Corte Costituzionale, Sentenza n. 20 del 2012, In materia di calendaio venatorio regionale dell’Abruzzo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 7 del 15-2-2012

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale degli articoli 1, 2, 3,
commi 2 e 3, e 5, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 10
agosto 2010, n. 39 (Norme per la definizione del calendario venatorio
regionale per la stagione venatoria 2010/2011), promosso dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato l’11-14
ottobre 2010, depositato in cancelleria il 19 ottobre 2010 ed
iscritto al n. 110 del registro ricorsi 2010.
Visto l’atto di costituzione della Regione Abruzzo;
udito nell’udienza pubblica del 13 dicembre 2011 il Giudice
relatore Giorgio Lattanzi;
uditi l’avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per il
Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Federico
Tedeschini per la Regione Abruzzo.

Ritenuto in fatto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato
l’11 ottobre 2010 (reg. ric. n. 110 del 2010), ha promosso questioni
di legittimita’ costituzionale degli articoli 1, 2, 3, commi 2 e 3, e
5, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 10 agosto 2010, n. 39
(Norme per la definizione del calendario venatorio regionale per la
stagione venatoria 2010/2011), in riferimento all’art. 117, primo e
secondo comma, lettera s), della Costituzione.
Le norme impugnate, intervenendo a regolamentare il calendario
venatorio e taluni profili dell’attivita’ di caccia nelle zone a
protezione speciale, lederebbero la competenza esclusiva dello Stato
in materia di tutela dell’ambiente, confliggendo altresi’ con il
diritto dell’Unione europea.
1.1. – La prima censura riguarda la disciplina del calendario
venatorio contenuta negli artt. 1 e 2 della legge impugnata, che
secondo il ricorrente sarebbero in contrasto con l’art. 18, commi 2 e
4, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione
della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio),
espressivo della competenza di cui all’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost.
L’art. 18, comma 2, stabilisce, infatti, che le Regioni possono
modificare il calendario venatorio, con riferimento all’elenco delle
specie cacciabili e al periodo in cui e’ consentita la caccia,
indicati dal precedente comma 1, per mezzo di un procedimento che
contempla l’acquisizione del parere dell’Istituto nazionale per la
fauna selvatica (nelle cui competenze oggi e’ subentrato l’Istituto
superiore per la protezione e la ricerca ambientale – ISPRA).
L’art. 18, comma 4, stabilisce, poi, che, sulla base del
suindicato parere, le Regioni pubblicano, entro il 15 giugno di ogni
anno, «il calendario regionale ed il regolamento relativi all’intera
annata venatoria, nel rispetto di quanto stabilito dai commi 1, 2 e
3».
Il ricorrente ritiene che dalle indicate disposizioni statali si
evinca che il procedimento deve concludersi con l’adozione di un
provvedimento amministrativo e non, come e’ avvenuto nel caso di
specie, con una legge.
Questa conclusione sarebbe avvalorata dalle seguenti
considerazioni.
L’endiadi utilizzata dal legislatore all’art. 18, comma 4,
secondo cui le Regioni hanno l’obbligo di pubblicare «il calendario
regionale ed il regolamento relativi all’intera annata venatoria»,
dovrebbe intendersi come riferita a un unico atto di natura
regolamentare, contenente le specifiche norme applicabili nel
territorio regionale durante il periodo venatorio preso in
considerazione.
Il carattere temporaneo (annuale) del provvedimento indicato
dall’art. 18 si concilierebbe con l’adozione solo di un atto
amministrativo e non anche di una legge.
Il previsto obbligo di acquisizione del parere dell’ISPRA avrebbe
senso solo se la Regione, dopo averlo valutato, se ne potesse
discostare con una congrua motivazione e, dunque, adottando un
provvedimento amministrativo. Diversamente il parere si tradurrebbe
in un inutile, e non previsto, controllo preventivo di legittimita’
della legge regionale. Il parere, nel caso di specie, e’ stato
negativo.
Infine il ricorrente osserva che «il ricorso allo strumento
legislativo serve anche a precludere ai cittadini e alle loro
organizzazioni rappresentative la possibilita’ di tutelare i propri
interessi legittimi dinanzi al competente giudice amministrativo».
1.2. – La seconda censura riguarda l’art. 2, commi 10 e 12, e
l’art. 5, comma 1, della legge della Regione Abruzzo n. 39 del 2010,
nella parte in cui prevedono l’acquisizione del parere
dell’Osservatorio faunistico regionale (OFR), ovvero – ove questo non
sia ancora costituito – dell’ISPRA, al fine di ridurre la caccia a
determinate specie per periodi determinati, di anticipare sino alla
prima domenica di settembre l’apertura della caccia ad alcune specie
nella forma dell’appostamento fisso e temporaneo e di disciplinare
per alcuni periodi l’esercizio della caccia alla fauna migratoria.
Tali diposizioni si porrebbero in contrasto con l’art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost., in relazione alle prescrizioni
contenute nell’art. 18, commi 2 e 6, della legge n. 157 del 1992, i
quali prevedono che la modifica dei termini entro i quali e’
possibile cacciare determinate specie e la fauna selvatica migratoria
puo’ avvenire, in ragione delle diverse realta’ territoriali, previa
acquisizione obbligatoria del parere dell’Istituto nazionale per la
fauna selvatica (oggi ISPRA).
Diversamente, le norme regionali impugnate sottopongono le
indicate modifiche all’acquisizione di un parere da parte dell’OFR,
che e’ un ente della Regione.
1.3. – Una terza censura investe l’art. 3, commi 2 e 3, della
legge della Regione Abruzzo n. 39 del 2010.
Il ricorrente ritiene che tali norme siano in contrasto con
l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione alle
prescrizioni poste nel decreto ministeriale 17 ottobre 2007 (Criteri
minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione
relative a Zone speciali di conservazione, ZSC, e a Zone di
protezione speciale, ZPS), che contiene i criteri minimi uniformi che
le Regioni hanno l’obbligo di rispettare nel disciplinare l’attivita’
venatoria nelle Zone speciali di conservazione (ZSC) e nelle Zone di
protezione speciale (ZPS).
In particolare, l’art. 3, comma 2, consente l’attivita’ venatoria
nella Zona di protezione speciale Monti Simbruini e nella Zona di
protezione speciale denominata «ZPS ex Parco», nel mese di gennaio di
ciascun anno, per ciascuna delle specie indicate nell’art. 2, commi
3, 4, 5, 6 e 7, e per due giornate alla settimana, fatta eccezione
della caccia agli ungulati, e, secondo il ricorrente, l’esercizio
dell’attivita’ venatoria sarebbe consentito anche nelle modalita’ di
«appostamento ed in forma vagante con l’ausilio del cane», in
violazione della normativa statale.
Questa modalita’ infatti e’ prevista dall’art. 1, comma 2, della
legge impugnata, ma non anche dall’art. 5, comma 1, lettera a), del
d.m. 17 ottobre 2007, che consente l’attivita’ venatoria nelle
indicate zone protette nel mese di gennaio, se esercitata nelle forme
dell’«appostamento fisso e temporaneo e in forma vagante», senza
pero’ prevedere l’ausilio del cane.
Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche il comma 3
del medesimo art. 3, nella parte in cui non menziona, tra i divieti
disposti all’interno delle ZPS, quello della «preapertura»
dell’attivita’ venatoria; divieto espressamente previsto dall’art. 5,
comma 1, lettera b), del d.m. 17 ottobre 2007.
La possibilita’ di effettuare la suddetta preapertura troverebbe
conferma, a parere del ricorrente, nel fatto che sempre l’art. 3,
comma 4, della legge regionale n. 39 del 2010 consente l’attivita’
venatoria nei Siti di interesse comunitario (SIC) e nelle ZPS «nei
periodi indicati nell’art. 2, per ciascuna specie ivi indicata», e
che, a sua volta, l’art. 2, comma 12, prevede la procedura per
anticipare l’apertura della caccia alla prima domenica di settembre.
2. – Si e’ costituita in giudizio la Regione Abruzzo, chiedendo
che la Corte dichiari il ricorso inammissibile o infondato.
2.1. – Quanto alla censura relativa alla presunta violazione
dell’art. 18, commi 2 e 4, della legge n. 157 del 1992, e del
principio in esso fissato secondo il quale, a parere del ricorrente,
i calendari venatori devono essere adottati con un atto
amministrativo e non con legge, la difesa regionale osserva che dalle
indicate norme statali non si ricava alcuna indicazione circa la
fonte che le Regioni devono utilizzare per individuare il periodo e
le specie cacciabili, avendo, peraltro, numerose Regioni gia’
provveduto in tal senso con specifiche leggi-provvedimento.
La Regione Abruzzo a sostegno di quanto sopra rileva che il
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 marzo 1997
(Modificazione dell’elenco delle specie cacciabili di cui all’art.
18, comma 1, della L. 11 febbraio 1992, n. 157) ha stabilito che la
modificazione dell’elenco delle specie cacciabili, previsto dall’art.
18, comma 3, della legge n. 157 del 1992, puo’ avvenire ad opera
delle Regioni per mezzo dei rispettivi atti legislativi e
amministrativi.
Privo di pregio sarebbe anche l’argomento secondo il quale la
necessita’ di adottare in simili casi atti amministrativi troverebbe
giustificazione nella natura temporanea dei calendari in questione,
avendo la giurisprudenza costituzionale affermato che non e’ preclusa
al legislatore regionale la possibilita’ di attrarre alla propria
competenza oggetti o materie normalmente affidati all’autorita’
amministrativa, non sussistendo un divieto di adozione di leggi a
contenuto particolare e concreto.
La censura proposta dal ricorrente sarebbe, peraltro, generica in
quanto relativa esclusivamente alla fonte dell’atto impugnato, senza
che nel ricorso risultino indicati quali specifici aspetti della
disciplina regionale in esame sarebbero in contrasto con l’art. 18
della legge n. 157 del 1992.
La Regione Abruzzo ritiene, comunque, di aver rispettato il
procedimento fissato dalla indicata norma statale, in quanto, per
come riconosciuto dallo stesso ricorrente, avrebbe acquisito il
parere dell’allora Istituto nazionale per la fauna selvatica, di
natura obbligatoria, ma non vincolante, come e’ stato affermato dalla
giurisprudenza costituzionale.
2.2. – Secondo la Regione Abruzzo sarebbe priva di fondamento
anche la censura relativa al contrasto degli artt. 2, commi 10 e 12,
e dell’art. 5, comma 1, della legge regionale impugnata con le
prescrizioni contenute nell’art. 18, commi 2 e 6, della legge n. 157
del 1992.
Invero, le norme regionali impugnate esulerebbero dal campo di
applicazione dell’art. 18 indicato perche’, diversamente da quanto
previsto dalla norma statale, non ammettono alcun ampliamento del
periodo in cui e’ consentita l’attivita’ venatoria.
Per effetto dell’art. 2, commi 10 e 12, e dell’art. 5, comma 1,
infatti, al fine di ridurre la caccia a determinate specie per
periodi determinati, sarebbero stati alzati i livelli di tutela della
fauna selvatica previsti dal legislatore nazionale, sulla base di un
parere dell’OFR o, ove non costituito, dell’ISPRA, parere che, a
differenza di quanto stabilito dalla normativa statale, sarebbe
vincolante.
La Regione Abruzzo ritiene, comunque, che anche queste censure
sarebbero prive di attualita’ e di concretezza di interesse, dato che
la legge impugnata ha esaurito i propri effetti.
2.3. – Quanto al contrasto tra l’art. 3, comma 2, della legge
regionale n. 39 del 2010, e l’art. 5, lettera a), del d.m. 17 ottobre
2007 – afferente al divieto di esercizio dell’attivita’ venatoria nel
mese di gennaio per tutte le ZPS – la Regione Abruzzo rileva che la
disposizione e’ stata abrogata dal decreto ministeriale 22 gennaio
2009 (Modifica del decreto 17 ottobre 2007, concernente i criteri
minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione
relative a Zone Speciali di Conservazione, ZSC, e Zone di Protezione
Speciale, ZPS).
Quanto alla questione concernente l’art. 3, comma 3, relativa
alla mancata previsione del divieto di preapertura dell’attivita’
venatoria e, dunque, al conseguente contrasto con l’art. 5, comma 1,
lettera b), del d.m. sopra indicato, la Regione osserva che questa
disposizione demanda l’apposizione dei divieti in essa contenuti (tra
i quali rientra quello della preapertura) «all’atto di cui all’art.
3, comma 1, del presente decreto», con la conseguenza che sarebbe
tale specifico atto regionale a dover contenere i divieti previsti
dall’art. 5.
Conclude la Regione affermando che la mancata previsione nella
norma censurata del divieto in esame non vale a escluderne il
rispetto.
3. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato
memoria con la quale sostanzialmente ripropone le ragioni poste a
fondamento del proprio ricorso.
Quanto alla censura riferita all’illegittima utilizzazione di un
atto legislativo per approvare il calendario venatorio, la difesa
dello Stato osserva che quest’ultimo ha natura strettamente
amministrativa, di talche’ esso deve essere adottato con un
provvedimento di uguale natura, desumendosi cio’ anche dal
procedimento previsto a tal fine dall’art. 18 della legge n. 157 del
1992 e, in particolare, dal necessario parere che deve essere
richiesto all’ISPRA.
Quanto alla prevista sostituzione del suindicato parere con
quello attribuito ad un ente regionale, l’Avvocatura rileva che esso
e’ previsto non solo per le ipotesi di riduzione del periodo
venatorio, ma anche per le diverse ipotesi di cui all’art. 2, comma
12, e all’art. 5, comma 1, della legge regionale impugnata
(anticipazione dell’apertura della caccia ed esercizio della caccia
alla fauna migratoria), assumendo sul punto rilievo l’ulteriore
circostanza che la corrispondente norma statale (art.18, commi 2 e 6,
della legge n. 157 del 1992) prevede il parere dell’ISPRA per
qualsiasi provvedimento di modifica del calendario venatorio.
Anche la censura relativa al contrasto tra l’art. 5, comma 1,
lettera a), del d.m. 17 ottobre 2007, e l’art. 3, comma 2, della
legge regionale n. 39 del 2010 sarebbe, a parere della difesa dello
Stato, fondata in quanto l’indicato art. 5, diversamente da quanto
sostenuto dalla Regione resistente, sarebbe ancora in vigore, poiche’
la norma abrogativa sarebbe stata annullata dal Tar del Lazio con la
sentenza 25 maggio 2009, n. 5239, passata in giudicato.
Infine, la censura afferente all’art. 3, comma 3, della legge
regionale n. 39 del 2010, sarebbe fondata per i motivi gia’ indicati
nel ricorso.
3.1. – Anche la Regione Abruzzo ha depositato memoria con la
quale ha sostanzialmente ribadito le argomentazioni contenute nel
proprio atto di costituzione.
4. – In prossimita’ dell’udienza pubblica, la Regione Abruzzo e
lo Stato hanno presentato altre memorie.
La Regione ha insistito perche’ il ricorso sia dichiarato
«inammissibile, improcedibile e comunque infondato», osservando che
non sarebbe piu’ assistito da interesse, posto che l’efficacia
temporale delle norme impugnate e’ esaurita con la chiusura della
stagione di caccia.
Nel merito la Regione ha ribadito la legittimita’ dell’impiego di
leggi- provvedimento regionali e ha aggiunto che nel caso di specie
la legge impugnata ha garantito l’osservanza di «tutti i passaggi
procedurali» richiesti dalla normativa statale, e in particolare di
quello relativo all’acquisizione del parere dell’ISPRA. Ne’, ai sensi
dell’art. 3, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme
in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai
documenti amministrativi), l’adozione di un atto amministrativo
generale, in luogo della legge, avrebbe imposto un obbligo di
motivazione.
In ogni caso si dovrebbe escludere la compromissione delle
esigenze di tutela ambientale, posto che, rispetto agli standard
nazionali, le norme impugnate soddisferebbero maggiormente tali
esigenze.
A sua volta lo Stato ha depositato una seconda memoria, con cui
ha nuovamente sostenuto la fondatezza delle questioni proposte.

Considerato in diritto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di
legittimita’ costituzionale degli articoli 1, 2, 3, commi 2 e 3, e 5,
comma 1, della legge della Regione Abruzzo 10 agosto 2010, n. 39
(Norme per la definizione del calendario venatorio regionale per la
stagione venatoria 2010/2011), in relazione all’art. 117, primo e
secondo comma, lettera s), della Costituzione.
La legge impugnata contiene plurime disposizioni concernenti
l’esercizio della caccia sul territorio regionale, relative, ma non
esclusivamente, alla stagione venatoria 2010-2011: tra queste, lo
Stato ha censurato integralmente gli artt. 1 e 2, con cui e’ stato
approvato il calendario venatorio annuale; l’art. 3, commi 2 e 3, con
cui si sono adottate norme aventi ad oggetto l’attivita’ venatoria
nelle zone di protezione speciale, prescrivendone il calendario
(comma 2), e specificando in linea generale le attivita’ che vi sono
vietate (comma 3); l’art. 5, comma 1, relativo all’esercizio della
caccia alla fauna migratoria.
Il ricorrente ritiene in primo luogo che tali disposizioni ledano
la propria competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema, prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost., di cui sarebbe espressione, in particolar modo, l’art. 18
della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della
fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio); in secondo
luogo, che esse contrastino con la normativa dell’Unione europea e
siano percio’ in violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.
2. – La Regione Abruzzo ha eccepito la sopravvenuta carenza di
interesse a coltivare il ricorso, poiche’ le norme impugnate hanno
avuto applicazione nel corso della stagione venatoria 2010-2011, che
si e’ oramai conclusa.
L’eccezione non ha fondamento: questa Corte ha costantemente
affermato che la cessazione della materia del contendere nei ricorsi
in via principale puo’ conseguire alla mancata produzione di effetti
delle disposizioni impugnate, e non certo al caso opposto, in cui
esse hanno invece trovato applicazione, consolidando in tal modo la
lesione denunciata. In particolare, tale principio ha gia’ avuto modo
di essere formulato in una vicenda del tutto analoga alla presente
(sentenza n. 405 del 2008).
3. – Le questioni poste con riferimento all’art. 117, primo
comma, Cost. sono inammissibili, posto che il ricorrente non le ha
corredate di motivazione, ne’ ha indicato la normativa dell’Unione
che sarebbe stata violata dal legislatore regionale.
4.- Quanto all’altro parametro invocato dal ricorrente deve
considerarsi, con riferimento agli artt. 1 e 2 della legge impugnata,
che tali disposizioni censurate approvano in via legislativa il
calendario venatorio per la stagione 2010-2011, indicando sia le date
e gli orari entro cui la caccia e’ consentita (art. 1), sia le specie
cacciabili, con riferimento, per ciascuna di esse, al peculiare arco
temporale aperto all’attivita’ venatoria (art. 2).
Il ricorrente contesta non gia’ il contenuto di tali norme, ma la
fonte con cui esse sono state introdotte nell’ordinamento: a parere
dell’Avvocatura, non sarebbe permesso al legislatore regionale
sostituirsi all’amministrazione della Regione nel compimento di
un’attivita’ di regolamentazione che l’art. 18, commi 2 e 4, della
legge n. 157 del 1992 riserverebbe alla sfera amministrativa.
In particolare, l’art. 18, comma 4, della legge appena citata
stabilisce che «le regioni, sentito l’Istituto nazionale per la fauna
selvatica, pubblicano, entro e non oltre il 15 giugno, il calendario
regionale e il regolamento relativi all’intera annata venatoria, nel
rispetto di quanto stabilito ai commi 1, 2 e 3, e con l’indicazione
del numero massimo di capi da abbattere in ciascuna giornata di
attivita’ venatoria».
Secondo il ricorrente, verrebbe in tal modo esplicitato,
nell’ambito di una sfera di competenza dello Stato, che il calendario
venatorio debba essere contenuto in un atto avente natura
amministrativa, anziche’ legislativa.
5. – La questione e’ fondata.
5.1. – Questa Corte ha avuto occasione piu’ volte di giudicare
norme di legge regionali, analoghe a quelle oggi impugnate, con cui
e’ stato approvato il calendario venatorio.
Si tratta di tipiche leggi-provvedimento, in quanto le
disposizioni che esse contengono sono prive di astrattezza e
generalita’, e sono destinate ad esaurire i propri effetti
contingenti con lo spirare della stagione di caccia. Esse, piuttosto
che a comporre interessi in conflitto secondo apprezzamenti propri
della discrezionalita’ legislativa, tendono a tradurre in regole
dell’agire concreto, e per il caso di specie, un complesso di
valutazioni, basate su elementi di carattere squisitamente
tecnico-scientifico: cio’, al fine di introdurre, in relazione alle
situazioni ambientali delle diverse realta’ territoriali (art. 18,
comma 2, della legge n. 157 del 1992), un elemento circoscritto di
flessibilita’ all’interno dell’altrimenti rigido quadro normativo
nazionale.
L’intervento regionale viene infatti consentito espressamente
dalla legge dello Stato proprio allo scopo di modulare l’impatto
delle previsioni generali recate dalla normativa statale, in tema di
calendario venatorio e specie cacciabili, sulle specifiche condizioni
dell’habitat locale, alla cui verifica ben si presta
un’amministrazione radicata sul territorio. In questa prospettiva,
l’art. 18 della legge n. 157 del 1992, se da un lato predetermina gli
esemplari abbattibili, specie per specie e nei periodi indicati,
dall’altro lato permette alla Regione l’introduzione di limitate
deroghe ispirate a una simile finalita’, e chiaramente motivate con
riguardo a profili di natura scientifica: ne e’ conferma la
previsione del parere dell’Istituto superiore per la protezione e la
ricerca ambientale (ISPRA), richiesto dall’art. 18, comma 2, e
dall’art. 18, comma 4, con specifico riferimento all’approvazione del
calendario venatorio.
In questo contesto si e’ diffuso a livello regionale il fenomeno
di attrarre alla forma della legge il provvedimento richiesto dalla
normativa dello Stato, ma e’ solo con l’odierno ricorso che per la
prima volta la legittimita’ costituzionale di una simile scelta viene
presa in esame da questa Corte.
In linea generale, la Corte ha ritenuto, anche con riguardo alla
sfera di competenza delle Regioni, che «nessuna disposizione
costituzionale (…) comporta una riserva agli organi amministrativi
o "esecutivi" degli atti a contenuto particolare e concreto» (ex
plurimis, sentenza n. 143 del 1989; in precedenza, sentenza n. 20 del
1956), benche’ abbia precisato che le leggi-provvedimento debbono
soggiacere «ad un rigoroso scrutinio di legittimita’ costituzionale
per il pericolo di disparita’ di trattamento insito in previsioni di
tipo particolare e derogatorio» (ex plurimis, sentenza n. 202 del
1997).
Nel vigore della revisione della Parte II del Titolo V della
Costituzione, si e’ aggiunto che legittimamente la legge dello Stato,
nell’esercizio di una competenza che le e’ riservata in via
esclusiva, puo’ vietare che la funzione amministrativa regionale
venga esercitata in via legislativa (sentenze n. 44 del 2010, n. 271
e n. 250 del 2008; ordinanza n. 405 del 2008).
In tale area riservata di competenza, per quanto la funzione
amministrativa debba essere allocata al livello di governo reputato
idoneo ai sensi dell’art. 118 Cost., il compito sia di individuare
questo livello, sia di disciplinare forma e contenuto della funzione,
non puo’ che spettare al legislatore statale (sentenza n. 43 del
2004).
Nel caso di specie, e’ pacifico che la selezione, sia delle
specie cacciabili, sia dei periodi aperti all’attivita’ venatoria,
implichi l’incisione di profili propri della tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema, che fanno capo alla competenza esclusiva dello Stato
(ex plurimis, sentenze n. 191 del 2011, n. 226 del 2003 e n. 536 del
2002): il legislatore nazionale ha percio’ titolo per imporre alle
Regioni di provvedere nella forma dell’atto amministrativo, anziche’
in quella della legge.
Va ora aggiunto che, osservando gli ordinari criteri ermeneutici,
spetta all’interprete, e a questa Corte in primo luogo, stabilire se
una siffatta restrizione, giustificata alla luce della natura degli
interessi in gioco, possa essere desunta dall’impianto logico della
normativa statale, anche in difetto di una disposizione che la
preveda univocamente.
5.2. – Cio’ premesso, la questione si risolve decidendo se l’art.
18, comma 4, della legge n. 157 del 1992, nella parte in cui prevede
che sia approvato dalla Regione «il calendario regionale e il
regolamento relativi all’intera annata venatoria», intenda con cio’
prescriverne la forma di atto amministrativo, come suggerisce
l’espressione letterale cui il legislatore statale ha voluto
ricorrere.
La risposta a un simile quesito deve essere affermativa.
In via generale, si e’ gia’ osservato che il passaggio dal
provvedere in via amministrativa alla forma di legge e’ piu’ consono
alle ipotesi in cui la funzione amministrativa impatta su assetti
della vita associata, per i quali viene avvertita una particolare
esigenza di protezione di interessi primari «a fini di maggior tutela
e garanzia dei diritti» (sentenza n. 143 del 1989); viceversa, nei
casi in cui la legislazione statale, nelle materie di competenza
esclusiva, conformi l’attivita’ amministrativa all’osservanza di
criteri tecnico-scientifici, lo slittamento della fattispecie verso
una fonte primaria regionale fa emergere un sospetto di
illegittimita’.
La scelta che si provveda con atto amministrativo non solo e’
l’unica coerente in tale ordine di idee con il peculiare contenuto
che nel caso di specie l’atto andra’ ad assumere, e si inserisce
dunque armonicamente nel tessuto della legge n. 157 del 1992, ma si
riconnette altresi’ ad un regime di flessibilita’ certamente piu’
marcato che nell’ipotesi in cui il contenuto del provvedimento sia
cristallizzato nella forma della legge.
Ove si tratti di proteggere la fauna, un tale assetto e’ infatti
il solo idoneo a prevenire i danni che potrebbero conseguire a un
repentino ed imprevedibile mutamento delle circostanze di fatto in
base alle quali il calendario venatorio e’ stato approvato: e’
sufficiente, a tale proposito, porre mente all’art. 19, comma 1,
della legge n. 157 del 1992, che prevede il ricorso da parte della
Regione a divieti imposti da «sopravvenute particolari condizioni
ambientali, stagionali o climatiche o per malattie o per altre
calamita’». E’ chiaro che quando, come nel caso in questione, vi e’
ragionevole motivo di supporre che l’attivita’ amministrativa non si
esaurisca in un unico atto, ma possa e debba tornare a svilupparsi
con necessaria celerita’ per esigenze sopravvenute, le forme e i
tempi del procedimento legislativo possono costituire un aggravio,
persino tale in casi estremi da vanificare gli obiettivi di pronta
regolazione dei casi di urgenza (con riferimento alla legge
impugnata, ad esempio, basti rilevare che l’art. 1, comma 10,
consente all’amministrazione regionale soltanto di "ridurre" la
caccia nei casi considerati, e non di vietarla, come invece e’
prescritto, in via alternativa alla riduzione, dal citato art. 19
della legge statale).
L’intervento in questione forma poi oggetto di un obbligo da
parte della Repubblica nei confronti dell’Unione, la cui direttiva 30
novembre 2009, n. 2009/147/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici), si
prefigge di tutelare la fauna, assoggettando, tra l’altro, il regime
derogatorio rispetto alle previsioni generali a stringenti requisiti
(art. 9), e questa Corte, a tal proposito, ha gia’ avuto modo di
affermare che le deroghe non possono venire introdotte dalla Regione
con legge-provvedimento, poiche’ verrebbe vanificato il potere di
annullamento assegnato dall’art. 19-bis della legge n. 157 del 1992
al Presidente del Consiglio dei ministri (sentenza n. 250 del 2008).
Bisogna ora precisare che non e’ solo lo speciale regime
derogatorio, ma l’intero corpo provvedimentale su cui esso opera,
quanto al calendario venatorio, che non tollera di venire irrigidito
nella forma della legge, tenuto anche conto che tra regole ordinarie
e deroghe eccezionali deve in linea di massima sussistere
un’identita’ formale, che permetta alle seconde di agire sulle prime,
fermo il potere di annullamento preservato in capo allo Stato.
Vi sono infatti casi, indicati dall’art. 9, comma 1, lettera a),
della direttiva n. 2009/147/CE, attuato dall’art. 19-bis della legge
n. 157 del 1992, in cui l’allargamento dei limiti entro cui
ordinariamente e’ consentita la caccia, se per un verso e’ tollerato
dal diritto dell’Unione, per altro verso si impone, allo scopo di
preservare significativi interessi ambientali di segno contrario,
ovvero di altra natura, come, tra quelli selezionati dalla direttiva,
la salute, la sicurezza pubblica, la sicurezza aerea.
In tali casi, la deroga necessita di venire introdotta con
efficacia immediata, sicche’ angusto, e potenzialmente insufficiente,
e’ lo spazio temporale aperto al legislatore regionale per rimuovere
eventuali ostacoli in tal senso provenienti dalla
legge-provvedimento.
Infine, e’ ben noto che il passaggio dall’atto amministrativo
alla legge implica un mutamento del regime di tutela giurisdizionale,
tutela che dal giudice comune passa alla giustizia costituzionale.
Non che questa Corte sia sprovvista dei mezzi per sospendere
l’esecuzione di una legge ritualmente impugnata in via principale
(art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87); tuttavia, cio’ si
verifica a condizione che il Governo abbia promosso la relativa
questione di legittimita’ costituzionale. Si e’ gia’ sottolineato
(sentenza n. 271 del 2008) che il legislatore statale puo’ preferire
lo strumento del ricorso giurisdizionale innanzi al giudice comune, e
cio’ in ragione sia della disponibilita’ del ricorso in capo alle
parti private legittimate, sia dei tempi con cui il giudice puo’
assicurare una pronta risposta di giustizia, sia della latitudine dei
poteri cautelari di cui esso dispone, sia dell’ampiezza del
contraddittorio che si puo’ realizzare con i soggetti aventi titolo
per intervenire, estranei invece, in linea di principio, al giudizio
costituzionale sul riparto delle competenze legislative.
Inoltre, ove parte del giudizio sia l’amministrazione, il giudice
comune ben puo’ inserire le proprie misure cautelari nel flusso
dell’attivita’ di quest’ultima, prescrivendo che essa sia prontamente
riesercitata secondo i criteri che di volta in volta vengono
somministrati, affinche’, in luogo del vuoto di normazione, che
conseguirebbe alla mera sospensione della legge-provvedimento, si
realizzi celermente una determinazione del calendario della caccia,
compatibile con i tempi imposti dall’incalzare delle stagioni, e
avente natura definitiva.
Non a caso l’art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992 esige
che il calendario venatorio sia pubblicato entro il 15 giugno di ogni
anno: in tal modo, si suppone che, esperiti eventuali ricorsi
giurisdizionali comuni, esso sia adeguatamente e legittimamente
disponibile per l’inizio della caccia, ovvero per settembre
inoltrato.
Una simile tempistica e’ pienamente compatibile con l’attivita’
regionale, solo se la Regione adotta atti che non solamente siano
immediatamente aggredibili innanzi al giudice comune, ma che possano
direttamente da quest’ultimo essere conformati in via cautelare alle
esigenze del caso concreto, entro un termine estremamente contenuto.
Ne’ si traggono argomenti contrari, come vorrebbe la difesa
regionale, dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21
marzo 1997 (Modificazione dell’elenco delle specie cacciabili di cui
all’art. 18, comma 1, della L. 11 febbraio 1992, n. 157), nella parte
in cui esso prevede che le Regioni vi si adeguino con i «rispettivi
atti legislativi e amministrativi»: a parte il fatto che si tratta di
norma secondaria, inidonea ad alterare le scelte del legislatore,
resta da dire che il rinvio cosi’ disposto ha il solo scopo di
richiamare la fonte regionale che risulta competente sulla base del
quadro legislativo vigente.
5.3. – Alla luce di tutti questi argomenti, appare evidente che
il legislatore statale, prescrivendo la pubblicazione del calendario
venatorio e contestualmente del "regolamento" sull’attivita’
venatoria e imponendo l’acquisizione obbligatoria del parere
dell’ISPRA, e dunque esplicitando la natura tecnica del provvedere,
abbia inteso realizzare un procedimento amministrativo, al termine
del quale la Regione e’ tenuta a provvedere nella forma che
naturalmente ne consegue, con divieto di impiegare, invece, la
legge-provvedimento.
Pertanto, gli artt. 1 e 2 della legge impugnata debbono essere
dichiarati costituzionalmente illegittimi, con assorbimento
dell’autonoma censura di illegittimita’ costituzionale sviluppata in
riferimento all’art. 2, commi 10 e 12, per avere tali disposizioni
previsto l’acquisizione del parere di un ente regionale, anziche’
dell’ISPRA.
6. – L’art. 5, comma 1, della legge impugnata e’ censurato a
propria volta per avere introdotto, in tema di caccia alla fauna
migratoria, il parere di un ente regionale, ovvero dell’Osservatorio
faunistico regionale, in luogo di quello dell’ISPRA richiesto dalla
normativa nazionale, in violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost.
E’ tuttavia incontroverso che l’Osservatorio, la cui istituzione
e’ prevista dall’art. 5 della legge della Regione Abruzzo 28 gennaio
2004, n. 10 (Normativa organica per l’esercizio dell’attivita’
venatoria, la protezione della fauna selvatica omeoterma e la tutela
dell’ambiente), non sia ancora entrato in attivita’, con l’effetto
che la norma impugnata non ha potuto trovare applicazione, ne’ potra’
averne in futuro, giacche’ essa ha un’efficacia limitata alla
stagione venatoria ormai conclusa.
Pertanto, non residua alcun interesse all’esame della censura,
rispetto alla quale va dichiarata la cessazione della materia del
contendere (ex plurimis, ordinanza n. 126 del 2010).
7. – L’art. 3, comma 2, della legge impugnata limita a due
giornate alla settimana la caccia nelle zone di protezione speciale
indicate dal precedente comma 1, e il ricorrente ritiene che tale
disposizione debba leggersi unitamente all’art. 1, comma 2, della
medesima legge, secondo cui l’attivita’ venatoria si esercita anche
«con l’ausilio del cane». Viceversa, l’art. 5, comma 1, lettera a),
del decreto ministeriale 17 ottobre 2007 (Criteri minimi uniformi per
la definizione di misure di conservazione relative a Zone Speciali di
Conservazione, ZSC, e Zone di Protezione Speciale, ZPS), nel regolare
il corrispondente divieto che le Regioni sono tenute ad introdurre
nelle zone di protezione speciale, non menziona espressamente la
facolta’ di usare il segugio, e con cio’, secondo il ricorrente, la
esclude.
Come ha rilevato la Regione, la norma statale sopra richiamata,
che il ricorrente ritiene ispirata a finalita’ di tutela
dell’ambiente, di competenza dello Stato, e’ stata soppressa
dall’art. 1 del decreto ministeriale 22 gennaio 2009 (Modifica del
decreto 17 ottobre 2007, concernente i criteri minimi uniformi per la
definizione di misure di conservazione relative a Zone Speciali di
Conservazione, ZSC, e Zone di Protezione Speciale, ZPS), ma questa
disposizione, meramente abrogatrice, e’ stata a propria volta
annullata dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con
sentenza definitiva n. 5239 del 2009, con cui si e’ ritenuto
illegittimo il vuoto di tutela che ne sarebbe derivato.
Non vi e’ dubbio, pertanto, che allo stato l’art. 5, comma 1,
lettera a), del d.m. 17 ottobre 2007 sia in vigore.
Cio’ premesso, il perno del ragionamento del ricorrente si fonda
sulle capacita’ integratrici, rispetto alla norma impugnata,
dell’art. 1, comma 2, il quale ultimo, tuttavia, e’ stato dichiarato
incostituzionale per le ragioni sopra esposte.
A seguito di tale pronuncia, il testo dell’art. 3, comma 2,
impugnato non e’ piu’ suscettibile di essere integrato con la
previsione concernente l’impiego del cane da caccia nelle zone di
protezione speciale, e viene interamente a coincidere con la
disposizione evocata dal ricorrente: e’ cosi’ venuto meno l’interesse
dello Stato a coltivare la censura.
Deve conseguentemente dichiararsi cessata la materia del
contendere, limitatamente a questa questione.
8. – L’art. 3, comma 3, della legge impugnata indica le attivita’
venatorie vietate all’interno delle zone di protezione speciale. Tra
di esse non e’ menzionato il divieto di effettuare la «preapertura
dell’attivita’ venatoria, con l’eccezione della caccia di selezione
agli ungulati», che l’art. 5, comma 1, lettera b), del d.m. 17
ottobre 2007 impone alle Regioni di recepire con l’atto che adotta le
misure di conservazione per le ZPS, di cui all’art. 3, comma 1, del
medesimo decreto ministeriale. Incorrendo in tale omissione, la
Regione avrebbe violato l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
La questione non e’ fondata.
In attesa che le Regioni provvedano ad assumere l’atto previsto
con riferimento alle zone di protezione speciale, e’ da ritenere che
i divieti stabiliti dal d.m. 17 ottobre 2007 siano immediatamente
efficaci, e vadano a integrare le previsioni regionali che ne siano
parzialmente prive. Il silenzio del legislatore regionale non
equivale, pertanto, ad escludere il divieto, che opera in forza di
quanto stabilito dalla normativa dello Stato.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimita’ costituzionale degli articoli 1 e 2
della legge della Regione Abruzzo 10 agosto 2010, n. 39 (Norme per la
definizione del calendario venatorio regionale per la stagione
venatoria 2010/2011);
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimita’
costituzionale degli articoli 3, commi 2 e 3, e 5, comma 1, della
legge della Regione Abruzzo n. 39 del 2010, promosse, in riferimento
all’art. 117, primo comma, della Costituzione, dal Presidente del
Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara cessata la materia del contendere sulla questione di
legittimita’ costituzionale dell’articolo 5, comma 1, della legge
della Regione Abruzzo n. 39 del 2010, promossa, in riferimento
all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal
Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in
epigrafe;
4) dichiara cessata la materia del contendere sulla questione di
legittimita’ costituzionale dell’articolo 3, comma 2, della legge
della Regione Abruzzo n. 39 del 2010, promossa, in riferimento
all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal
Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in
epigrafe;
5) dichiara non fondata la questione di legittimita’
costituzionale dell’articolo 3, comma 3, della legge della Regione
Abruzzo n. 39 del 2010, promossa, in riferimento all’art. 117,
secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del
Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 gennaio 2012.

Il Presidente: Quaranta

Il redattore: Lattanzi

Il cancelliere: Melatti

Depositata in cancelleria il 9 febbraio 2012.

Il direttore della cancelleria: Melatti

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *