Cass. civ. Sez. V, Sent., 20-01-2011, n. 1214 Accertamento Imposta reddito persone fisiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.A. impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate assoggettava a tassazione ordinaria ai fini Irpef e SSN per l’anno 1995 il corrispettivo della cessione di azienda effettuata il 19.12.1995; esponeva che per il pagamento di tale corrispettivo era stato convenuta una rateizzazione mensile a partire dal gennaio 1996 e che la plusvalenza era stata dichiarata con il criterio di cassa e non di competenza e sottoposta a tassazione separata, trattandosi di impresa individuale posseduta da oltre cinque anni. L’ufficio resisteva. La Commissione tributaria provinciale accoglieva parzialmente il ricorso ritenendo che dovesse essere applicato il principio della competenza ma che dovesse ritenersi optato dalla contribuente, attraverso comportamenti concludenti, il ricorso alla tassazione separata.

L’ufficio interponeva appello che veniva accolto dalla Commissione Tributaria Regionale con la sentenza indicata in epigrafe. Contro la stessa ricorre per cassazione la contribuente con ricorso fondato su di un duplice motivo. L’ufficio resiste con controricorso.

MOTIVAZIONE

Motivi della decisione

La contribuente con il primo motivo del ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 442 del 1997, art. 1, comma 1 e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 2 per avere il giudice dell’appello, che pure ha riconosciuto la buona fede di essa contribuente, illegittimamente ritenuto che la mera mancata esplicita opzione per il regime della tassazione separata fosse ostativa alla fruizione di tale beneficio fiscale, che invece la legge riconosce sia attraverso l’attribuzione al contribuente del diritto di scegliere il regime più favorevole (art. 16, comma 2, lett. g), sia stabilendo che la scelta operata si può evincere oltre che da esplicite dichiarazioni anche dai comportamenti concludenti del contribuente.

Le censura è infondata.

La modalità di tassazione in materia di plusvalenza da cessione d’azienda realizzata da persone fisiche ha avuto una modifica nel tempo: per i periodi anteriori al 1988 trovava applicazione la disciplina dettata dal D.P.R. n. 597 del 1973, art. 12, che, per la plusvalenza in questione, imponeva il regime della tassazione separata senza contemplare alternative. La materia venne poi modificata – secondo le norme ratione temporis applicabili – dal combinato disposto del D.P.R. n. 42 del 1988, art. 21, comma 2 (che fissava la mera decorrenza al primo periodo d’imposta successivo al 31 dicembre 1987) e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, norma avente una portata innovativa proprio nel senso di consentire un’opzione (tra tassazione separata e tassazione ordinaria)prima inesistente. La stessa infatti prevedeva la tassazione separata (comma 1, lett. g), ma accordava al contribuente persona fisica la facoltà di scegliere fra la medesima tassazione separata e la tassazione ordinaria, indicandone anche la specifica modalità (comma 2: "se conseguiti da persone fisiche nell’esercizio di imprese commerciali, sono tassati separatamente a condizione che ne sia fatta richiesta nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta al quale sarebbero imputabili come componenti del reddito di imprese).

Tanto premesso è pacifico che nella specie non sia intervenuta una espressa e tempestiva opzione per il beneficio della tassazione separata, la ricorrente, tuttavia, richiamandosi al D.P.R. n. 442 del 1997, art. 1 (applicabile retroattivamente L. n. 342 del 2000, ex art. 4), ha sostenuto la sussistenza nella specie di un comportamento concludente in ordine a tale opzione, avendo applicato la stessa per gli anni d’imposta 1996, 1997 e 1998, mentre per l’anno 1999 ha applicato la tassazione ordinaria.

E’ innanzitutto da rilevare che da tutte le norme sopra richiamate si ricava che la tassazione separata è una forma particolare di pagamento del tributo consentita al fine di evitare che redditi maturati in un lungo arco di tempo ma percepiti (fiscalmente) in un unico periodo d’imposta siano tassati con aliquote diverse da quelle vigenti nel periodo di formazione del reddito stesso. Si tratta quindi di un beneficio per il contribuente, consentito solo nelle ipotesi ed alle condizioni stabilite dal legislatore. La norma invocata dalla contribuente (D.P.R. n. 442 del 1997, art. 1), invece, regolamenta altra e diversa ipotesi statuendo che "L’opzione e la revoca di regimi di determinazione dell’imposta o di regimi contabili si desumono da comportamenti concludenti del contribuente o dalle modalità di tenuta delle scritture contabili". In effetti detta norma, proprio perchè contempla solo i regimi di determinazione dell’imposta o di regimi contabili, non può trovare applicazione con riferimento alle modalità di pagamento dell’imposta, qual è il beneficio della tassazione separata; il suo richiamo è pertanto erroneo.

A tanto aggiungasi che, come già affermato da questa Corte (Cass. n. 2937 del 2007 anche se con riferimento a diversa fattispecie), l’opzione (espressa o tacita) non può che riguardare tutte le attività del contribuente, sarebbe quindi erroneo interpretare come manifestazione univoca e concludente della contribuente il comportamento discontinuo della stessa che di fatto – con riferimento alla plusvalenza da cessione d’azienda in esame – si è avvalsa della tassazione separata per gli anni d’imposta 1996, 1997 e 1998, e di quella ordinaria per l’anno 1999. Tale motivo va pertanto rigettato.

Con il secondo motivo del ricorso la ricorrente denuncia il vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) per avere l’impugnata sentenza, con omissione e contraddizione motivazionale, riconosciuto che la contribuente ha applicato la regola della tassazione separata per gli anni 1996, 1997 e 1998 senza trame le dovute conseguenze logiche; ed ancora per aver apoditticamente affermato che la contribuente ha violato la legge fruendo di aliquote più favorevoli con l’omettere di optare in modo esplicito per la tassazione separata, salvo poi ad attuarla di fatto.

La censura è infondata per avere il giudice dell’appello dato conto, con motivazione congrua, anche se certamente stringata, del percorso logico-giuridico che l’ha portato ad assumere la decisione impugnata.

Lo stesso infatti specificamente richiama il disposto del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 2 e correttamente rileva che a norma dello stesso, la plusvalenza realizzata mediante cessione a titolo oneroso di aziende, posseduta da più di cinque anni, può essere assoggettata a tassazione separata a condizione che ne sia fatta richiesta e che tale richiesta del contribuente manca.

E’ ugualmente motivata (ma non si dimentichi che la tassazione separata è un beneficio a favore del contribuente, in deroga al principio del cumulo) anche il danno per l’erario, conseguente all’applicazione di aliquote più favorevoli al contribuente. In virtù di quanto esposto il ricorso va rigettato.

Le spese vengono regolate, come in dispositivo, in applicazione del principio della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di giudizio che liquida in Euro 1000,00, oltre spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *