Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-12-2010) 05-01-2011, n. 227 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 9 luglio 2010 il Tribunale di Palermo ha rigettato l’istanza di riesame, proposta da P.A. avverso il provvedimento del G.I.P. del medesimo Tribunale in data 17 giugno 2010, con il quale era stata adottata nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere, siccome indagato per il delitto di partecipazione ad un’associazione a delinquere di stampo mafioso, intesa come famiglia di San Lorenzo, operante nell’omonimo quartiere di (OMISSIS), finalizzata al compimento di attività estorsive.

2. Il Tribunale ha ritenuto la sussistenza in capo al ricorrente dei validi e rilevanti indizi di colpevolezza evidenziati dal G.I.P. nell’ordinanza impugnata, avendolo ritenuto compartecipe, con la qualifica di uomo d’onore, dell’associazione criminale di stampo mafioso sopra evidenziata, coadiuvando B.S. classe (OMISSIS) e BI.Sa. classe (OMISSIS) nella gestione degli affari dell’organizzazione mafiosa anzidetta.

Il Tribunale ha svolto un’articolata relazione introduttiva, nel corso della quale ha fatto il punto sulla più recente giurisprudenza di legittimità relativa alla natura dell’associazione criminosa di tipo mafioso, così come delineata dall’art. 416 bis c.p. ed ai caratteri propri delle due aggravanti contestate all’odierno ricorrente, concernenti rispettivamente la disponibilità di armi e l’avere l’associazione criminosa inteso assumere ovvero mantenere il controllo sulle attività economiche della propria zona d’influenza.

Ha poi desunto appartenenza dell’odierno ricorrente all’associazione criminosa di stampo mafioso anzidetta valorizzando i seguenti elementi: – la sua contiguità con la famiglia DI MAIO, essendo fidanzato di D.M.D., figlia di D.M.V., noto esponente mafioso legato ai LO PICCOLO; da numerosi colloqui in carcere captati fra D.M.V. e sua figlia D. era infatti emerso la volontà di entrambi di favorire l’inserimento del ricorrente nell’ambito mafioso;

– la sua contiguità ed i numerosi incontri da lui avuti con B.G. classe (OMISSIS), altro esponente apicale della cosca mafiosa di San Lorenzo; – le sue frequentazioni con altri soggetti del medesimo ambito criminoso; cosi la sua frequentazione quotidiana del (OMISSIS), esercizio commerciale chiuso dalla polizia municipale il (OMISSIS) per gravi violazioni amministrative; l’essersi egli più volte associato a G. S., con precedenti di polizia per omicidio ed associazione mafiosa nonchè per estorsione; a D.S., con precedenti di polizia per reati contro il patrimonio ed in materia di armi e stupefacenti, legato da vincoli di parentela con B. S., formalmente capo del mandamento di San Lorenzo; a M.S., indicato come uomo di fiducia dei LO PICCOLO, noti esponenti mafiosi; – l’esito dell’appostamento svolto dalla p.g. in data 9 aprile 2010, dal quale era emerso che l’odierno ricorrente si era recato all’interno del civico (OMISSIS), per uscirne dopo circa un’ora tenendo sottobraccio una scatola di cartone di color blu; tale scatola era stata riposta all’interno dell’auto con la quale era giunto all’indirizzo sopra indicato; con detta auto il ricorrente si era recato fino all’angolo fra (OMISSIS), dove era sceso dall’auto, aveva prelevato la scatola di color blu, depositando all’interno del cassonetto adibito alla raccolta dell’immondizia ivi ubicato; all’interno della scatola la p.g. aveva rinvenuto appunti manoscritti contenenti nomi e cifre che, ad più accurato esame, erano stati ritenuti di rilevanza indiziaria, in quanto avevano consentito di confermare la posizione del ricorrente all’interno della consorteria mafiosa del mandamento di San Lorenzo, sopra indicata; così, ad esempio, il reperto classificato come F 14 conteneva la menzione di diversi esercizi commerciali, che, seppur non accompagnato dall’indicazione di somme di danaro, poteva fondatamente riferirsi ad attività estorsive; -le concordi dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia P. M. e G.S., i quali avevano entrambi indicato l’odierno ricorrente tra i nuovi quadri della famiglia mafiosa di San Lorenzo, quale persona di fiducia di B.G., inteso come uno dei massimi reggenti della famiglia mafiosa anzidetta.

3. Secondo l’ordinanza impugnata, sussistevano poi a carico del ricorrente esigenze cautelari, legate alla gravità dei fatti contestati ed alle finalità della condotta ascrittagli, oltre che alla presunzione di esigenze cautelari, di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, tenuto conto del delitto contestatogli.

4. Avverso detto provvedimento del Tribunale del riesame di Palermo ha proposto ricorso per Cassazione P.A. per il tramite dei suoi difensori, che hanno dedotto due motivi di ricorso.

Coi primo motivo lamentano motivazione illogica e carente, inidonea a legittimare l’adozione della misura coercitiva in carcere, in quanto non erano emersi a suo carico gravi indizi di colpevolezza, atteso che essi erano consistiti nelle dichiarazioni rese dai due collaboratori di giustizia PA.Ma. e G.S., i quali, oltre ad essere scarsamente attendibili, erano rimasti privi di riscontri individualizzati e cioè riferibili al singolo accusato ed a ciascun fatto a lui attribuito, tali da assumere idoneità dimostrativa in ordine all’attribuzione del fatto reato al soggetto destinatario di esse. Di tali due collaboranti il PA. si era limitato a definire esso ricorrente come uomo d’onore di San Lorenzo e genero di D.M.V., mentre il G. lo aveva invece definito reggente di San Lorenzo, che aveva come braccio destro il D.; inoltre quanto riferito dal primo collaborante, circa l’intervenuto investimento da parte sua di somme di danaro per conto della famiglia di San Lorenzo e circa la sua asserita pericolosità perchè era un uomo d’azione che spesso partecipava direttamente alla perpetrazione delle intimidazioni con finalità estortive, non era stato confermato dal secondo collaborante.

Coi secondo motivo lamentano motivazione contraddittoria, in quanto le intercettazioni dei colloqui in carcere tra la fidanzata del ricorrente, D.M.D. ed il di lei padre, D.M.V., avevano collocato il coinvolgimento di esso ricorrente nell’attività criminosa contestatagli in un arco di tempo compreso fra i (OMISSIS); al contrario i collaboratori di giustizia PA. e G. avevano collocato l’inserimento del ricorrente nella consorteria criminale in un periodo successivo rispetto a quello indicato dei colloqui in carcere registrati, si che, anche per tale aspetto, l’impostazione adottata dal Tribunale del riesame era da ritenere logicamente infondata.

Motivi della decisione

1. Sono infondati i due motivi di ricorso proposti da P. A., da trattare congiuntamente, siccome strettamente correlati fra di loro.

2. Con essi il ricorrente censura l’ordinanza emessa dal Tribunale del riesame di Palermo in quanto non sarebbero emersi a suo carico validi indizi per ritenerlo partecipe di un’associazione criminosa di stampo mafioso, così come ipotizzato nei suoi confronti.

Le censure proposte dal ricorrente innanzi a questa Corte, non sono proponibili nella presente sede di legittimità, concernendo esse il merito.

Questa Corte invero, in considerazione della giurisdizione di legittimità svolta, può solo verificare se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni, che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario emerso a carico del ricorrente, si da ritenere adeguata la misura cautelare oggetto dell’impugnazione.

Pertanto il metodo di valutazione è quello indicato dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), avendo esso ad oggetto la motivazione dell’atto impugnato, onde accertare che essa sussista e non sia nè manifestamente illogica, nè contraddittoria (cfr., in termini, Cass. SS. UU. 22.3.2000 n. 11; Cass. 4A 8.6.07 n. 22500).

3. Il provvedimento emesso dal Tribunale del riesame di Palermo, impugnato nella presente sede, siccome adottato allo stato degli atti, correttamente si è limitato ad apprezzare la consistenza degli indizi fino a quel momento emersi a carico del ricorrente e, con motivazione incensurabile nella presente sede di legittimità, siccome esente da illogicità e contraddizioni, ha ritenuto detti indizi adeguati a fondare le imputazioni di partecipazione ad un’associazione criminale di stampo mafioso, intesa come "famiglia di San Lorenzo", operante nell’omonimo quartiere di Palermo, finalizzata alla commissione di delitti, principalmente estorsioni, realizzando in tal modo profitti o vantaggi ingiusti per sè o per altri.

I gravi indizi, ravvisati dal Tribunale di Palermo a carico del ricorrente per il delitto di partecipazione ad associazione criminosa di stampo mafioso contestatogli sono consistiti:

– nella sua contiguità con la famiglia DI MAIO, essendo egli fidanzato di D.M.D., figlia di D.M.V., noto esponente mafioso legato ai LO PICCOLO; in particolare da numerosi colloqui in carcere captati fra D.M.V. e sua figlia D. era infatti emerso la volontà di entrambi di favorire l’ascesa del ricorrente nell’ambito mafioso;

– nella sua contiguità e nei numerosi incontri da lui avuti con B.G. classe (OMISSIS), altro esponente di rilievo della cosca mafiosa di San Lorenzo; – nelle sue frequentazioni con altri soggetti del medesimo contesto criminoso; così la sua frequentazione quotidiana del (OMISSIS), esercizio commerciale chiuso dalla polizia municipale il (OMISSIS) per gravi violazioni amministrative; l’avere inoltre egli più volte frequentato:

– G.S., con precedenti di polizia per omicidio ed associazione mafiosa nonchè per estorsione;

– D.S., con precedenti di polizia per reati contro il patrimonio ed in materia di armi e stupefacenti, legato da vincoli di parentela con B.S., formalmente capo del mandamento di San Lorenzo;

" M.S., indicato come uomo di fiducia dei LO PICCOLO, noti esponenti mafiosi;

– nell’esito dell’appostamento svolto dalla p.g. in data 9 aprile 2010, dal quale era emerso che l’odierno ricorrente era entrato nello stabile ubicato al civico (OMISSIS), per uscirne dopo circa un’ora tenendo sottobraccio una scatola di cartone di color blu; tale scatola era stata riposta all’interno dell’auto con la quale era giunto all’indirizzo sopra indicato; con detta auto il ricorrente si era recato fino all’angolo fra (OMISSIS), dov’era sceso dall’auto, aveva prelevato la scatola di color blu, depositandola all’interno del cassonetto adibito alla raccolta dell’immondizia ivi ubicato; ed all’interno di detta scatola la p.g. aveva rinvenuto appunti manoscritti contenenti nomi e cifre che, ad un più accurato esame, erano stati ritenuti di rilevanza indiziaria, in quanto avevano consentito di confermare la posizione del ricorrente all’interno della consorteria mafiosa del mandamento di San Lorenzo, sopra indicata; così, ad esempio, il reperto classificato come F 14 conteneva la menzione di diversi esercizi commerciali, che, seppur non accompagnato dall’indicazione di somme di danaro, poteva fondatamente riferirsi ad attività estorsive commesse nei confronti dei medesimi;

– nelle concordi dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia P.M. e G.S., i quali avevano entrambi indicato l’odierno ricorrente tra i nuovi quadri della famiglia mafiosa di San Lorenzo, quale persona di fiducia di B. G., inteso come uno dei massimi reggenti della famiglia mafiosa anzidetta.

Congrua ed adeguata è pertanto la motivazione, con la quale il Tribunale di Palermo ha ritenuto il quadro indiziario emerso a carico del ricorrente cosi grave da far luogo alla misura cautelare della custodia in carcere. Invero compito di questa Corte di legittimità è solo quello di verificare che gli elementi di fatto valorizzati dal giudice di merito abbiano la valenza indiziaria ritenuta da quest’ultimo; il che nella specie può dirsi avvenuto (cfr., in termini, Cass. 6A 26.4.06 n. 22256).

4. Le argomentazioni, svolte dal ricorrente per inficiarne la consistenza sono meramente assertive e generiche ed inidonee ad incrinare la coerente ed attendibile ricostruzione dei fatti proposta dai giudici di merito.

Così va ritenuto che le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia PA.Ma. e G.S. sono state valorizzate dal Tribunale del riesame nel pieno rispetto dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in materia.

Invero la chiamata in correità fatta da un collaboratore di giustizia intanto può costituire valido indizio di colpevolezza in quanto è sorretta da riscontri esterni individualizzanti, i quali siano significativi non solo in ordine al reale accadimento in sè del fatto-reato, ma anche in ordine alla sua riferibilità al soggetto ritenutone responsabile, secondo i canoni offerti dall’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, dettato in tema di valutazione della prova.

Pertanto le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia possono costituire gravi indizi di colpevolezza, idonei a giustificare la misura cautelare della custodia in carcere quando siano intrinsecamente attendibili e risultino corroborati da riscontri esterni, idonei a provare l’attribuzione del fatto reato al soggetto destinatario di esse.

Tali riscontri esterni ben possono consistere in ulteriori dichiarazioni accusatone rese da altri collaboratori di giustizia, le quali devono a loro volta essere caratterizzate dalla loro convergenza in ordine al fatto oggetto della narrazione; dall’essere state rese senza pregresse intese fraudolenti e senza suggestioni o condizionamenti reciproci, tali da inficiarne la concordanza; nonchè dalla loro specificità, che tuttavia non può ritenersi estesa fino alla loro completa sovrapponibilità agli elementi d’accusa forniti dagli altri dichiaranti, dovendo piuttosto privilegiarsi l’aspetto essenziale della loro concordanza sul nucleo essenziale dei fatti da provare (cfr., in termini, Cass.6A, 26.11.08 n. 1091; Cass. 2A, 4.3.08 n. 13473; Cass. 1A 20.7.09 n. 30084).

Applicando tali principi giurisprudenziali alla fattispecie in esame, va rilevato che le dichiarazioni rese dai due collaboratori di giustizia innanzi indicati, oltre ad essere credibili in sè, risultano altresì adeguatamente corroborate e confermate da validi riscontri esterni, consistiti nelle dichiarazioni rese da ciascuno di essi, tali da confermare le esternazioni dell’altro e tali da concordare nelle loro linee essenziali, atteso che entrambi hanno con sicurezza indicato l’odierno ricorrente quale partecipante al sodalizio mafioso noto come mandamento di San Lorenzo; nella specie sussistono peraltro ulteriori riscontri esterni, costituiti dai risultati degli appostamenti di polizia, dagli accertamenti svolti in loco circa le frequentazioni del ricorrente, tutte aventi ad oggetto personaggi inseriti nella malavita organizzata.

Non possono peraltro ritenersi rilevanti e tali da non consentire un giudizio globale di attendibilità dei due dichiaranti le modeste sfasature riscontrate fra le dichiarazioni rese dai due collaboratori in esame in ordine al concreto ruolo svolto dal ricorrente nell’ambito dell’associazione criminosa di appartenenza; neppure può ritenersi sussistente la contraddizione segnalata dal ricorrente fra quanto emerso dai colloqui in carcere intercettati fra la fidanzata dell’odierno ricorrente e suo padre e quanto dichiarato dai due collaboratori di giustizia anzidetti, circa il tempo nel quale il ricorrente era stato partecipe del sodalizio criminoso anzidetto;

può invero ritenersi del tutto logica la rilevata sfasatura, atteso che i colloqui in carcere ben potrebbero rappresentare un prius rispetto al successivo consolidamento del ricorrente, quale esponente di un certo rilievo nel consorzio criminoso, noto come mandamento di San Lorenzo.

5. Il ricorso proposto da P.A. va pertanto respinto, con sua condanna, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

6. Dovrà provvedersi all’adempimento di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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