Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-12-2010) 05-01-2011, n. 226 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Catanzaro, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., con ordinanza del 5-6 agosto 2010, ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere applicata nei confronti di F.A., sottoposto ad indagini per il delitto p. e p. dagli artt. 110 e 378 c.p. e L. n. 203 del 1991, art. 7, "per avere, in concorso con altre persone, aiutato R.P., esponente di assoluto rilievo di una cosca di stampo mafioso operante a (OMISSIS), ad eludere le indagini relative all’omicidio di M. L., avvenuto poco dopo le 22,00 del (OMISSIS).

Fatto commesso in (OMISSIS) tra la notte del (OMISSIS)".

Il Tribunale ha tratto i gravi indizi di colpevolezza, a carico del ristretto, dalle dichiarazioni dei coindagati, C.S. e Co.Mi., secondo le quali il F., all’indomani dell’omicidio di M.L., aveva nascosto nella sua abitazione il R., provvedendo a soccorrerlo nell’immediato e, quindi, ad accompagnarlo, insieme con i suoi familiari, ad (OMISSIS).

Il viaggio era stato effettuato con due autovetture: una condotta dallo stesso F., sulla quale viaggiavano moglie e figli del R., ed un’altra ai seguito della prima su cui era trasportato il R..

La sussistenza della contestata aggravante ad effetto speciale, di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, era suffragata, secondo il Tribunale, dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, B.D. e M.V., i quali avevano espressamente indicato il F. come uomo di fiducia del R., e dal contesto spazio-temporale della condotta tenuta dal prevenuto, all’indomani dell’omicidio di M.L., capo della contrapposta fazione rispetto a quella di Papaniciari diretta dal R., e in soccorso di quest’ultimo, rimasto gravemente ferito nel corso dell’agguato contro il primo, consentendogli di rimettersi in salute e assicurandone l’allontanamento dalla (OMISSIS), insieme ai suoi familiari, per evitare che potesse essere destinatario di una vendetta.

L’azione di favoreggiamento realizzata si inseriva, dunque, secondo il Tribunale, nell’ambito di rapporti di mutua solidarietà ‘ndranghetistica, specialmente perchè realizzata a favore del capo dell’associazione, qual’era il R..

L’automatismo cautelare discendente dalla previsione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, non risultando acquisiti specifici elementi che, in positivo e concretamente, consentissero di superare la presunzione di pericolosità, imponeva, poi, l’applicazione della misura della custodia in carcere adottata, che, pertanto, doveva essere confermata.

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione il F., tramite il difensore, il quale, nei due motivi dedotti, lamenta la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per erronea applicazione della L. n. 203 del 1991, art. 7, e la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza di motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato nella parte dedicata all’illustrazione delle esigenze cautelari.

2.1 Ad avviso del ricorrente, dagli elementi raccolti si ricaverebbe che l’aiuto prestato dal F. fu indirizzato esclusivamente alla persona del R., e non ad agevolare l’associazione di appartenenza di quest’ultimo, e ciò anche con riguardo al contributo apportato all’allontanamento del R. e dei suoi familiari dalla città di residenza per sottrarlo alla vendetta della contrapposta consorteria, poichè l’aiuto funzionale a salvare la vita di un altro è per definizione indirizzato alla persona.

A sostegno della sua tesi, il ricorrente richiama per esteso numerose massime di questa Corte (sez. 6, 8 novembre 2007 n. 294, ed altre conformi), secondo le quali, non sarebbe sufficiente, per la sussistenza dell’aggravante ad effetto speciale di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, cit., la mera consapevolezza della caratura mafiosa della persona aiutata e della sua posizione di vertice nell’associazione, essendo invece necessario l’accertamento, che nel caso in esame sarebbe stato omesso, dell’oggettiva funzionalità della condotta all’agevolazione dell’attività posta in essere dall’organizzazione criminale, come quando l’apporto favoreggiatore si sia tradotto nell’avere "trasmesso messaggi", o nell’essersi adoperato come "anello di congiunzione tra sodali", o nell’avere "contribuito alla gestione dell’attività mafiosa". 2.2 L’ordinanza impugnata, inoltre, sarebbe gravemente carente nella motivazione delle ritenute esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., lett. C), poichè avrebbe omesso di considerare una serie di circostanze, pur tempestivamente rappresentate nella richiesta di riesame – quali l’incensuratezza dell’indagato, l’assenza di carichi pendenti, la confessione della propria condotta nell’interrogatorio di garanzia e l’onesto contributo dichiarativo reso circa la responsabilità del R. – idonee a vincere la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, ovvero, in caso di ablazione della circostanza aggravante ad effetto speciale di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, ad escludere il pericolo di reiterazione del reato.

Il ricorrente ha pertanto richiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con le conseguenze di legge.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è infondato.

3.1 Premesso che, in tema di favoreggiamento personale, l’aggravante di cui all’art. 378 c.p., comma 2, è compatibile con quella prevista dal D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, quando il favoreggiamento si riferisca non solo alla persona facente parte dell’associazione di stampo mafioso ma sia diretto anche ad agevolare l’intera associazione (sez. 5, sentenza n. 16556 del 14/10/2009 ud. (dep. 29/04/2010), Rv. 246952), nella fattispecie, come si evince dalla motivazione del provvedimento impugnato e dall’espresso rinvio all’intero contenuto dell’ordinanza genetica, secondo il principio dello stretto collegamento e reciproca integrabilità della motivazione dell’ordinanza applicativa della misura e di quella che decide sulla richiesta di riesame (sez. unite, sentenza n. 7 del 17/04/1996 Cc (dep. 03/07/1996) Rv. 205257), la condotta specificamente attribuita al F. è indicativa di un aiuto prestato non solo alla persona del R., ma anche all’associazione ‘ndranghetistica di cui il favorito era un esponente di vertice, con la conseguenza che non sussiste la denunciata erronea applicazione della ripetuta aggravante ad effetto speciale.

Secondo la contestazione cautelare, infatti, il F. teneva nascosto il R., nella propria casa, in (OMISSIS), immediatamente dopo l’omicidio del suo antagonista, M.L., avvenuto alle ore 22 circa del (OMISSIS), e, nella tarda mattinata del (OMISSIS), contattava C.S., per condurlo nella sua abitazione e farlo incontrare con il R., adoperandosi, quindi, insieme al C. per assicurare le cure di cui il ferito aveva urgente bisogno a causa della ferita riportata ad una gamba; intervenuta T.D., infermiera professionale, cognata del C., la quale constatava la gravità delle condizioni del soccorso, sempre il F., con la sua autovettura, insieme al C. e alla T., accompagnava il R. in località (OMISSIS), provvedendo, poi, a rintracciare Co.

M.; dopo le prime cure apprestate al ferito presso la casa di cura "(OMISSIS)", lo stesso F., unitamente a B. R., si occupava di organizzare ed eseguire il trasferimento del R. e della sua famiglia (moglie e figli) ad (OMISSIS), nei giorni antecedenti il (OMISSIS), data quest’ultima in cui il R. veniva tratto in arresto in quella città.

Le descritte modalità dell’aiuto prestato in stretta colleganza con membri dell’associazione (i citati C., Co. e B.), in tempo protratto (dal marzo al luglio 2008) e in plurimi luoghi (ricovero iniziale del R. ferito a casa del F. e successivi trasferimenti dello stesso per consentire le prime cure), con organizzazione di mezzi e persone al fine di assicurare l’efficacia degli interventi (le due autovetture, in particolare, utilizzate per il trasferimento di R. e familiari da (OMISSIS), di cui quella guidata dal F., con a bordo la moglie e i figli del favorito, precedendo l’autovettura su cui era trasportato il R., fungeva da staffetta), sostengono, dunque, la motivata valutazione del giudice cautelare circa l’oggettiva funzionalità della condotta tenuta dal F., ad agevolare, attraverso la tutela dell’integrità fisica del suo capo e della sua immunità in stretto raccordo logistico- operativo con appartenenti alla consorteria criminale e assicurando la continuità dei contatti tra il R. e i suoi sodali, l’attività e la sopravvivenza anche dell’associazione da lui diretta.

3.2 Riguardo alla pur denunciata omessa motivazione delle esigenze cautelari, trattasi di censura parimenti infondata, poichè il provvedimento impugnato, contrariamente all’assunto del ricorrente, esamina le dichiarazioni rese dal F. in sede di interrogatorio di garanzia, con particolare riguardo allo stato di paura in cui avrebbe agito, sottolineando, da un lato, che esse poggiano su dati indimostrati e come tali irrilevanti, e, dall’altro, che risultano oggettivamente smentite dalla condotta posta in essere dallo stesso F. (l’effettuazione di un lungo viaggio dalla (OMISSIS) sino all'(OMISSIS)), sintomatica di un rapporto di consolidata fiducia, e non di radicale soggezione, tra lo stesso e il R., il quale non esitò ad affidare all’indagato, oltre alla tutela della propria vita, anche la custodia dei suoi familiari più cari (moglie e figli).

Aggiunge il Tribunale che il F., nel tempo in cui subì, secondo le sue dichiarazioni, l’ospitalità concessa al R. ferito nella propria abitazione, avrebbe potuto rivolgersi alle competenti Autorità, mentre, come si è detto, si occupò soltanto di assicurare le prime urgenti cure allo stesso e di agevolare i contatti tra il R. e le persone a lui legate.

A fronte delle predette emergenze, compiutamente rappresentate nell’ordinanza impugnata, la pur allegata incensuratezza del F. non è sufficiente, da sola, ad escludere la presunzione di pericolosità sociale, a norma dell’art. 275 c.p.p., comma 3, come pure correttamente ritenuto dal Tribunale.

4. L’infondatezza di entrambi i motivi determina, dunque, il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria provvedere agli adempimenti previsti dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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