del 12/12/2006 Ud. – dep. 02/02/2007 – Rv. 235897).

Va osservato che l’omesso esame di un motivo di appello da parte della Corte di merito non da luogo a un difetto di motivazione rilevante a norma dell’art. 606 cod. proc. pen., nè determina incompletezza della motivazione della sentenza allorchè, pur in mancanza di espressa disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso perchè incompatibile con la struttura e con l’impianto della motivazione, nonchè con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima.

Secondo il disposto dell’art. 597 c.p.p., comma 1 l’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione nel procedimento (limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti). Pertanto il giudice d’appello deve tenere presente, dandovi risposta in motivazione, quali sono state le doglianze dell’appellante in ordine ai punti (o capi art. 581, comma 1, lett. e) investiti dal gravame, ma non è tenuto ad indagare su tutte le argomentazioni elencate in sostegno dell’appello quando esse siano incompatibili con le spiegazioni svolte nella motivazione, poichè in tal modo quelle argomentazioni si intendono assorbite e respinte dalle spiegazioni fornite dal giudice di secondo grado.

(Sez. 1, Sentenza n. 1778 del 21/12/1992 Ud. (dep. 23/02/1993) Rv.

194804).

Nel caso di specie la Corte di merito ha ritenuto fondata la responsabilità del prevenuto in base ad argomentazioni coerenti e logiche, sopra evidenziate.

2) Anche il secondo motivo è infondato.

La natura di titolo di credito e le obbligazioni in esso consacrate fanno assumere all’assegno i connotati di un "bene", con valore economicamente apprezzabile; agli effetti del danno patrimoniale causato dalla commissione del reato, occorre far riferimento al quantum portato dallo stesso; in tal caso, si precisa, "è da escludersi che il danno conseguente alla utilizzazione del titolo possa essere dissociato dalla condotta del colpevole e riferito, invece, ad una diversa e successiva attività criminosa" (Sez. Un. n. 13330 del 1989, Beggio cit.; conformi: Sez. 5, 6 dicembre 2005 – 23 febbraio 2006. n. 6770, Bertucci, riv. 233998; Sez. 2, 18 dicembre 2003 – 27 gennaio 2004, n. 2919, Melia, riv. 228564; Sez. 2, 14 maggio 1991, n. 9280, Battaglia, riv. 187935 e da ultimo, Cass., S.U. 12/07/2007 n. 35535).

Perchè possa trovare applicazione l’ipotesi prevista dal capoverso dell’art. 648 cod. pen., è necessario che la cosa ricettata sia di valore economico particolarmente tenue, restando comunque impregiudicata la facoltà del giudice, pur in presenza di un valore modesto, di escludere il "fatto di particolare tenuità" prendendo in esame gli ulteriori elementi di valutazione della vicenda, ed in particolare ogni altra circostanza idonea a delineare la gravità del reato e la capacità a delinquere del colpevole.

Deve, ritenersi, in linea di principio, conformemente alla valutazione della Corte territoriale, che non si può attribuire particolare tenuità a un valore certamente non modesto, quale è quello di un assegno bancario riempito per l’importo di Euro 5888,48. 3) Con riferimento all’ultimo motivo di ricorso, anche esso infondato, la Corte territoriale – ancorchè con motivazione sintetica, ma, comunque, logica e non contraddittoria – ha spiegato perchè il ricorrente, ancorchè i precedenti penali dell’imputato siano relativi a reati depenalizzati, non è meritevole delle attenuanti generiche, avendo valutato il comportamento successivo del R., improntato all’assoluta mancanza di resipiscenza. Giudizio negativo sulla personalità, che porta la Corte a negare la concessione delle attenuanti generiche e a ritenere congrua la pena inflitta in primo grado.

Questa suprema Corte ha, d’altronde, più volte affermato che ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis cod. pen., il Giudice deve riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento. (Si veda ad esempio Sez. 2, Sentenza n. 2285 del 11/10/2004 Ud. – dep. 25/01/2005 – Rv. 230691).

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento d processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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