Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 05-01-2011, n. 9 Associazioni mafiose

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. – Le Prefetture di Agrigento e Caltanissetta e la Empedocle S.c.p.a. (d’ora in poi "Empedocle") hanno impugnato con separati appelli la sentenza, di estremi specificati nell’epigrafe, con la quale il T.A.R. per la Sicilia, sede di Palermo, ha accolto il ricorso, proposto dall’Impregemi, avverso – tra gli altri atti gravati – la nota con la quale l’Empedocle comunicò al consorzio appellato la risoluzione del contratto n. 166 del 9 luglio 2009 relativo all’affidamento, da contraente generale a soggetto terzo, di lavori di ammodernamento della SS 640 "di Porto Empedocle".

Detta nota fu adottata sulla base della riservata amministrativa (del pari impugnata in prime cure), con la quale la Prefettura – U.T.G. di Agrigento, richiamando una comunicazione della Prefettura – U.T.G. di Caltanissetta (parimenti impugnata), aveva rappresentato che il signor Vi.Gi.Mi., amministratore unico e direttore tecnico dell’Impregemi, nonché socio della MI.CO. s.r.l. e coniuge della signora Lu.La. (amministratore unico della stessa società) era stato indagato nel procedimento penale n. 2089/95 R.G. e n. 209/96 R.GIP per i reati di abuso d’ufficio, turbativa d’asta, falso ideologico, violazione di corrispondenza e per aver fatto parte di un’associazione a delinquere finalizzata al controllo e all’acquisizione di appalti pubblici. In particolare, nella predetta riservata amministrativa della Prefettura U.T.G. di Caltanissetta si era, altresì, segnalato che: – il procedimento penale n. 2089/95 R.G. e n. 209/96 R.GIP si era concluso con un decreto di archiviazione, essendosi ritenuto che gli elementi di giudizio raccolti, pur confermando l’esistenza di un sistema di controllo degli appalti pubblici da parte di "Cosa Nostra", non consentissero "di sostenere proficuamente l’azione in giudizio nei confronti delle persone sottoposte ad indagini";

– la MI.CO. s.r.l. aveva avanzato una richiesta di acquisto di un immobile della confiscata società "Calcestruzzi Costruzioni di Frangiamore Giuseppe & C." s.a.s., il cui proprietario era stato indagato nell’ambito del succitato procedimento penale.

2. – L’Impregemi si è costituita per resistere alle impugnazioni.

3. – Con l’ordinanza interlocutoria n. 983 del 2 luglio 2010 questo Consiglio, oltre a disporre la riunione delle impugnazioni separatamente proposte, ha richiesto alle Prefetture appellanti di depositare in giudizio gli atti contenenti gli "ulteriori elementi" i quali, a detta delle amministrazioni, avrebbero dimostrato la sussistenza di collegamenti tra il predetto signor Mi. e l’attività di altri titolari di imprese inserite in un sistema di controllo degli appalti pubblici in Sicilia da parte della criminalità organizzata.

All’ordinanza è stata prestata ottemperanza.

4. – All’udienza pubblica del 23 settembre 2010 i ricorsi sono stati trattenuti in decisione.

5. – Per una migliore intelligenza delle questioni devolute alla cognizione del Collegio, occorre premettere che il T.A.R. della Sicilia ha accolto il ricorso originario dell’Impregemi sulla base delle seguenti argomentazioni.

Innanzitutto il primo Giudice ha precisato che l’oggetto sostanziale della causa era costituito dalle informative prefettizie impugnate con i motivi aggiunti la cui illegittimità, per incompletezza della motivazione e della istruttoria, comportava l’invalidità derivata dell’impugnato atto di risoluzione del contratto, a nulla rilevando la controversa qualificazione di tali informative come tipiche o atipiche.

Il T.A.R. ha poi respinto l’eccezione di irricevibilità dei motivi aggiunti sollevata dalla Empedocle. Quest’ultima aveva difatti sostenuto che i predetti motivi aggiunti erano stati notificati il 15 gennaio 2010 in violazione dell’art. 23-bis della L. n. 1034/1971, nella parte in cui la disposizione prevedeva la regola della dimidiazione dei termini processuali per i giudizi in materia di appalti; sul punto il Tribunale ha osservato che la riservata amministrativa della Prefettura di Agrigento del 28 ottobre 2009 era stata conosciuta soltanto il 15 dicembre 2009, ovverosia all’epoca della produzione in giudizio da parte della Empedocle e che, secondo un condiviso indirizzo giurisprudenziale, l’impugnativa di una informativa prefettizia, seppure qualificata espressamente come ricorso per motivi aggiunti, deve essere tuttavia correttamente qualificata come autonomo gravame avverso un atto di rilevanza pubblicistica, in quanto adottata da un’amministrazione (id est l’Autorità prefettizia) estranea, dal punto di vista soggettivo, al rapporto tra affidante e affidatario originariamente dedotto in contenzioso; di qui la conseguenza che i termini per la relativa impugnazione andavano calcolati applicando la regola generale di cui all’art. 21 della predetta L. n. 1034/1971 e consequenzialmente quantificati in 60 giorni (termine nella fattispecie rispettato in riferimento alla data del 15 dicembre 2009);

Ancora in via preliminare il Tribunale ha altresì respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata con riferimento alla qualificazione della nota dell’Empedocle alla stregua di una dichiarazione di scienza in ordine all’avveramento di una condizione dedotta in una clausola risolutiva espressa di cui al contratto stipulato tra le parti; il rigetto dell’eccezione è scaturito dalla precedente considerazione circa l’individuazione dell’oggetto sostanziale del giudizio nell’impugnativa delle informative prefettizie: queste ultime, invero, non potrebbero essere qualificate come un mero antecedente rispetto all’atto, di valenza privatistica, con il quale è stata disposta la risoluzione del contratto, attesa la diretta incidenza delle stesse sfera giuridica di parte ricorrente e, per quanto riguarda la fattispecie in esame, stante la loro configurazione quale unico presupposto della caducazione del rapporto negoziale, con conseguente devoluzione della controversia alla giurisdizione al giudice amministrativo;

Nel merito, il T.A.R. ha accolto l’assorbente censura formulata dalla Impregemi in ordine al difetto di motivazione e di istruttoria delle ridette informative antimafia, ritenendo che anche la nota di risoluzione fosse illegittima in via derivata. A tal riguardo il Tribunale ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale, secondo il quale le valutazioni espresse nelle informative prefettizie sono espressione di un’ampia sfera di discrezionalità, funzionale alla migliore tutela delle preminenti esigenze di tutela dell’ordine pubblico, soprattutto in relazione al contrasto dei tentativi di infiltrazione mafiosa, con la conseguenza che il sindacato del giudice amministrativo non può investire il "merito" di tali valutazioni, ma deve attestarsi sulla sola verifica dell’assenza di eventuali vizi della funzione, con riferimento alla completezza dei dati acquisiti, alla non travisata valutazione dei fatti e alla logicità delle conclusioni (Consiglio di Stato, sez. VI, 14 aprile 2009, n. 2276). Una volta calati i riferiti principi al caso di specie, il primo Giudice ha osservato che le informative prefettizie impugnate si fondavano esclusivamente su due circostanze, ossia:

1) il coinvolgimento, quale indagato, dell’amministratore unico e direttore tecnico di un’impresa del consorzio ricorrente in un procedimento penale avente a oggetto plurimi, gravi reati (abuso d’ufficio, turbativa d’asta, falso ideologico, violazione di corrispondenza, associazione a delinquere numericamente superiore a dieci persone finalizzata al controllo ed all’acquisizione di appalti pubblici);

2) la richiesta di acquisto di un immobile di una società confiscata, il cui proprietario era stato del pari indagato nell’ambito del succitato procedimento penale.

Orbene, ad avviso del T.A.R., nessuna delle due suindicate circostanze avrebbe potuto giustificare sotto il profilo motivazionale, in assenza della specifica indicazione di ulteriori elementi di supporto, l’adozione di una informativa negativa.

In relazione alla prima delle riferite due circostanze, il Tribunale ha reputato dirimente il rilievo che il suddetto procedimento penale era stato definito con un decreto di archiviazione e, quindi, doveva reputarsi illegittima l’informativa prefettizia, nella parte in cui si basava sull’avvenuta iscrizione dell’amministratore unico della società interessata nel registro degli indagati. In dettaglio il T.A.R. ha premesso che l’archiviazione, al pari dell’esito assolutorio di un procedimento penale, non può neutralizzare gli elementi di segno negativo eventualmente emersi nell’indagine di polizia, imponendosi sempre al giudicante una valutazione complessiva delle circostanze emerse che ne tenga conto della peculiare finalità cautelare e di prevenzione dell’informativa prefettizia, come tale non vincolata in sede amministrativa agli accertamenti compiuti dalla Magistratura ordinaria in vista della verifica della sostenibilità di un’accusa nel giudizio penale. Nondimeno il Tribunale ha rilevato che, nella fattispecie, le valutazioni del Prefetto non soltanto non presentavano l’elevata rilevanza probatoria richiesta dal diritto penale, ma nemmeno risultavano fondate su uno specifico quadro indiziario che comprovasse, sia pure in via induttiva, il sospetto di una possibile infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni. Nella specie, difatti, le informative poggiavano principalmente (seppur non esclusivamente) sulla considerazione della pregressa iscrizione del sunnominato amministratore unico e direttore tecnico nel registro degli indagati, in relazione a un’amplissima indagine penale, relativa a ben sette gare d’appalto, peraltro celebrate verso la fine degli anni Ottanta del secolo scorso, e nella quale erano stati coinvolti oltre trecentosessanta soggetti, inclusi tutti i pubblici amministratori interessati, i direttori dei lavori, i componenti commissioni di gara e perfino tutti i partecipanti alle procedure selettive. In particolare, il signor Mi. era stato sottoposto a indagine per il solo fatto di aver presentato un’offerta in una delle sette gare oggetto del procedimento, senza nemmeno ottenerne l’aggiudicazione.

Il Tribunale ha, pertanto, ritenuto che, non essendo emerso dalle indagini alcun ulteriore elemento valutabile in senso negativo, le informative prefettizie impugnate fossero carenti sotto il profilo della istruttoria e della motivazione, giacché, a fronte della assunzione di una posizione marginale nel contesto di una vasta indagine conclusasi con una completa archiviazione, si limitavano a segnalare che gli elementi di giudizio raccolti, pur non consentendo di sostenere proficuamente l’azione in giudizio nei confronti delle persone sottoposte ad indagini, confermavano – a detta delle Prefetture – l’esistenza di un sistema di controllo degli appalti pubblici da parte di "Cosa Nostra".

A identica conclusione, secondo il T.A.R., doveva giungersi anche con riferimento all’ulteriore circostanza, ugualmente indicata a supporto dell’informativa negativa, relativa alla richiesta di acquisto (non di un immobile, bensì di un automezzo) inoltrata all’amministratore giudiziario di una società confiscata, il cui proprietario pure era stato coinvolto nel procedimento penale succitato.

6. – Le statuizioni del primo Giudice, sopra dettagliatamente riferite, sono state investite dai due appelli, essenzialmente e cumulativamente affidati alle seguenti censure:

I) i motivi aggiunti, proposti in primo grado dalla Impregemi, erano irricevibili, sia in ragione della tassatività dell’eccezione alla regola del dimezzamento stabilita dall’art. 23-bis della L. n. 1034/1971 (in quanto circoscritta ai soli termini per la proposizione del ricorso), sia per la doverosa qualificazione delle informative prefettizie alla stregua di provvedimenti relativi alle procedure di esecuzione, a nulla rilevando la circostanza che le stesse fossero state adottate da un soggetto diverso dalla stazione appaltante;

II) difetta la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. L’Empedocle è, invero, una società di progetto costituita ai sensi dell’art. 176, comma 10, del Codice dei contratti pubblici, dalle imprese resesi aggiudicatarie della procedura di affidamento a contraente generale indetta dall’A.n.a.s. Ebbene, il contraente generale (cioè la società di progetto) non è amministrazione aggiudicatrice ai sensi dell’art. 32 del predetto Codice e, pertanto, i relativi affidamenti o sub-affidamenti non sono soggetti alla disciplina dell’evidenza pubblica, tranne che per le norme richiamate dall’art. 176 del D.Lgs. n. 163/2006. Da ciò discende che il rapporto in contestazione ha natura contrattuale ed esclusivamente privatistica, con la conseguenza che la giurisdizione del giudice amministrativo non può ritenersi estesa a un atto negoziale, ossia alla dichiarazione di avvalersi di una clausola risolutiva espressa inserita nel contratto di appalto tra l’Empedocle e l’Impregemi. Tale clausola, infatti, impegnava le parti – in forza del Protocollo di Legalità sottoscritto tra la prefettura di Agrigento, la Prefettura di Caltanissetta, la Regione siciliana e l’A.n.a.s. – a considerare causa di risoluzione di diritto del contratto anche le informative prefettizie atipiche di cui all’art. 10, comma 9, del D.P.R. n. 252/1998; essa, pertanto, obbligava l’Empedocle a riconoscere alle informative atipiche eventualmente comunicatele la medesima efficacia interdittiva di quelle tipiche, non potendo effettuare alcun sindacato di legittimità sul loro contenuto, avendo l’Empedocle rinunciato, sulla base di un accordo negoziale con l’Impregemi, all’effettuazione di qualunque valutazione discrezionale;

III) le informative in questione sono pienamente legittime: innanzitutto esse sono qualificabili come "atipiche" (o "supplementari"), ossia basate sull’accertamento di elementi i quali, pur evidenziando il pericolo di collegamenti fra un’impresa e la criminalità organizzata, non raggiungono un livello tale da esplicare un’efficacia interdittiva automatica; le predette informative non sono, pertanto, vincolanti per la stazione appaltante la quale è chiamata a valutarne discrezionalmente l’incidenza sui rapporti contrattuali in corso sul piano dell’affidabilità dell’impresa; la discrezionalità della stazione appaltante non riguarda però la scelta di aderire alle valutazioni contenute nelle informative prefettizie, ma concerne unicamente l’eventuale decisione di instaurare o proseguire comunque il rapporto contrattuale con l’impresa segnalata;

IV) contraddittoriamente il T.A.R. avrebbe giudicato non determinante l’esito assolutorio del giudizio penale e, tuttavia, al contempo, avrebbe preteso che le informative prefettizie poggiassero su uno specifico quadro indiziario in ordine ai tentativi di infiltrazione mafiosa, mentre, per la legittimità di dette informative, è sufficiente e necessario che la valutazione compiuta dal Prefetto evidenzi elementi sulla scorta dei quali non sia illogico presumere la sussistenza di un collegamento con le organizzazioni mafiose e, conseguentemente, la possibilità di condizionamenti da parte delle stesse;

V) nel caso di specie sussisterebbero i ridetti elementi, posto che le informative impugnate sono state motivate, non soltanto con riferimento a quanto risultato a carico dell’amministratore unico della Mi.CO. S.r.l., ma anche in relazione ad ulteriori elementi, idonei a sorreggere sul piano motivazionale un’informazione atipica, contenuti nella nota della Prefettura di Caltanissetta, i quali avrebbero messo in luce diverse circostanze idonee a presumere un collegamento con un sistema di controllo degli appalti pubblici in Sicilia da parte di Cosa Nostra. Come chiarito dalla Prefettura di Agrigento, detti elementi erano contenuti nella documentazione conservata nel corrispondente fascicolo e sottratta all’accesso, per motivi di ordine e di sicurezza pubblica e per fini di prevenzione e di repressione della criminalità, ai sensi dell’art. 3 del D.M. 10 maggio 1994 (regolamento attuativo dell’art. 24, comma 6, della L. n. 241/1990).

7. – Tanto premesso, merita prioritario scrutinio l’eccezione di difetto di giurisdizione. Il Collegio ritiene, diversamente dalle appellanti, che sussista indiscutibilmente la giurisdizione amministrativa per plurime e convergenti ragioni. In primo luogo, va osservato che il Supremo Collegio, con la pronuncia delle Sezioni Unite del 29 agosto 2008, n. 21928, ha chiarito, in riferimento a una fattispecie avente molte affinità con quella oggetto del presente giudizio, che la decisione della stazione appaltante in ordine alla prosecuzione, o no, del contratto, pur avendo formalmente a oggetto l’esercizio di un potere di recesso, è in realtà espressione di un potere autoritativo di valutazione dei requisiti soggettivi della controparte, il cui esercizio, che attiene alla scelta del contraente, è consentito anche nella fase di esecuzione del contratto dal D.P.R. n. 252 del 1998 (art. 11, comma 2). Siffatto potere è estraneo alla sfera del diritto privato, a differenza del recesso previsto dalla L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 345, all. F (in relazione al quale spetta al Giudice ordinario verificarne la sussistenza dei presupposti: Cass. n. 10160/ 2003). Il recesso, in altri termini, non trova fondamento in inadempienze verificatesi nella fase di esecuzione del contratto, ma è consequenziale all’informativa del Prefetto ai sensi del D.P.R. n. 252 del 1998 (art. 10) e quindi costituisce estrinsecazione di un potere di valutazione di natura pubblicistica, diretto a soddisfare l’esigenza di evitare la costituzione o il mantenimento di rapporti contrattuali fra i soggetti indicati nel citato decreto e le imprese nei cui confronti emergano sospetti di collegamenti con la criminalità organizzata.

All’evidenza i sopra riferiti principi, sia pure riferiti a un recesso (invece che a una risoluzione), ben si attagliano anche alla fattispecie in esame.

Viepiù va osservato che, nel caso in esame, non rileva affatto – siccome condivisibilmente osservato dal primo Giudice – la qualificazione dell’informativa in termini di informativa tipica o atipica, dal momento che – sulla base di quanto diffusamente argomentato dalla stessa Empedocle – si è determinata nel caso in esame, per il sinergico operare di atti pubblici e privati, una piena assimilazione quoad effectum tra le due informative.

Ancora, l’Empedocle richiama l’art. 176 del D.Lgs. n. 163/2006 per sostenere la tesi dell’estraneità del contraente generale all’ambito applicativo delle regole sull’evidenza pubblica, almeno con riferimento ai rapporti instaurati a valle dell’affidamento. Sennonché l’appellante non sembra non avvedersi che proprio la disposizione succitata, al comma 8, reca una previsione ("L’affidamento al contraente generale, nonché gli affidamenti e subaffidamenti di lavori del contraente generale, sono soggetti alle verifiche antimafia, con le modalità previste per i lavori pubblici") che conferma in pieno l’assoggettabilità del contraente generale alla disciplina dell’evidenza pubblica almeno con riguardo al segmento di attività relativo alle verifiche antimafia. Per tali aspetti, insomma, il contraente generale è a tutti gli effetti un soggetto equiparato a pubblica amministrazione, tenuta al rispetto dei principi del procedimento amministrativo e, nello specifico, anche alle regole sui lavori pubblici. Non v’è dubbio, pertanto, che la giurisdizione amministrativa sussista anche sul crinale soggettivo (come attualmente esplicitamente chiarito, con previsione di carattere generale, dall’art. 7, comma 2, del Codice del processo amministrativo).

Infine, non è controvertibile che il reale ed esclusivo oggetto del presente contenzioso investa la legittimità delle informative prefettizie, atteso che esse sono state l’unico presupposto della risoluzione del contratto e, quindi, la nota dell’Empedocle, ancorché formalmente negoziale, non ha natura autonomamente dichiarativa, in quanto essa altro non è che la trasposizione sul piano contrattuale di un effetto direttamente promanante da un provvedimento amministrativo. In sintesi, al giudice amministrativo è stato richiesto di verificare se esistesse, o meno, un valido presupposto amministrativo per l’adozione di un atto posto in essere da un soggetto chiamato a rispettare in parte qua la normativa sull’evidenza pubblica e in tutto dipendente, dal punto di vista contenutistico e causale, dall’esercizio di un potere autoritativo dell’amministrazione (la Prefettura). D’altronde, ove pure gli aspetti meramente negoziali della controversia (secondo l’erronea tesi patrocinata dalle appellanti) fossero da ritenersi non attinti dal primitivo ricorso proposto dall’Impregemi, nondimeno essi rimarrebbero comunque aggredibili dal giudice amministrativo in via di ottemperanza dell’eventuale accoglimento della domanda cassatoria (prioritariamente rivolta contro le informative prefettizie) e, quindi, riguardata da questa prospettiva, la questione di giurisdizione (parziale), ancor prima che infondata, si rivelerebbe financo irrilevante ai fini della soddisfazione delle pretese fatte valere in prime cure dalla parte appellata, atteso che – una volta eliminato l’antecedente amministrativo rappresentato dalle informative prefettizie – l’Empedocle non potrebbe ignorare, spontaneamente o coattivamente, gli effetti consequenziali di carattere negoziale direttamente scaturenti dalla decisione del giudice amministrativo e sicuramente non intaccabili da un ipotetico pronunciamento della giurisdizione ordinaria di merito.

8. – Infondato è anche il mezzo di gravame con il quale è stata riproposta l’eccezione di irricevibilità. Oltre alle convincenti argomentazioni spiegate dal T.A.R. e sopra riferite (che trovano conforto in Cons. St., sez. VI, 17 luglio 2008, n. 3603), mette conto osservare, in via dirimente, che l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha avuto recentemente occasione di chiarire in via definitiva, con riferimento al precedente regime processuale, che anche il termine di proposizione dei motivi aggiunti era da reputarsi escluso dal dimezzamento di cui all’art. 23-bis della L. n. 1034/1971 (Cons. St., ad. plen., 15 aprile 2010, n. 2155).

Va tuttavia osservato che l’Empedocle, nel corso del giudizio, ha rinunciato al motivo (v. la memoria del 26 aprile 2010) e, dunque, la confutazione della relativa argomentazione è stata espressa per mera completezza motivazionale.

9. – Le ultime tre censure, in ragione della loro reciproca implicazione logica, possono essere trattate congiuntamente. Le doglianze sono infondate. Non è, invero, contestabile che, pur volendo annettere alle informative prefettizie una valenza autonoma rispetto a quella del procedimento penale eventualmente ad esse correlato (secondo i principi puntualmente richiamati dalle appellanti e che, in questa sede, meritano integrale conferma), rimane nondimeno insuperabile l’esigenza che le ridette informative poggino comunque su qualche elemento istruttorio che supporti la valutazione della possibilità, quand’anche soltanto ipotetica, di un interessamento della criminalità organizzata all’attività di un’impresa.

Ebbene, è opinione del Collegio che gli elementi offerti in tal senso dalle Prefetture appellanti, almeno allo stato delle risultanze documentali e sulla base di quanto si è potuto acquisire agli atti (peraltro, anche mediante l’integrazione ufficiosa disposta dal Consiglio in via interlocutoria), non siano sufficienti nemmeno a configurare un sospetto circa tale criminosa interferenza.

Certamente non è utilizzabile, per difetto di rilevanza e di attualità, il mero coinvolgimento, viepiù in posizione del tutto marginale (ossia per il solo fatto di aver partecipato, non utilmente, a una gara), del signor Mi. nel contesto di un’indagine, condotta molti anni fa e conclusasi, ancor prima del rinvio a giudizio, con una completa archiviazione (peraltro disposta dal G.I.P. a seguito di reiterate istanze in tal senso dello stesso organo inquirente) nella cui motivazione – si rileva incidentalmente – nemmeno è presente, al di là del mero riferimento nominativo in un lungo elenco allegato al decreto, alcuno specifico accenno alla posizione del predetto signor Mi.

Analogamente non è idonea a suffragare le note prefettizie impugnate la circostanza che vi sia stata una richiesta di acquisto di un bene, per di più senza che la stessa abbia avuto alcun seguito, indirizzata all’amministratore giudiziario di una società confiscata. A tacer d’altro, l’intervenuta confisca della società dovrebbe difatti escludere in radice perfino la possibilità di un’infiltrazione mafiosa sulla gestione della relativa impresa (in questo senso, v. l’art. 38, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 163/2006, recentemente introdotto dalla L. n. 94/2009).

Maggiore valenza decisoria avrebbero potuto avere, in ipotesi, gli "ulteriori elementi" richiamati nelle informative e dichiaratamente contenuti in documenti sottratti all’accesso.

Sennonché, almeno sulla base di quanto depositato agli atti dalle amministrazioni a seguito di espressa richiesta di questo Consiglio, il Collegio non ha potuto evincere la sussistenza di circostanze o fatti diversi da quelli, sopra riferiti e già precedentemente conosciuti e vagliati dal T.A.R.

Occorre precisare che tale conclusione inevitabilmente si basa su quanto rivelato dall’amministrazione e il Collegio non può escludere che possano esistere ulteriori elementi non ostensibili. Tuttavia le esigenze di segretezza, doverosamente protette dall’amministrazione, non possono prevalere incondizionatamente sulle altrettanto fondamentali esigenze di tutela giurisdizionale fatte valere dall’Impregemi.

Con specifico riferimento al regolamento recato dal D.P.R. n. 415/1994 questo Consiglio ha avuto modo di delineare le coordinate ermeneutiche per l’effettuazione di un soddisfacente bilanciamento tra i contrapposti valori della tutela, da un lato, dell’ordine e della sicurezza pubblica nonché delle attività di prevenzione e di repressione della criminalità che giustifica il divieto di ostensione e, dall’altro lato, delle garanzie connesse all’esercizio dell’inviolabile diritto costituzionale alla difesa, sancito dall’art. 24 Cost. Al riguardo meritano specifico richiamo le decisioni n. 406 del 2009 e n. 281 del 2010 di questo Consiglio, le cui statuizioni offrono il seguente quadro di principi:

a) non ogni notizia che concorre a integrare l’informativa antimafia può reputarsi inaccessibile ai sensi del predetto art. 3 del D.M. n. 415/1994;

b) a fronte di tale parziale accessibilità corrisponde un altrettanto parziale conoscibilità di dette notizie in sede giurisdizionale;

c) la parte privata interessata e, a maggior ragione, l’autorità giudiziaria possono richiedere in copia integrale i documenti recanti le notizie rifluite nella informativa antimafia, fatta salva la potestà dell’amministrazione in possesso della relativa documentazione di oscurare con qualunque tecnica idonea, ivi inclusa l’apposizione di "omissis", le parti di documento da mantenere riservate;

d) tali parti contenenti informazioni non propagabili sono quelle ricavate da atti sussumibili in una delle categorie espressamente menzionate nel succitato art. 3;

e) non sono pertanto ostensibili, a titolo esemplificativo, le relazioni di servizio utilizzate e, più in dettaglio, i nomi, le qualifiche e i reparti di appartenenza degli autori di dette relazioni, oltre ovviamente alle fonti soggettive delle informazioni;

f) sono invece sempre rivelabili i provvedimenti della magistratura penale, qualora non più coperti da segreto istruttorio.

Ebbene, nonostante l’integrazione documentale disposta da questo Consiglio, ai sensi dell’art. 345, terzo comma, c.p.c. (attesa l’astratta indispensabilità delle acquisizioni sollecitate), con l’ordinanza interlocutoria citata nelle premesse, nondimeno il quadro indiziario, già correttamente scrutinato dal T.A.R., è rimasto del tutto immutato e, pertanto, quand’anche gli allegati ulteriori elementi in ipotesi sussistano (e tuttavia non possano essere rivelati), comunque il Collegio deve decidere reputando gli stessi tamquam non essent, in difetto di una rituale acquisizione processuale; sul punto, invero, non occorre soffermarsi a considerare che una diversa conclusione comporterebbe un vulnus irrimediabile ai principi costituzionali della pienezza e dell’effettività della tutela giurisdizionale e, soprattutto, della parità delle parti, i quali presidiano lo svolgimento di ogni processo "giusto" secondo i vincolanti canoni interni e sovranazionali.

10. – Al lume dei superiori rilievi il Collegio ritiene di poter assorbire ogni altra questione, domanda o eccezione (ivi incluse quelle, sollevate dall’Impregemi, sull’asserita inammissibilità dell’impugnazione interposta dalle Prefetture), in quanto ininfluente o irrilevante ai fini della presente decisione, dovendosi per l’effetto confermare l’illegittimità degli atti impugnati in primo grado per i vizi già stigmatizzati dal T.A.R. (difetto di istruttoria e carente motivazione).

11. – In conclusione, la sentenza impugnata si presenta immune dai vizi denunciati e, previo rigetto degli appelli, essa merita integrale conferma.

12. – La peculiarità della fattispecie esaminata si configura come circostanza che, in via d’eccezione, consente al Collegio di compensare interamente tra le parti costituite le spese processuali del secondo grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti indicati in epigrafe, respinge gli appelli.

Compensa integralmente tra le parti le spese processuali del secondo grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 23 settembre 2010, con l’intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Antonino Anastasi, Gabriele Carlotti, estensore, Pietro Ciani, Giuseppe Mineo, componenti.

Depositata in Segreteria il 5 gennaio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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