Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 21-10-2010) 04-01-2011, n. 146 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Il MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE ricorre in Cassazione avverso l’ordinanza, in data 7.04.2008, della Corte d’Appello di Bari con cui è stata accolta l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione in carcere, durata 8 giorni, presentata da M. D., con la conseguente liquidazione in suo favore della somma di Euro 50.000,00.

Prima di analizzare i motivi posti a base del ricorso, va premesso che la Corte Territoriale ha affermato che il caso di specie va inquadrato nell’ambito della previsione di cui all’art. 314 c.p.p., comma 2, nonostante la mancanza di una revoca o un annullamento formale di quello custodiale nel provvedimento del GIP, in data 15-17 luglio 1998, che si limitava a disporre l’immediata rimessione in libertà del M.. In ragione della motivazione, posta a base del richiamato provvedimento, secondo cui le intercettazioni telefoniche cui aveva fatto riferimento l’ordinanza cautelare non presentavano i caratteri della univocità indispensabile a farla assurgere a dignità di gravi indizi di colpevolezza, il giudice della riparazione ha ritenuto che si tratta di custodia cautelare patita dall’istante in forza di un provvedimento custodiale assolutamente illegittimo perchè adottato in palese violazione di legge in totale assenza dei necessari presupposti di cui all’art. 273 c.p.p.. Successivamente il processo si concluse definitivamente con sentenza n. 264/2003 del 13.03.2003 del GUP presso il Tribunale di Foggia, divenuta irrevocabile il 3.10.2003, con l’assoluzione del M. dal reato di cui al capo a) con la formula "perchè il fatto non sussiste". Ciò posto, la Corte barese, aderendo a quell’indirizzo giurisprudenziale, secondo cui, relativamente all’ipotesi prevista dall’art. 314 c.p.p., comma 2, per l’accoglimento della relativa istanza non è necessaria la presenza della condizione negativa che il prosciolto non abbia dato causa all’ingiusta detenzione o non abbia concorso a darvi causa per dolo o colpa grave, ha proceduto direttamente alla liquidazione della richiesta indennità.

Il ricorrente MINISTERO denuncia:

a) violazione dell’art. 314 c.p.p. in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per erronea qualificazione della domanda.

Premesso che il ricorrente non aveva invocato l’applicazione dell’art. 314 c.p.p., comma 2, la Corte d’Appello ha disposto un vero e proprio mutamento della domanda in violazione del principio affermato da questa Suprema Corte (sezione 4, sentenza del 17 dicembre 1992, Malentacchi) secondo cui, una volta fissati, tramite il ricorso, gli elementi individuanti l’azione esperita, non è consentito nè alla parte nè al giudice di ufficio modificare la "causa pretendi".

Inoltre si argomenta che, comunque, nel caso di specie non era ravvisabile l’ipotesi individuata dalla Corte distrettuale, atteso che manca uno dei richiesti presupposti, vale a dire l’irrevocabilità della decisione da cui risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p.. Si precisa che è del tutto pacifico che tale decisione va individuata in un provvedimento del Tribunale o della Cassazione emesso nel procedimento incidentale de libertate, ovvero nella decisione di merito laddove la stessa accerti che difettavano ab inizio le condizioni di applicabilità della misura, e che tale decisione debba essere di annullamento, nel senso che debba essere fondata su di un diverso apprezzamento degli stessi indizi valutati all’atto dell’adozione della misura o del rigetto dell’istanza di revoca. Nel caso di specie vi è unicamente il provvedimento di revoca della misura custodiale emesso dallo stesso GIP che ebbe ad emanare l’ordinanza cautelare. Nè è corretto, per il ricorrente Ministero, il richiamo da parte del M., nell’istanza rivolta alla Corte d’Appello di riparazione per ingiusta detenzione, all’ordinanza in data 24.07.1998 del Tribunale del Riesame di Bari di annullamento del provvedimento cautelare in quanto giudicò sulla posizione di altri coindagati e, conseguentemente, non poteva essere ritenuto "decisione irrevocabile". b) Con un secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 314 c.p.p..

Deduce il ricorrente Ministero, che quand’anche si volesse ritenere l’ipotesi di cui all’art. 314 c.p.p., comma 2, la decisione è errata non essendo corretto l’assunto della Corte secondo cui, nell’ipotesi del secondo comma, non è consentito al giudice della riparazione la valutazione della condotta tenuta dall’indagato. c) Con un terzo motivo si denuncia carenza ed illogicità della motivazione nella parte in cui ha determinato l’indennità spettante al ricorrente. La Corte ha proceduto ad un giudizio sintetico all’esito del quale, tenendo conto delle conseguenze in concreto cagionate al ricorrente dalia detenzione. La Corte ha commisurato espressamente l’indennità all’utile annuo dell’attività lavorativa perduta, stimato in Euro 9.000,00 ad anno e così in totale in Euro 45.000,00, a tale somma ha aggiunto ulteriori Euro 5000, a titolo di indennizzo per sofferenze patite in conseguenza degli otto giorni di detenzione sofferti. La statuizione è illogica ed illegittima.

L’indennizzo è stato commisurato non già alle conseguenze immediate e dirette della detenzione quanto alla durata del processo, vale a dire sono state indennizzate conseguenze diverse da quelle dipendenti dalla ingiusta detenzione. E’ illegittima in quanto la Corte non ha considerato che per l’irragionevole durata del processo e per il ristoro delle conseguenze da essa derivanti è prevista altra forma di indennizzo. E’ illogica laddove si ricollega la perdita dell’attività lavorativa alla misura cautelare applicata, segnatamente in ragione del provvedimento prefettizio che aveva revocato al ricorrente l’autorizzazione di polizia all’esercizio di guardia giurata ed il porto d’armi, proprio in conseguenza della disposta custodia in carcere. E’ evidente che il provvedimento prefettizio poteva essere agevolmente rimosso mediante il ricorso al giudice amministrativo, sia mediante la sollecitazione dei poteri di autotutela. La Corte territoriale ha poi omesso di considerare, in ogni caso, che i pregiudizi lamentati dipendevano dal provvedimento prefettizio e non dalla detenzione sofferta.

Il ricorso va accolto con conseguente annullamento della ordinanza impugnata.

Il primo rilievo (punto a) non è fondato atteso che non è affatto inibito al giudice della riparazione l’esatto inquadramento giuridico della domanda azionata ex art. 314 c.p.p.. Ed invero, in considerazione dell’aspetto anche pubblicistico dell’istituto, appare conforme a legge la possibilità del giudice di dare una veste giuridica esatta alla domanda azionata. Per altro, la massima giurisprudenziale di questa Corte, riportata nel ricorso sul punto, si riferisce alla diversa fattispecie in cui una delle parti (il contro-interessato) in causa non è stata posta in grado di interloquire sulla modifica di ufficio della "causa petendi".

Quanto all’esatto inquadramento della fattispecie de qua nella previsione dell’art. 314 c.p.p., comma 2, il collegio condivide l’impostazione del giudice a quo in quanto conforme sia al dettato della norma che alla giurisprudenza di legittimità in materia, sul rilievo che si è in presenza di una custodia cautelare patita dall’istante in forza di un provvedimento custodiale assolutamente illegittimo perchè adottato in palese violazione di legge, in quanto in totale assenza dei necessari presupposti (gravità degli indizi di colpevolezza) previsti dall’art. 273 c.p.p., alla cui esistenza l’ordinamento subordina la privazione preventiva della libertà dell’individuo.

Nel disciplinare la materia della riparazione dell’ingiusta detenzione, il codice di rito del 1988 prevede, accanto alle ipotesi di c.d. ingiustizia sostanziale della detenzione di cui all’art. 314 c.p.p., comma 1, per la cui sussistenza è necessario fare riferimento all’intervenuta assoluzione con formula di merito, altre ipotesi, disciplinate all’art. 314 c.p.p., comma 2, in cui l’ingiustizia è, per così dire, formale e che prescindono dall’esito del giudizio, di assoluzione o di condanna. La disposizione del comma 3 estende inoltre la applicabilità delle previsioni di cui ai commi 1 e 2 al caso, per quanto qui interessa, della sentenza di non doversi procedere.

Come chiaramente precisato da autorevole dottrina, nell’ipotesi di cui al secondo comma si tratta di risarcire "illegalmente custodito";

è indifferente l’epilogo: prosciolto con formula meno favorevole (di quella prevista dal comma 1 n.d.r.) o condannato; va stabilito se la custodia sia stata legalmente disposta e mantenuta, … se fosse coercibile allora, rebus sic stantibus … giudizio retrospettivo e l’illegittimità del provvedimento assume rilievo in quanto consti da "decisione irrevocabile".

La norma delinea chiaramente i presupposti della riparazione della custodia illegale, consistenti: 1) nella mancanza, all’epoca in cui è stata disposta o mantenuta la custodia, delle condizioni di applicabilità previste dall’art. 273 c.p.p. e art. 280 c.p.p. e 2) nel relativo accertamento con decisione irrevocabile. Nel caso di specie la Corte di appello di Bari ha accordato la riparazione in relazione al secondo presupposto, ritenendo che fosse intervenuto l’accertamento con decisione irrevocabile della illegittimità della detenzione. Per il ricorrente Ministero tale decisione è erronea in quanto sarebbe stato necessario una decisione definitiva emessa in sede di riesame e non all’esito del procedimento ordinario.

L’affermazione, ad avviso del Collegio, non può essere condivisa.

Occorre prendere le mosse da alcune decisioni, intervenute in tempi non molto recenti, delle Sezioni Unite della Corte, chiamate a risolvere il contrasto circa la persistenza o meno dell’interesse ad impugnare il provvedimento di custodia cautelare una volta riottenuta la libertà da parte dell’indagato. Nel ritenere sussistente il detto interesse, le Sezioni Unite (sentenza 12.10.93 dep. 8.11.93 n. 20, Durante) hanno appunto messo l’accento sulla rilevanza della decisione del Tribunale del riesame ai fini dell’accertamento dei presupposti che legittimano la richiesta di riparazione di ingiusta detenzione nei casi ex art. 314 c.p.p., comma 2, specialmente quanto all’accertamento della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (accertamento che, dovendo essere rapportato al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo della libertà, non costituisce oggetto della sentenza del giudice di merito);

successivamente (sentenza 8.7.1994 n. 11, Buffa) hanno escluso che l’istanza di riesame sia preclusa da quella, precedentemente presentata, di revoca della misura, e che possa essere ritenuta inammissibile solo perchè proposta successivamente ad essa. In questa seconda sentenza si trova l’affermazione, poi massimata, secondo la quale "la "decisione irrevocabile", necessaria ex art. 314 c.p.p., per la riparazione dell’ingiusta detenzione, può essere individuata soltanto nell’ordinanza non impugnata emessa dal Tribunale ai sensi degli artt. 309 o 310 c.p.p., ovvero nella pronunzia adottata da questa Corte a seguito di ricorso contro tale ordinanza, o in sede di ricorso per saltum avverso il provvedimento cautelare".

E a tale principio ha fatto riferimento il ricorrente nel ritenere, come si è visto, insussistente una delle condizioni della domanda.

Non sembra tuttavia che il principio espresso dalle Sezioni Unite possa e debba essere inteso in senso tale da comportare l’esclusione del diritto alla riparazione in casi come quello in esame. Ed invero, le stesse Sezioni Unite (nella prima delle decisioni sopra ricordate) hanno riconosciuto essere vero che in alcune ipotesi, pur marginali, l’illegittimità della misura cautelare, ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 2, può risultare in modo implicito e tuttavia evidente dalla stessa sentenza definitiva di merito, mentre per tutti gli altri casi, e specialmente per quello concernente i gravi indizi di colpevolezza, la decisione irrevocabile è quella, non impugnata, resa in sede di riesame o appello avverso il provvedimento restrittivo della libertà o quella emessa da questa Corte a seguito di ricorso. Tali ipotesi marginali sono state precisate dalle sezioni unite "nei casi in cui l’imputato sia stato condannato per un reato diverso da quello contestato ed inoltre punito con pena edittale non superiore nel massimo a tre anni di reclusione, per cui la misura cautelare risulti ex post inflitta in violazione del cit. art. 280 c.p.p., ovvero nel caso in cui l’imputato sia stato viceversa assolto perchè il reato era estinto sin dal momento di applicazione o conferma della stessa misura". Senza ulteriormente approfondire il discorso circa tali affermazioni dell’autorevole Collegio, qui non rilevanti, giova invece sottolineare che dalle stesse si evince chiaramente che la decisione emessa in sede di riesame non esaurisce la nozione di "decisione irrevocabile" di cui all’art. 314 c.p.p., comma 2, tale potendosi considerare anche quella emessa all’esito del giudizio di merito sempre che dalla stessa sia accertata la mancanza originaria delle condizioni di applicabilità della misura.

Ciò posto, però, l’ordinanza va annullata non condividendosi la successiva impostazione in diritto di applicazione dell’ipotesi di cui all’art. 314 c.p.p., comma 2, come dedotto dal ricorrente Ministero (punto b del ricorso). Sul punto sono intervenute le SS.UU. che, con sentenza n. 32383 del 27.05.2010 (Rv. 247663) hanno affermato il seguente principio di diritto: "La circostanza dell’avere dato o concorso a dare causa alla misura custodiale per dolo o colpa grave opera quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione anche nella ipotesi, prevista dall’art. 314 c.p.p., comma 2, di riparazione per sottoposizione a custodia cautelare in assenza delle condizioni di applicabilità di cui agli artt. 273 e 280 c.p.p.; tale operatività non può peraltro concretamente esplicarsi, in forza del meccanismo "causale" che governa la condizione stessa, nei casi in cui l’accertamento dell’insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura custodiale avvenga sulla base degli stessi precisi elementi che aveva a disposizione il giudice del provvedimento della cautela, e in ragione esclusivamente di una loro diversa valutazione".

Orbene, quanto a quest’ultima affermazione si evidenzia che, per il caso di specie, essa non esclude che non operi la causa ostativa della dolo o della colpa grave atteso che il GIP ebbe a revocare la misura cautelare all’esito dell’interrogatorio di garanzia dell’indagato, per cui si può fondatamente sostenere che il giudice, successivamente all’emissione dell’ordinanza cautelare, operò la valutazione delle condizioni di applicabilità della misura, non unicamente in maniera diversa, ma sulla base di un elemento, quale è l’interrogatorio di garanzia, sopraggiunto. Ed infatti nell’ordinanza di revoca è dato leggere che, come riportato dalla stessa Corte d’Appello di Bari, "…..gli indizi di colpevolezza rappresentati dalle intercettazioni telefoniche sono, alla luce delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio, leggibili anche in chiave non accusatoria, divenendo meno univoche le conversazioni captate". In ragione di tanto, l’impugnata ordinanza va annullata con rinvio alla Corte d’Appello di Bari per una nuova valutazione dell’istanza presentata dal M. sulla scorta di quanto affermato e considerando le deduzioni prospettate dal ricorrente Ministero in ordine all’eventuale quantificazione della indennità richiesta, apparendo esse, prima facie, fondate essendo esse aderenti all’indirizzo giurisprudenziale di questa Corte in materia di liquidazione dell’indennità per ingiusta detenzione (V. da ultimo Sez. 4, Sentenza n. 22688 del 18/03/2009 Cc. Rv. 243990). Demanda alla Corte territoriale anche la liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Bari cui demanda anche la liquidazione delle spese del presente grado.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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