Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-10-2010) 04-01-2011, n. 23

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con sentenza in data 2 ottobre 2008, depositata in data 24 febbraio 2010, il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria emetteva sentenza di non luogo a procedere, per non aver commesso il fatto, nei confronti di P.A., imputato del reato di riciclaggio continuato e aggravato dal nesso teleologico e dall’aver commesso il fatto nell’esercizio di un’attività professionale.

Al P., direttore della filiale di (OMISSIS) del Banco di Napoli, era stato contestato di avere, tra il novembre 2001 e il maggio 2002, sostituito in numerosi prodotti finanziari il denaro in contanti, provento del delitto di corruzione, depositato, anche per interposta persona, dal consigliere regionale C. D. (imputato nell’ambito del medesimo procedimento, il C. D. aveva chiesto il giudizio abbreviato in relazione ai diversi reati ascrittigli, con conseguente separazione degli atti che lo riguardavano) e di aver agito – al fine di occultare i reati commessi dal C.D. ovvero per fargliene conseguire il profitto, il prodotto e l’impunità- in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza del denaro non provvedendo (o provvedendo con ritardo) alle prescritte segnalazioni antiriciclaggio con riferimento ad alcuni versamenti che risultavano effettuati, per ingenti somme di denaro, dal C.D. personalmente e dai suoi congiunti (versamento di L. 1.195.000.000 in contanti formalmente eseguito il (OMISSIS) dai genitori del C.D., M.A. e C. A., sul conto corrente n. (OMISSIS); versamento in data (OMISSIS) sul conto corrente n. (OMISSIS) intestato a C. D. di un assegno bancario dell’importo di L. 1.195.000.000 tratto da M.A. sul conto corrente n. (OMISSIS);

versamenti effettuati dalla moglie del C.D., F.A., il 27 febbraio 2002 per oltre 72.000,00 Euro e il giorno successivo per oltre 7.800,00 Euro e 25.820,00 Euro e dal C.D. personalmente il 9 maggio 2002 per 18.500,00 Euro e il giorno successivo per 15.500,00 Euro).

Il giudice dell’udienza preliminare riteneva che l’imputato fosse stato in condizione, per l’entità dei versamenti e le modalità di effettuazione, di nutrire sospetti sull’origine illecita del denaro depositato, ma che gli anomali rapporti di confidenza con il C. D., pur rilevanti sotto il profilo disciplinare, e le tracce lasciate nella documentazione bancaria delle operazioni contestate non consentissero di affermare che la condotta del P. fosse finalizzata ad ostacolare l’individuazione della provenienza da delitto delle somme pervenute sui conti del C.D.. Sarebbe quindi mancato l’elemento soggettivo del reato di riciclaggio.

Avverso la predetta sentenza il pubblico ministero ha proposto ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce la contraddittorietà tra la motivazione del provvedimento impugnato, fondata sul difetto dell’elemento psicologico del contestato reato di riciclaggio, e la formula di proscioglimento adottata ("per non aver commesso il fatto") e, inoltre, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione nella quale erano stati comunque evidenziati, oltre all’inosservanza da parte dell’imputato degli obblighi di segnalazione imposti dalla legge, elementi particolarmente significativi quali i suoi rapporti confidenziali con il C.D. di cui "curava" riservatamente e personalmente i conti, il carattere sospetto delle operazioni bancarie riconducibili al consigliere regionale e l’inverosimiglianza delle spiegazioni dallo stesso fornite circa i movimenti finanziari oggetto delle operazioni agevolate dal P.. In particolare il pubblico ministero ricorrente pone in rilievo -quanto al versamento in contanti da parte del padre del C. di una somma pari a circa L. 1.200.000.000, denaro asseritamente ricavato della vendita di immobili e dall’attività di commerciante di bergamotto e conservato "in casa dentro il materasso" – che dagli accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza era risultata l’esiguità del ricavato delle vendite immobiliari e dei redditi denunciati dai genitori del C. e, inoltre, che della somma in questione L. 600 milioni erano stati versati in banconote da L. 500.000, banconote che erano tuttavia in circolazione solo dall’anno 1997 e non potevano pertanto essere il frutto dei risparmi accumulati nel corso di "decenni". Nel ricorso si osserva che sarebbe comunque privo di spiegazione il successivo trasferimento al C. da parte del padre, a discapito dell’altra figlia, dell’intera somma di L. 1.195.000.000 a distanza di pochi giorni dal versamento di una somma di pari importo sul conto corrente appositamente aperto a suo nome (in coincidenza, peraltro, di numerosi prelievi in contanti da parte del coimputato M. M., vicino al consigliere regionale C. e beneficiario di ingenti finanziamenti regionali per l’ampliamento della sua azienda faunistico – venatoria).

Il pubblico ministero ricorrente ritiene che le somme in contanti versate sul conto corrente aperto dai genitori del C. fossero in realtà "tangenti" percepite in L. dal C. per favori fatti al M. e ad altri imprenditori, somme depositate per consentire la conversione in euro, e che i rapporti confidenziali tra il C. e il P., emergenti dalle intercettazioni telefoniche e dalle dichiarazioni del teste Mi. (il P., tra l’altro, avrebbe personalmente trasportato parte dell’ingente somma depositata dall’abitazione del C. alla sede dell’istituto di credito da lui diretto), consentissero di affermare che l’imputato fosse consapevole della illecita provenienza del denaro. Nel ricorso si pone, infine, in evidenza che dagli accertamenti svolti dall’Ufficio Italiano Cambi era emerso che la segnalazione dell’operazione effettuata il (OMISSIS) era stata fatta solo dopo che si era avuta notizia del procedimento penale a carico del C..

Nell’interesse dell’imputato è stata depositata una memoria difensiva nella quale si sostiene che il ricorso del pubblico ministero è manifestamente infondato poichè il giudice per le indagini preliminari, in relazione al medesimo fatto, aveva respinto la richiesta di applicazione della custodia cautelare nei confronti del P. con ordinanza in data 22 gennaio 2003 e il relativo appello del pubblico ministero Tribunale di Reggio Calabria era stato anch’esso respinto con ordinanza del 3 dicembre 2003 sul presupposto che difettasse "la precisa consapevolezza da parte del P. della provenienza illecita del denaro in termini di prodotto, profitto o prezzo di specifici delitti, laddove è costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità quello per cui il dolo del delitto di riciclaggio non sussiste se l’agente ha un generico sospetto della provenienza illecita dei valori, o una generica consapevolezza della loro indeterminata provenienza illecita".

La Corte osserva preliminarmente che corretto è il rilievo del pubblico ministero ricorrente circa la contraddittorietà tra la motivazione della sentenza impugnata e il dispositivo in quanto è palese l’incoerenza tra la motivazione del provvedimento impugnato, in cui si assume l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato di riciclaggio, e la formula "per non aver commesso il fatto" adottata in dispositivo per indicare la causa della dichiarazione di non luogo a procedere in relazione al reato di riciclaggio (capo M), contestato al P. in forma non concorsuale. La formula "per non aver commesso il fatto" postula infatti la prova positiva dell’innocenza dell’imputato per essere stato il fatto a lui ascritto commesso da altri, mentre nel caso di difetto dell’elemento soggettivo del reato, pur in presenza di una condotta dell’imputato conforme dal punto di vista oggettivo alla fattispecie criminosa contestata, la formula da adottare sarebbe quella, meno favorevole per l’imputato, "perchè il fatto non costituisce reato". Dalla sequenza delle formule di proscioglimento contenuta nell’art. 129 c.p.p., comma 1, e dalla diversa ampiezza degli effetti liberatori per l’imputato, la formula "per non aver commesso il fatto" deve quindi prevalere sulla formula "il fatto non costituisce reato" (ved.

Sez. 5^ 6 dicembre 2000, n. 10312/2001, Rossi; Sez. 3^ 23 giugno 1993, n. 9096, Steinhauslin; sez. 6^ 30 novembre 1990, n. 4508, Pennino, queste ultime due con riferimento all’art. 152 c.p.p. 1930) che esclude il carattere riprovevole della condotta sulla base di un fattore specifico e contingente. Va al riguardo osservato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. Un. 23 giugno 2003 n. 6203, Amato; Sez. Un. 24 marzo 1995 n. 9616, Boido; Sez. Un. 13 dicembre 1995 n. 42, P.M. in proc. Timpani; sez. 1^ 17 ottobre 2003 n. 47496, P.M. in proc. Donnarumma; sez. 2^ 28 maggio 2004 n. 25715, P.G. in proc. Fasano Sez. Un.) il pubblico ministero ha interesse ad impugnare ogni qual volta ravvisi la violazione o l’erronea applicazione di una norma giuridica, sempre che tale interesse presenti i caratteri della concretezza e dell’attualità, quando cioè il gravame miri ad un risultato non soltanto teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole. Nel caso di specie la dedotta contraddizione tra motivazione e dispositivo ha rilievo non solo formale, dovendosi ritenere fondate anche le ulteriori e più penetranti doglianze del pubblico ministero ricorrente che ha dedotto la contraddittorietà ed illogicità del percorso argomentativo all’esito del quale il giudice dell’udienza preliminare è pervenuto ad escludere la sussistenza dell’elemento psicologico sulla base di una lettura parziale e riduttiva delle emergenze processuali.

Va premesso che il controllo del giudice di legittimità sulla motivazione della sentenza di non luogo a procedere può avere per oggetto solo la giustificazione adottata dal giudice nel valutare gli elementi acquisiti dal pubblico ministero e, quindi, la riconoscibilità del criterio prognostico adottato nella valutazione d’insieme degli elementi acquisiti (dal pubblico ministero e attraverso l’eventuale attività di integrazione probatoria) e non anche la valutazione di tali elementi, che condurrebbe a un giudizio di merito inibito in questa sede (Cass. sez. 5^ 13 febbraio 2008 n. 14253, Piras; sez. 5^ 18 marzo 2010 n. 15364, Caradonna).

Nel caso di specie il percorso argomentativo adottato nella sentenza impugnata, per giungere ad affermare la mancanza nell’imputato dell’elemento psicologico del contestato reato di riciclaggio, appare carente sotto il profilo logico. Si afferma, infatti, che il P. aveva motivo di sospettare, per l’entità dei versamenti e le modalità di effettuazione degli stessi, che potesse trattarsi di somme di origine illecita o, comunque, di operazioni finanziarie "meritevoli della massima attenzione proprio nella prospettiva di scongiurare il verificarsi dei fenomeni distorsivi la normativa antiriciclaggio mira a prevenire" e, inoltre, che il suo comportamento confidenziale con il C. era "certamente censurabile in sede disciplinare o comunque sul piano squisitamente professionale" dedicandosi egli personalmente alla cura dei conti "dell’illustre cliente". Nonostante ciò il giudice di merito esclude tuttavia che in un futuro dibattimento possa essere dimostrata la consapevolezza in capo all’imputato dell’asserita provenienza delittuosa delle ingenti somme depositate in contanti dal C. e dai suoi congiunti, aggiungendo che le operazioni finanziarie in questione hanno comunque lasciato una traccia nella documentazione bancaria e non si sono susseguite e sovrapposte "con la frenesia che tipicamente caratterizza le manovre finalizzate alla ripulitura del denaro sporco". A prescindere da quest’ultima notazione che contrasta con l’accertata successione dei rilevanti versamenti effettuati dal C. e dai suoi stretti familiari nell’arco di pochi mesi, anche in giorni consecutivi, la Corte rileva che la tracciabilità delle operazioni bancarie dirette a sostituire denaro di provenienza illecita di per sè non può costituire elemento tale da escludere la prova dell’elemento soggettivo del reato di riciclaggio, soprattutto in presenza di elementi quali l’omissione di segnalazione in adempimento della normativa antiriciclaggio e, quindi, della mancata attivazione, per l’imputato doverosa dato l’incarico ricoperto nella struttura organizzativa dell’istituto di credito, dei controlli previsti dalla legge proprio per verificare la liceità di determinate operazioni. Peraltro il ragionamento del giudice dell’udienza preliminare riguarda il dolo, che è un elemento di fatto non escludibile aprioristicamente o sulla base di supposizioni e la cui sussistenza è suscettibile di essere provata in dibattimento (cfr. Cass. sez. 5^ 18 marzo 2010 n. 15364, Caradonna, con riferimento al caso di una sentenza di non luogo a procedere emessa in ordine al reato di cui all’art. 648 bis c.p. sul presupposto dell’assenza o non raggiungibilità della prova di consapevolezza dello stesso relativamente alla provenienza illecita di assegni, in quanto "le operazioni bancarie sono tracciabili"; la Corte ha ritenuto che il dolo si desume dall’accaduto reale ed il ragionamento del giudice dell’udienza preliminare, ancorato a mere supposizioni circa le fonti, non esclude la sostenibilità dell’accusa avanti al giudice che, assunte le prove, può in alternativa decidere per la condanna). Quanto alla provenienza illecita del denaro, anche in tema di riciclaggio (come per la ricettazione) non è necessario che il reato presupposto sia specificamente individuato e accertato, essendo sufficiente che esso risulti, alla stregua degli acquisiti elementi di fatto interpretati secondo logica, almeno astrattamente configurabile (Cass.sez. 6^ 15 ottobre 2008 n. 495, Argiri Carrubba; sez. 5^ 21 maggio 2008 n. 36940, Magnerà). L’entità e le modalità delle operazioni bancarie poste in essere dal C. e dai congiunti con l’assistenza dell’imputato, la cui condotta è stata peraltro censurata pesantemente dal giudice di merito, impone alla luce dei principi giurisprudenziali sopra richiamati (e del principio, recentemente affermato, dalle Sezioni Unite di questa Corte con riferimento all’elemento psicologico della ricettazione che può essere integrato anche dal dolo eventuale, configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio: Cass. Sez. Un.26 novembre 2009 n. 12433, Nocera), un approfondimento sull’effettiva immutabilità del quadro probatorio e valutativo delineatosi all’udienza preliminare. Dopo le modifiche apportate all’art. 425 c.p.p. dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479 il giudizio prognostico sugli sviluppi dibattimentali affidato al giudice per l’udienza preliminare, al quale gli strumenti di integrazione probatoria previsti dagli artt. 421 bis e 422 bis c.p.p. consentono di attribuire maggiore concretezza, si traduce pur sempre in una sentenza meramente processuale e non di merito che accerta la necessità o meno del passaggio alla fase dibattimentale, secondo l’orientamento espresso anche a Sezioni Unite (Sez.Un. 30 ottobre 2002 n. 39915, Vottari) da questa Corte (Cass. sez. 2^ 18 marzo 2008 n. 14034, D’Abramo; sez. 4^ 31 gennaio 2008 n. 13163, Cascone; sez. 4^ 8 novembre 2007 n. 47169, Castellano; sez. 4^ 19 aprile 2007 n. 26410, Giganti; sez. 6^ 6 aprile 2000 n. 1662, Pacifico). Il giudice dell’udienza preliminare non può quindi pronunciare sentenza di non luogo a procedere quando l’eventuale insufficienza o contraddittorietà degli elementi acquisiti appaiano ragionevolmente superabili nel dibattimento, non dovendo il giudice accertare l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato, bensì la sostenibilità dell’accusa in giudizio (cass. sez. 4^ 19 aprile 2007 n. 26410, Giganti; sez. 5^ 15 maggio 2009 n. 22864, Giacomin).

Ne consegue, in accoglimento del ricorso del pubblico ministero, l’annullamento della sentenza impugnata, con conseguente trasmissione degli atti al Tribunale di Reggio Calabria.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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