Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 08-10-2010) 04-01-2011, n. 145; Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1 – M.R. propone ricorso, per il tramite del difensore, avverso l’ordinanza, emessa il 18 novembre 2008, con la quale la Corte d’Appello di Napoli ha respinto la richiesta, dallo stesso avanzata, di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta in conseguenza dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nell’ambito di procedimento penale che l’ha visto imputato ex D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74. Reati per i quali è stata successivamente emessa sentenza assolutoria.

La Corte territoriale ha rigettato l’istanza, avendo ritenuto che il richiedente, con il suo comportamento gravemente colposo, aveva contribuito a dar causa alla custodia cautelare.

Avverso tale decisione viene, dunque, proposto ricorso per Cassazione, ove si deducono i vizi di violazione di legge e di motivazione del provvedimento impugnato, sotto i profili della mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della stessa, circa la ritenuta sussistenza, nella condotta del M., del presupposto impeditivo del riconoscimento del diritto alla riparazione, cioè della colpa grave.

2 – Il ricorso è infondato.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di riparazione per ingiusta detenzione al giudice del merito spetta, anzitutto, di verificare se chi l’ha patita vi abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con dolo o colpa grave. A tal fine, egli deve prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili, relativi alla condotta del soggetto, sia precedente che successiva alla perdita della libertà, al fine di stabilire se tale condotta abbia determinato, ovvero anche solo contribuito a determinare, la formazione di un quadro indiziario che ha indotto all’adozione o alla conferma del provvedimento restrittivo. Tale condizione, ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, deve manifestarsi attraverso comportamenti concreti, precisamente individuati, che il giudice di merito è tenuto ad apprezzare, in modo autonomo e completo, al fine di stabilire, con valutazione "ex ante", non se essi abbiano rilevanza penale, ma solo se si siano posti come fattore condizionante rispetto all’emissione del provvedimento di custodia cautelare. Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extra processuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (auto incolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione. Nulla vieta al giudice della riparazione di prendere in considerazione gli stessi comportamenti oggetto dell’esame del giudice penale, sempre che la valutazione di essi sia eseguita dal primo non rapportandosi ai canoni di giudizio del processo penale, bensì a quelli propri del procedimento riparatorio, che è diretto non ad accertare responsabilità penali, bensì solo a verificare se talune condotte abbiano quantomeno concorso a determinare l’adozione del provvedimento restrittivo.

Orbene, nel caso di specie la Corte distrettuale si è attenuta a tali principi, avendo ritenuto, sulla base di quanto emerso in sede processuale, nel rispetto della normativa di riferimento e con motivazione adeguata e coerente sotto il profilo logico, che la condotta del richiedente aveva sostanzialmente contribuito ad ingenerare, sia pur in presenza di errore dell’autorità inquirente, la rappresentazione di una condotta illecita, dalla quale è scaturita, con rapporto di causa ad effetto, la detenzione ingiustamente sofferta.

In particolare, i giudici della riparazione, richiamando circostanze emerse in detta sede, hanno legittimamente ritenuto che:

– i frequenti contatti del richiedente con soggetti gravitanti nel mondo del traffico e della tossicodipendenza;

– i contenuti delle conversazioni intercettate, criptici, a causa del linguaggio convenzionale adoperato, e tuttavia chiaramente riconducibili ad attività di cessione di sostanze stupefacenti ed alle modalità di confezionamento delle stesse;

– la contiguità del M. ad ambienti ed a personaggi, taluno dei quali coindagato, certamente coinvolti nel traffico di droga;

– il rinvenimento, nell’abitazione del richiedente, di sostanza stupefacente di natura diversa (4 grammi di marijuana e 0,5 di cocaina), fossero elementi caratterizzanti una condotta equivoca, gravemente imprudente e negligente, idonea ad ingenerare la convinzione, evidentemente con giudizio ex ante, di un coinvolgimento dell’odierno ricorrente nel traffico oggetto d’indagine; una condotta che ha quantomeno contribuito a determinare l’adozione del provvedimento restrittivo.

Il sindacato del giudice di legittimità sul provvedimento che rigetta o accoglie la richiesta di riparazione è, d’altra parte, limitato alla correttezza del procedimento logico-giuridico attraverso cui il giudice di merito è pervenuto alla decisione;

mentre resta di esclusiva pertinenza di quest’ultimo la valutazione dell’esistenza e dell’incidenza della colpa o dell’esistenza del dolo. Anche in ragione di ciò, l’ordinanza in esame non merita di essere censurata, essendo la decisione impugnata del tutto coerente rispetto alle circostanze emerse nella sede processuale, correttamente valutate dalla Corte territoriale e perfettamente in linea con i principi di diritto affermati da questa Corte in tema di riparazione.

Il ricorso deve essere, in conclusione, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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