Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 26-11-2010) 04-01-2011, n. 70 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 20 luglio 2010, il Tribunale di Napoli ha respinto l’istanza di riesame, proposta da R.G. e da suo figlio R.S. classe 1972 avverso il provvedimento del G.I.P. del medesimo Tribunale in data 14 giugno 1010, con il quale era stata ad essi applicata la misura cautelare della custodia in carcere, siccome indagati, in concorso con R.S. classe (OMISSIS), del delitto di omicidio pluriaggravato in danno di G.N., da essi condotto nell’estate del (OMISSIS) con una barca di loro proprietà al largo, dove la vittima era stata dapprima colpita con uno strumento di legno denominato "mezzo marinaio", poi ulteriormente colpito mortalmente alla testa con l’ancora, mentre cercava di difendersi; dopodichè il corpo, al quale erano state legate due ancore, era stato gettato in mare, dove era andato a fondo.

2. Il Tribunale ha ritenuto la sussistenza a carico dei due indagati di gravi indizi di colpevolezza, consistiti nelle concordi dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia G.L., G.G., G.S., G.R. e G.R., i quali avevano in maniera univoca delineato il contesto in cui era avvenuto l’omicidio in esame.

Era infatti emerso che la vittima G.N. frequentava la casa di R.G. e di sua moglie G.E., detta C.; che il G., approfittando della fiducia che i due avevano riposto in lui, aveva indotto la figlia di R. G., tale G., ad assumere droga ed ad avere rapporti sessuali con lui; detta G. era fidanzata con tale V. D., in quel momento in carcere, il quale aveva dato al suo amico G. l’incarico di vigilare sulla donna; inoltre il G. aveva intrapreso una relazione sessuale anche con M., altra figlia di R.G., di appena anni 13, più volte percuotendola, in tal modo violando la fiducia che era stata riposta in lui.

Secondo il Tribunale le concordi propalazioni rese dai collaboratori di giustizia anzidetti, dei quali i primi quattro erano cognati di R.G., siccome fratelli di sua moglie G. C., avevano trovato adeguato riscontro esterno, costituito dalla convergenza delle dichiarazioni rese da ciascuno di essi, sia riguardo alle modalità di esecuzione del delitto, sia riguardo al movente che aveva mosso i due indagati a commettere l’omicidio, il quale era avvenuto al di fuori di ogni logica camorristica, essendo stato commesso unicamente per motivi privati e cioè per vendicare un malinteso senso dell’onore familiare. Ulteriori riscontri esterni alle popolazioni dei collaboratori di giustizia di cui sopra erano stati rinvenuti dal Tribunale di Napoli nelle intercettazioni telefoniche svolte nell’ambito di un diverso procedimento penale in un periodo coincidente con quello in cui era avvenuto l’omicidio di G.N.; da tali intercettazioni, avvenute sull’utenza telefonica di casa R. in Napoli; sull’utenza del negozio di abbigliamento gestito da G.E. in (OMISSIS), nonchè sull’utenza installata presso l’abitazione di (OMISSIS)) in uso a G.E., era emerso che effettivamente il G. frequentasse la famiglia di G.E., svolgendovi varie incombenze esecutive; che sussisteva in modo inequivoco una segreta relazione amorosa fra la vittima e la minore tredicenne R. C. detta M.; che il G. avesse tenuto più volte atteggiamenti violenti e prepotenti non solo nei confronti di M., ma anche nei confronti di G., sorella di quest’ultima, avendo altresì iniziato entrambe all’uso di stupefacenti.

3. Il Tribunale ha tuttavia ritenuto che gli indizi emersi non fossero sufficienti per ritenere il coinvolgimento di R. S. classe (OMISSIS), fratello di R.G. nella commissione dell’omicidio, non essendo stato adeguatamente accertato che il medesimo avesse partecipato alla tragica gita in mare, nel corso della quale era stato commesso l’omicidio di G.N.. Il Tribunale ha rilevato come le propalazioni rese dai collaboratori di giustizia, sopra citati non potevano qualificarsi come chiamate in correità, ma erano dichiarazioni in gran parte de relato, si che occorreva verificare con particolare attenzione l’attendibilità dei dichiaranti e delle fonti.

Dei dichiaranti anzidetti solo tre ( G.G., G. L. e G.R.) avevano indicato come esecutori dell’omicidio di G.N. anche R.S. classe (OMISSIS); di essi certamente G.L. aveva fatto confusione nel primo interrogatorio reso il 20 gennaio 2003, allorquando aveva indicato quali complici di R.G. suo fratello F. e suo figlio S.; infatti sei anni più tardi, nell’interrogatorio del 5 novembre 2009, G.L. aveva dichiarato di aver errato nell’indicare F., inteso come R.S. classe (OMISSIS), avendo più esattamente specificato che il medesimo fosse da collegare ad un diverso fatto criminoso avvenuto a (OMISSIS) nell’ambito di una guerra fra clan camorristici; occorreva poi rilevare come l’identità del nome e del cognome tra i due R.S. indagati, rispettivamente zio e nipote, potessero aver ingenerato confusione anche negli altri due collaboratori circa il ruolo svolto da R.S. classe (OMISSIS) nell’omicidio del G..

4. Il Tribunale ha poi ritenuto la sussistenza di esigenze cautelari tali da giustificare la custodia cautelare inframuraria adottata nei confronti di R.G. e di RO.Sa. classe (OMISSIS), in considerazione della gravità del fatto, delle connotazioni oggettive dei delitto perpetrato, tali da denotare una loro significativa propensione al crimine, della sussistenza dei concreto pericolo che gli indagati, se rimessi in libertà, avrebbero potuto commettere altri gravi delitti della stessa specie.

A carico degli Indagati, indiziati per il delitto di omicidio volontario, aggravato dalla premeditazione e dal motivo futile, sussisteva poi la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, che imponeva l’applicazione della custodia cautelare in carcere, essendo stati acquisiti elementi dai quali poter desumere la sussistenza dei loro confronti di esigenze cautelari.

5. Avverso detto provvedimento del Tribunale del riesame di Napoli ha proposto ricorso per cassazione il PM presso il medesimo Tribunale, limitatamente alla parte in cui è stata annullata l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. di Napoli nei confronti di R.S. classe (OMISSIS).

Ha rilevato che non sussistesse in realtà l’errore di persona, sul quale il Tribunale aveva fondato l’impugnato annullamento, atteso che il collaboratore di giustizia G.L., nell’interrogatorio del 5 novembre 2009, aveva dato una spiegazione adeguata dell’erronea indicazione da lui fornita circa R.S. classe (OMISSIS) nel primo interrogatorio del 20 gennaio 2003, nel corso del quale R.S. classe (OMISSIS) era stato indicato come " F."; e da tale erronea indicazione di persona non poteva escludersi che R.S. classe (OMISSIS) avesse partecipato all’omicidio di G.N.; inoltre l’aver ritenuto che sussistesse un errore di persona era del tutto apodittico ed immotivato, atteso che il Tribunale, nella motivazione del provvedimento, aveva dato atto dell’attendibilità dei collaboratori di giustizia G.G. e G.S.; il primo dei due inoltre fin dall’interrogatorio del 2 luglio 1999 aveva indicato R.S. classe (OMISSIS) quale corresponsabile dell’omicidio; lo stesso dichiarante aveva poi indicato nel corso del suo successivo interrogatorio del 20 settembre 1999 fra le fonti di conoscenza anche R.S. classe (OMISSIS), si che non era possibile parlare di incertezza del ricordo; infine il dichiarante G.R., nel corso dell’interrogatorio del 31 marzo 2009, in più passaggi aveva indicato come corresponsabile del delitto G. appunto R.S., indicato come fratello di R.G..

6. Anche R.G. e RO.Sa. classe (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione per il tramite del loro comune difensore, che ha proposto due motivi di ricorso.

Con il primo motivo deducono inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e difetto di motivazione, non essendo stati indicati i presunti gravi indizi di colpevolezza emersi nei loro confronti.

I collaboratori di giustizia G.G.; G.L.;

G.R.; G.S.; G.R. e R.F. non potevano ritenersi attendibili, in quanto tutti nutrivano sentimenti di odio e di rancore verso R.G.;

ed il Tribunale non aveva tenuto in alcun conto la copiosa documentazione da essi esibita, dalla quale emergeva l’ostilità ed il livore che i propalanti anzidetti avevano nei confronti di R.G.. Secondo i ricorrenti il Tribunale aveva operato una valutazione frazionata ed atomistica delle diverse componenti che formavano l’attendibilità intrinseca ed estrinseca dei collaboratori di giustizia, avendo proceduto per compartimenti stagni.

In particolare il dichiarante G.L. era all’epoca dei fatti in soggiorno obbligato a (OMISSIS), si che era del tutto improbabile che R.G. abbia raggiunto il cognato nella località molisana per comunicargli l’andamento dei fatti; inoltre il dichiarante G.G. neppure era attendibile, avendo potuto confrontarsi in carcere con suo fratello R., in tal modo dimostrando che i fratelli G. avevano potuto conoscere gli eventi vissuti da ciascuno di essi.

I ricorrenti hanno poi rilevato che le propalazioni fatte dai dichiaranti anzidetti avevano natura "de relato"; e non era condivisibile quanto sostenuto al riguardo dal Tribunale, il quale aveva ritenuto che non potevano considerarsi "de relato" le dichiarazioni di coloro i quali, per il ruolo di vertice rivestito nell’ambito della organizzazione criminale di appartenenza, fossero in grado di riferire fatti relativi alla vita di quel sodalizio criminoso; in quanto il fatto storico da accertare nella specie non era riconducibile alla vita del sodalizio criminoso od a vicende di interesse comune, tali da giustificarne una conoscenza da parte dei vertici dell’organizzazione; era pertanto rilevabile l’assenza di conoscenze dirette, non vissute in prima persona dai dichiaranti, circa la sparizione di G.N.; il che valeva anche per le propalazioni fatte da G.R..

Inoltre sia G.L., sia tutti gli altri suoi fratelli, sebbene detenuti e monitorati dal servizio protezione, vivevano in simbiosi, comunicando liberamente tra loro, in alcuni casi condividendo addirittura la medesima struttura penitenziaria.

Non sussistevano poi nella specie riscontri estrinseci i quali, per consentire un positivo apprezzamento circa la intrinseca attendibilità delle dichiarazioni dei pentiti, dovevano avere carattere individualizzante, cioè riferirsi ad elementi di qualsiasi tipo e natura, anche di ordine puramente logico, ma che riguardassero direttamente la persona dell’incolpato in relazione a tutti gli specifici reati a lui addebitati; il che era particolarmente necessario in caso di accuse introdotte, come nella specie, mediante dichiarazioni de relato, che avevano ad oggetto la rappresentazione di fatti noti al dichiarante non per conoscenza diretta, ma perchè appresi da terzi.

Secondo i ricorrenti le intercettazioni telefoniche riportate per riscontrare le accuse dei collaboratori anzidetti erano state lette in modo settario e suggestivo, atteso che le conversazioni riportate dal Tribunale smentivano il racconto offerto dai collaboratori ed escludevano la causale del delitto per come indicata da tutti i propalanti, non potendosi desumere dalle captazione effettuate il paventato proposito criminoso di R.G. e S.. Vi erano poi in atti intercettazioni telefoniche ed informative di polizia giudiziaria (annotazione dei carabinieri su delega del PM in data 10 novembre 2009 concernenti colloqui telefonici intercorsi fra G.E. e tale D.P.) che confutavano la ricostruzione del fatto storico operata dal giudice del riesame ed offrivano spunti investigativi differenti ed alternativi, di pari valenza probatoria; era quindi evidente che il collegio aveva omesso di commentare i rilievi a favore di essi ricorrenti.

La Procura, per sopperire alle carenze indiziarie presenti nel fascicolo, aveva disposto l’escussione dei congiunti del defunto G.N., utilizzando altresì intercettazioni ambientali all’interno della sala d’attesa dei carabinieri, nel veicolo in uso al fratello del defunto e sui telefoni dei familiari del medesimo; ma neppure da tali captazioni erano emersi elementi a conforto del quadro indiziario acquisito.

Col secondo motivo deducono inosservanza della legge penale e difetto di motivazione in quanto il G.I.P. si era limitato a recepire, a fronte della richiesta di misura pervenuta al suo ufficio, solo una parte degli atti trasmessi dal PM titolare dell’indagine, escludendo le intercettazioni e le informative di polizia giudiziaria, che avrebbero potuto fornire una differente ed alternativa ricostruzione del fatto.

La nullità dell’ordinanza impugnata sussisteva in quanto il G.I.P. non aveva analizzato l’indagine svolta dalla Procura nella sua interezza, nella parte in cui poteva desumersi il diretto coinvolgimento nella scomparsa di G.N., con ruoli di mandante ed esecutore materiale, di persone diverse e cioè G. E. e D.P..

Il Tribunale aveva ritenuto che tale informativa fosse del tutto generica e priva di richiamo alle fonti di conoscenza; aveva pertanto attribuito un ruolo preponderante alle propalazioni dei collaboratori di giustizia sopra specificati, svilendo il contenuto di atti pur sottoscritti da autorevoli esponenti della polizia giudiziaria;

l’errore commesso dal Tribunale consisteva nell’aver collocato le conversazioni tra G.E. e D.P. al di fuori della scansione cronologica degli avvenimenti, mentre al contrario erano rilevanti le assicurazioni telefoniche che il D. aveva fatto alla sua amica G.E., successivamente alla scomparsa del giovane, secondo le quali la questione era stata sistemata e che il G. non avrebbe dato più fastidio.

Motivi della decisione

1. Il ricorso proposto dal PM di Napoli avverso l’ordinanza del Tribunale di quella medesima città in data 20 luglio 2010 è inammissibile siccome proposto per motivi non consentiti nella presente sede di legittimità. 2. Con esso il PM ricorrente ha ritenuto la sussistenza a carico di R.S. classe (OMISSIS) di gravi indizi di colpevolezza, si da chiedere l’annullamento, nella parte de qua, del provvedimento impugnato, che aveva viceversa ritenuto inadeguati gli indizi emersi a carico del medesimo e tali da non consentire l’emissione nei suoi confronti di un’ordinanza cautelare in carcere.

Si osserva invero che il provvedimento impugnato nella presente sede ha proceduto ad un adeguato apprezzamento degli indizi, fino a quel momento emersi a carico di R.S. classe (OMISSIS), ritenendoli, con motivazione incensurabile nella presente sede, siccome immune da vizi logici e da contraddizioni, inadeguati a giustificare l’emissione nei suoi confronti di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, siccome corresponsabile, assieme agli altri due ricorrenti, dell’omicidio pluriaggravato di G.N..

Questa Corte di legittimità non è invero tenuta a riesaminare gli elementi di fatto posti a sostegno dell’atto impugnato, ovvero a proporne altri differenti, essendo il relativo apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice di merito ed essendo compito di questa Corte solo verificare se gli elementi di fatto valorizzati da tale ultimo giudice abbiano la necessaria valenza indiziaria e se la motivazione addotta al riguardo sia congrua rispetto ai canoni della logica ed ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie; ed esaminata in quest’ottica, la pronuncia impugnata si sottrae alle censure mosse (cfr., in termini, Cass. SS.UU. 22.3.2000 n. 11; Cass. 4^, 8.6.07 n. 22500).

2. Il Tribunale del riesame di Napoli ha escluso la sussistenza a carico di R.S. classe (OMISSIS) di indizi idonei a consentire l’emissione della misura cautelare anzidetta nei suoi confronti facendo riferimento: – alla circostanza che le propalazioni rese dai collaboratori di giustizia, sopra citati, non consistevano in chiamate in correità, ma in dichiarazioni in gran parte de relato, si che occorreva verificare con particolare attenzione l’attendibilità dei dichiaranti e delle fonti;

– alla circostanza che, dei dichiaranti anzidetti, solo tre ( G.G., G.L. e G.R.) avevano indicato come esecutore dell’omicidio di G.N. anche R.S. classe (OMISSIS) e che di essi certamente G. L. aveva fatto confusione in ordine alla esatta identificazione di quest’ultimo nel primo interrogatorio reso il 20 gennaio 2003, allorquando aveva indicato quali complici di R.G. suo fratello F. e suo figlio S., atteso che, sei anni più tardi, nell’interrogatorio del 5 novembre 2009, G. L. aveva dichiarato di aver errato nell’indicare F., inteso come R.S. classe (OMISSIS), spiegando che il medesimo fosse da collegare ad un diverso fatto criminoso e cioè ad uno scontro a fuoco avvenuto a (OMISSIS) nell’ambito di una guerra fra clan camorristici;

– alla circostanza che la coincidenza del nome e del cognome tra i due R.S. indagati, rispettivamente zio e nipote, ben poteva aver ingenerato confusione anche negli altri due collaboratori circa il ruolo svolto da R.S. classe (OMISSIS) nell’omicidio del G..

Gli argomenti sopra specificati sono pertanto idonei a giustificare la mancata conferma, da parte del Tribunale del riesame di Napoli, della misura cautelare della detenzione in carcere nei confronti di R.S. classe (OMISSIS); e le argomentazioni in senso contrario svolte dal P.M. consistono in realtà in differenti prospettazioni dei medesimi fatti, inibite nella presente sede di legittimità. 3. Sono invece infondati i due motivi di ricorso proposti da R. G. e da RO.Sa. classe (OMISSIS), da trattare congiuntamente siccome strettamente correlati fra di loro.

4. Con essi i ricorrenti hanno sostenuto l’inattendibilità delle propalazioni rese dai collaboratori di giustizia G. G.; G.L.; G.R. e G. S. per avere essi motivi di astio e di risentimento nei confronti di R.G..

Il provvedimento impugnato, con motivazione incensurabile nella presente sede, siccome immune da vizi logici e da contraddizioni, ha al riguardo rilevato come i collaboratori di giustizia erano nella gran parte dei casi persone con un vissuto criminale di notevole spessore, si che essi ben erano in grado di riferire in ordine a vicende di soggetti non inseriti nella propria organizzazione criminosa, ma facenti parte di gruppi in posizione di antagonismo e contrapposizione armata, si che non era sufficiente l’oggettiva sussistenza di sentimenti di odio e rancore nei confronti delle persone oggetto delle esternazioni a rendere intrinsecamente inattendibili tali ultime propalazioni. Va poi rilevato che il provvedimento impugnato ha fornito adeguata motivazione anche in ordine alla ulteriore specifica censura formulata dai ricorrenti circa l’attendibilità del propalante G.L., concernente il fatto che quest’ultimo, all’epoca dell’omicidio, si trovasse in soggiorno obbligato a (OMISSIS), si che non avrebbe potuto parlare nè prima nè dopo con R.G. e con i suoi fratelli R. e C..

Al riguardo il provvedimento impugnato ha correttamente rilevato come non vi fosse prova nè della data Iniziale nè di quella finale della sottoposizione del R. alla misura di prevenzione del soggiorno obbligato in (OMISSIS); inoltre il provvedimento impugnato ha correttamente affermato che, a fronte di riscontri così specifici, in ogni caso non poteva escludersi che il R. fosse riuscito ad entrare in qualche modo in contatto con il G., pur essendo quest’ultimo in soggiorno obbligato a (OMISSIS).

Adeguata è altresì la motivazione con la quale il provvedimento impugnato ha ritenuto attendibili le dichiarazioni del propalanti sopra specificati, tenuto conto della loro rilevante e cospicua militanza criminosa, tale da ritenerli in grado di conoscere in misura maggiore rispetto ad altri soggetti anche vicende ad essi non direttamente riferibili; il che costituisce un riscontro valido, pur trattandosi nella specie di delitto maturato nell’ambito della famiglia G. e non strettamente riconducibile a logiche camorristiche.

Sono poi del tutto generiche le argomentazioni svolte dai due ricorrenti circa l’inattendibilità delle propalazioni rese dai pentiti, per essere essi vissuti in simbiosi, per avere comunicato liberamente fra di loro, per avere condiviso la medesima struttura penitenziaria; trattasi invero di censure prive di riscontri concreti.

Va piuttosto ritenuto che l’ordinanza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali elaborati da questa Suprema Corte in ordine alla valutazione delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia. E’ noto al riguardo che la chiamata in correità fatta da un collaboratore di giustizia può costituire valido elemento di colpevolezza solo quando è sorretta da riscontri esterni individualizzanti, i quali devono essere significativi non solo in ordine all’accertamento in sè del verificarsi del fatto di reato, ma anche in ordine alla sua attribuzione ed alla sua riferibilità al soggetto ritenutone responsabile, secondo i canoni offerti dall’art. 192 c.p.p., comma 3 e 4, dettato in tema di valutazione della prova.

Pertanto le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia possono essere poste a fondamento di dichiarazioni di colpevolezza quando siano intrinsecamente attendibili e risultino corroborati da riscontri esterni, idonei a provare l’attribuzione del fatto reato al soggetto destinatario di esse. Tali riscontri esterni ben possono essere costituiti anche da ulteriori dichiarazioni accusatone, le quali devono a loro volta essere caratterizzate dalla loro attendibilità intrinseca, oltre che dalla loro convergenza in ordine al fatto oggetto della narrazione; dall’essere state rese senza pregresse intese fraudolenti e senza suggestioni o condizionamenti tali da inficiarne la concordanza; nonchè dalla loro specificità, che tuttavia non può ritenersi estesa fino alla loro completa sovrapponibilità agli elementi d’accusa forniti dagli altri dichiaranti, dovendo piuttosto essere privilegiato l’aspetto sostanziale della loro concordanza sul nucleo centrale dei fatti da provare (cfr., in termini, Cass. 6^, 26.11.08 n. 1091; Cass. 2^, 4.3.08 n. 13473; Cass. 1^ 20.7.09 n. 30084). Applicando tali principi giurisprudenziali alla specie in esame, deve ritenersi adeguata, siccome immune da vizi logici e da contraddizioni, la motivazione addotta dal Tribunale del riesame di Napoli per ritenere la sussistenza di validi indizi di colpevolezza a carico degli odierni ricorrenti, essendo state ritenute credibili le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia sopra specificati; e le propalazioni rese da ciascuno di essi risultano essere state sorrette da validi riscontri esterni, costituiti sia dalle dichiarazioni rese da tutti gli altri collaboranti, siccome adeguatamente convergenti in ordine al nucleo essenziale del fatto omicidiario attribuito ai due ricorrente, sia dagli esiti delle intercettazioni telefoniche disposte sull’utenza telefonica di casa R. in (OMISSIS);

sull’utenza del negozio di abbigliamento gestito da G. E. in (OMISSIS), nonchè sull’utenza installato presso l’abitazione di (OMISSIS)) in uso a G.E..

Da tali intercettazioni era emerso che effettivamente il G. avesse frequentato la famiglia di G.E., svolgendovi varie incombenze esecutive; che sussisteva in modo inequivoco una segreta relazione amorosa fra la vittima e la minore tredicenne R.C. detta M.; che il G. avesse tenuto più volte atteggiamenti violenti e prepotenti non solo nei confronti di M., ma anche nei confronti di G., sorella di quest’ultima, avendo altresì iniziato entrambe all’uso di stupefacenti. Trattasi di indizi che, difformemente da quanto ritenuto dai ricorrenti, costituiscono valido riscontro esterno alle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia e tali da costituire adeguata conferma dell’attendibilità di queste ultime.

E’ infine infondato al limite dell’inammissibilità il motivo di ricorso con il quale i ricorrenti lamentano che il Tribunale del riesame non abbia dato credito alla diversa versione dei fatti da essi fornita, tale da poter ipotizzare una differente scenario entro il quale collocare l’omicidio di G.N., che avrebbe potuto essere attribuito a G.E. in qualità di mandante ed a D.P. in qualità di esecutore materiale.

Esula invero dai compiti di questa Corte di legittimità riesaminare gli elementi di fatto posti a sostegno dell’atto impugnato, ovvero a riproporne altri differenti, essendo il relativo apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice di merito ed essendo compito di questa Corte solo verificare se gli elementi di fatto valorizzati dal giudice di merito abbiano la necessaria valenza indiziaria.

Argomentando diversamente si finirebbe per trasformare questa Corte in un ulteriore giudice del fatto, mentre invece essa è tenuta solo a verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico degli indagati, controllando la congruenza della motivazione circa la valutazione degli elementi rispetto ai canoni della logica ed ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.

Esaminata in quest’ottica, la pronuncia impugnata si sottrae alle censure mosse, avendo il Tribunale del riesame di Napoli adeguatamente dato conto, come sopra riferito, delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario emerso a carico degli odierni indagati ed avendo esso congruamente valutato gli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica ed ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (cfr., in termini, Cass. SS.UU. 22.3.2000 n. 11; Cass. 4^, 8.6.07 n. 22500).

5. Il ricorso proposta da R.G. e RO.Sa. classe (OMISSIS) va pertanto respinto, con loro condanna, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

13. Si provveda all’adempimento di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del P.M. e rigetta i ricorsi di R.G. e R.S., condannando questi ultimi due al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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