Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-12-2010) 05-01-2011, n. 225 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 28 luglio 2010, il Tribunale del riesame di Palermo ha accolto l’appello proposto dal P.G. di Palermo avverso l’ordinanza emessa dalla Corte d’Appello di Palermo in data 2 luglio 2010, con la quale era stata disposta la scarcerazione di B.G. per avvenuta decorrenza dei termini di custodia cautelare.

2. Il Tribunale ha ritenuto che, conformemente a quanto sostenuto dal P.G. di Palermo, erroneamente la Corte d’appello non aveva tenuto conto, nel calcolare termini di custodia cautelare, delle due sospensioni, pari a complessive 180 giorni, che erano intervenute nel processo di primo e di secondo grado a carico del B..

Quest’ultimo era stato tratto in arresto in esecuzione di ordinanze di custodia cautelare emesso dal G.I.P. di Palermo in data 3 marzo 2006; con sentenza del 6 novembre 2007 il G.U.P. di Palermo lo aveva condannato alla pena di anni 7 e mesi 6 di reclusione per il reato di partecipazione ad associazione criminosa di stampo mafioso e, nella sentenza, era stata esplicitamente disposta la sospensione dei termini dalla durata massima della custodia cautelare per giorni 90.

Con sentenza del 2 luglio 2009 la Corte d’appello di Palermo aveva confermato nei confronti del B. la sentenza emessa dal giudice di primo grado; e dalla motivazione della sentenza era altresì emerso che i termini di durata massima della custodia cautelare erano stati sospesi anche per il tempo delle udienze sino alla pronuncia della sentenza, ai sensi dell’art. 304 c.p.p., comma 2.

Secondo il Tribunale l’unico termine rilevante ai fini della decorrenza della carcerazione preventiva era quello di anni 4, di cui all’art. 303 c.p.p., comma 4, lett. b); pertanto, sommando a tale termine i 180 giorni per i quali i termini erano rimasti sospesi per la redazione delle motivazioni delle sentenze di primo e di secondo grado, conseguiva che il termine di carcerazione preventiva complessivo di anni quattro e mesi sei, decorrenti dal 7 marzo 2006, non poteva dirsi spirato alla data del 2 luglio 2010, come invece erroneamente ritenuto dalla Corte d’Appello con il provvedimento impugnato.

Occorreva poi considerare altresì il periodo di sospensioni dei termini per l’intera durata del processo d’appello, dal che sarebbe conseguito un ulteriore allungamento del tempo della effettiva scadenza del termine di carcerazione preventiva di anni 4, si che, a maggior ragione tale termine non poteva ritenersi maturato alla data del 2 luglio 2010. 3. Avverso detto provvedimento del Tribunale del riesame di Palermo, B.G. ha proposto ricorso per Cassazione per il tramite del suo difensore, che ha dedotto inosservanza ed erronea applicazione della legge processuale, nonchè motivazione contraddittoria ed illogica. Ha rilevato che, a fronte di una sua prima istanza, da lui trasmessa direttamente dal carcere di Caltanissetta, dove egli era detenuto, intesa ad ottenere la scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare, la Corte d’appello di Palermo aveva rigettato la domanda, specificando che il decorso del termine si sarebbe maturato il 2 luglio 2010;

pertanto la medesima Corte d’appello, con l’impugnato provvedimento del 2 luglio 2010, adottato su conforme parere favorevole del P.G., aveva disposto l’immediata sua scarcerazione solo ed esclusivamente sulla scorta del raggiungimento del termine massimo di false, decorrente dal 2 luglio 2009, data della sentenza di condanna di secondo grado e maturatasi il 2 luglio 2010, data della sua avvenuta scarcerazione. L’impugnazione proposta dal P.G. era pertanto inammissibile in quanto aveva avuto ad oggetto un punto di fatto e di diritto che non aveva formato oggetto di trattazione da parte dell’ordinanza impugnata; pertanto il provvedimento emesso dal Tribunale del riesame era da annullare per avere a sua volta fondato la propria motivazione sul c.d. tetto massimo di carcerazione preventiva di cui all’art. 303 c.p.p., comma 4, che non aveva formato oggetto di esame da parte della Corte d’Appello.

Motivi della decisione

1. Il ricorso proposto da B.G. è inammissibile siccome manifestamente infondato.

2. Il provvedimento impugnato è invero pienamente condivisibile, per avere esso fatto corretta applicazione della norma di cui all’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. d).

Alla stregua di tale ultima norma invero, dopo la pronuncia della sentenza di condanna in grado di appello, se vi è stata già una condanna in primo grado, è applicabile solo la disposizione di cui al cit. articolo, comma 4, lett. b), si che, in tali ipotesi, la durata complessiva della custodia cautelare è pari ad anni 4, tenuto conto del tipo di reato per il quale è intervenuta la condanna dell’odierno ricorrente.

Non è invero contestato che, nei confronti di quest’ultimo, è intervenuta una condanna di primo grado a pena detentiva per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., nonchè una pronuncia in grado di appello confermativa della condanna emessa dal primo giudice.

Pertanto, difformemente da quanto sostenuto dal ricorrente, non è applicabile alla specie la norma di cui alla prima parte dell’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. D), alla stregua della quale, in caso di pronuncia della sentenza di condanna in grado di appello, senza che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, valgono gli stessi termini previsti dalla precedente lettera c) e quindi il termine di anni 1.

Occorre invero tener conto dell’inciso "tuttavia", contenuto nell’ultimo periodo dell’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. D), che introduce una variante rispetto alla norma fissata nel periodo precedente, stabilendo che se la pronuncia di condanna in grado di appello segue, come nel caso in esame, ad una condanna intervenuta nel corso del giudizio di primo grado, sono applicabili direttamente i più elevati termini di carcerazione preventiva complessivi contenuti nell’art. 303 c.p.p., comma 4; in particolare il termine complessivo di carcerazione preventiva di anni 4, previsto dalla lettera b) del citato comma 4, in considerazione della pena prevista per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., del quale il ricorrente è stato riconosciuto colpevole in primo ed in secondo grado.

Correttamente poi il provvedimento impugnato ha rilevato che, nel termine complessivo di carcerazione preventiva, da calcolare nei confronti dell’odierno ricorrente, occorreva altresì tener conto:

– dei tempi richiesti per le redazioni delle sentenze di primo e di secondo grado, conformemente a quanto disposto sia dal G.U.P. di Palermo, sia dalla Corte d’Appello di Palermo, ai sensi dell’art. 304 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 544 c.p.p., comma 3;

– della sospensione della durata massima della custodia cautelare, disposta dalla Corte d’Appello di Palermo ai sensi dell’art. 304 c.p.p., comma 2, durante il tempo delle udienze e fino alla pronuncia della sentenza.

A maggior ragione pertanto il termine complessivo di carcerazione preventiva per l’odierno ricorrente non poteva ritenersi scaduto alla data del 2 luglio 2010. 3. Non è quindi condivisibile l’impostazione della questione proposta dal ricorrente, il quale ha sostenuto che il Tribunale del riesame, nell’aderire al ricorso proposto dal P.G., avrebbe illegittimamente introdotto un tema nuovo, costituito dall’applicabilità alla fattispecie della norma di cui all’art. 303 c.p.p., comma 4, norma che invece la Corte d’Appello non aveva tenuto presente.

Si osserva invero che, nella specie, si verte in un ambito differente, costituito dall’esatta applicazione della legge, la quale deve essere perseguita dal giudice d’ufficio, a prescindere dalle richieste fatte dalle parti interessate e da quanto possa aver erroneamente ritenuto un altro giudice.

4. Da quanto sopra consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso in esame, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

5. Si dovrà provvedere a norma dell’art. 92 disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 92 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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