Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 26-11-2010) 04-01-2011, n. 84 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza dell’11 agosto 2010 il tribunale di Brescia, decidendo quale giudice del riesame sull’ordinanza emessa dal Gip dello stesso tribunale, in data 22.7.2010, con la quale era stata applicata a R.T.Z. la misura cautelare degli arresti domiciliari, in relazione al reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati di truffa e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, nonchè, a due episodi di favoreggiamento della permanenza illegale di cittadini stranieri nel territorio dello Stato, confermava l’applicazione della predetta misura cautelare limitatamente ai reati di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5, contestati all’indagato ai capi B) 18 e B) 96 dell’imputazione.

Nell’ordinanza si premette l’indicazione degli elementi di fatto acquisiti nel corso delle indagini dai quali emergeva l’esistenza di una organizzazione, facente capo a T.F., dedita stabilmente a procacciare agli stranieri irregolari presenti in Italia rapporti di lavoro fittizi e la relativa documentazione necessaria al fine di provvedere alla regolarizzazione della permanenza nel territorio nazionale, traendone elevati profitti.

Fatta tale premessa, il tribunale ritiene l’insussistenza di un compendio indiziario connotato della necessaria gravità avuto riguardo all’inserimento dell’indagato nella predetta organizzazione, tenuto conto del ruolo svolto, sostanzialmente di intermediario tra il T. e gli stranieri irregolari, soltanto in occasione di due distinti episodi – in relazione ai quali afferma la sussistenza di gravi indizi – e di scarni elementi ulteriori.

In ordine alla valutazione delle esigenze cautelari, nell’ordinanza si rileva come, pur escludendosi la partecipazione all’associazione per delinquere, l’esistenza di collegamenti diretti dell’indagato con la figura apicale dell’organizzazione, in uno con la mancanza di attività lavorativa ovvero altra fonte di sostentamento lecita e con I plurimi precedenti per reati contro il patrimonio debbano far ritenere il concreto, attuale ed elevato pericolo di recidiva in relazione al quale una misura meno afflittiva di quella applicata non sarebbe idonea a garantire l’interruzione dei rapporti con i partecipi dell’organizzazione.

2. Avverso il citato provvedimento l’indagato – attualmente internato presso l’OPG di Castiglione delle Stiviere – ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, denunciando il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari.

Ad avviso del ricorrente, essendo stato esclusa – in sede di riesame – la sussistenza di gravi indizi in ordine alla partecipazione dell’indagato al sodalizio criminoso (contestato al capo A dell’imputazione), alla luce del riconosciuto ruolo marginale della condotta del R. e del suo coinvolgimento soltanto in due episodi, non è stata operata adeguata valutazione in ordine al concreto pericolo di reiterazione posto a fondamento della misura cautelare applicata.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

Il parametro della concretezza – sul quale specificamente si appunta la censura del ricorrente – cui si richiama l’art. 274 c.p.p., lett. c), non si identifica con quello di "attualità" del pericolo, derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, dovendo, al contrario, il predetto requisito essere riconosciuto alla sola condizione necessaria e sufficiente che esistano elementi "concreti" (cioè non meramente congetturali) sulla base dei quali possa affermarsi che l’imputato possa, verificandosene l’occasione, commettere reati della stessa specie di quello per cui si procede, ossia che offendono lo stesso bene giuridico (Sez. 1, 3 giugno 2009, n. 25214, Pallucchini, riv. 244829; Sez. 1, 20 gennaio 2004, n. 10347, Catanzaro, rv.

227227).

Il giudizio prognostico relativo al pericolo di recidiva deve avere riguardo alle specifiche modalità e circostanze del fatto, indicative dell’inclinazione del soggetto a commettere reati della stessa specie, alla personalità dell’indagato, da valutare alla stregua dei suoi precedenti penali e giudiziari, all’ambiente in cui il delitto è maturato, nonchè alla vita anteatta dell’indagato, come pure di ogni altro elemento compreso fra quelli enunciati nell’art. 133 c.p..

Deve essere, altresì, ricordato che l’insussistenza delle esigenze cautelari è censurabile in sede di legittimità soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme o nella mancanza o manifesta illogicità della motivazione, rilevabili dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 1, 6 febbraio 1996, n. 795, rv.

204014).

Orbene, la motivazione della ordinanza impugnata sullo specifico punto contestato dal ricorrente si sottrae alle censure che le sono state mosse perchè ha rappresentato con argomenti logici e coerenti le ragioni che hanno indotto il giudice a ritenere sussistenti le esigenze cautelari poste a fondamento della misura degli arresti domiciliari, sia pure limitatamente ai due specifici episodi di favoreggiamento della permanenza illegale di cittadini stranieri.

Il tribunale, infatti, ha sottolineato come, pur escludendosi la partecipazione all’associazione per delinquere, l’esistenza di collegamenti diretti dell’indagato con la figura apicale dell’organizzazione, in uno con la mancanza di attività lavorativa ovvero altra fonte di sostentamento lecita e con i plurimi precedenti per reati contro il patrimonio, debbano far ritenere il concreto, attuale ed elevato pericolo di recidiva. Ha precisato, altresì, che alla luce delle indicate esigenze cautelari una misura meno afflittiva di quella applicata non sarebbe idonea a garantire l’interruzione dei rapporti con i partecipi dell’organizzazione.

In conclusione, risultando manifestamente infondato in tutte le sue articolazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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