Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-12-2010) 05-01-2011, n. 222 Durata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. E’ impugnata, davanti a questa Corte, l’ordinanza in data 26 febbraio-9 agosto 2010 del Tribunale di Napoli, costituito ex art. 310 c.p.p., con la quale è stato respinto l’appello proposto da M.A. avverso il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, in data 25 maggio 2009, di rigetto della sua richiesta diretta ad ottenere la declaratoria di inefficacia della misura della custodia in carcere, per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3, e art. 303 c.p.p., comma 1, lett. a), n. 3. 2. Il Tribunale ha ricostruito la vicenda procedimentale nei seguenti termini. M.A., già sottoposto a misura cautelare della custodia in carcere, giusta ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari in data 8 dicembre 2007, nell’ambito del procedimento n. 46606/06 R.g.n.r., siccome indagato per i delitti di cui all’art. 416 bis c.p. (commesso in (OMISSIS), con condotta perdurante) e all’art. 629 c.p., aggravato ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7 (commesso in (OMISSIS), dalla terza decade di (OMISSIS) successivo), è stato raggiunto da una nuova ordinanza di custodia in carcere, emessa in data 27 novembre 2008, nell’ambito del diverso procedimento penale originariamente iscritto col n. 43915/02 R.g.n.r., in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 aggravato ex L. n. 203 del 1991, art. 7, cit. (commesso, in (OMISSIS)).

Il Giudice, col suddetto provvedimento del 25 maggio 2009, ha respinto la richiesta di inefficacia della più recente misura cautelare sul rilievo dell’insussistenza dei presupposti invocati dal M. per l’applicazione dell’art. 297 c.p.p., comma 3, con particolare riferimento al requisito della negata desumibilità degli elementi a sostegno della seconda misura coercitiva da quelli esistenti al tempo dell’emissione della prima.

Investito dell’appello avverso il detto provvedimento, il Tribunale di Napoli, dopo aver rilevato che il fatto oggetto della seconda ordinanza cautelare, emessa il 27 novembre 2008, era stato contestato come commesso precedentemente all’emissione, in data 8 dicembre 2007, della prima ordinanza, e dopo aver riepilogato gli arresti giurisprudenziali in materia (sentenze di questa Corte, entrambe a sezioni unite, n. 21957/05 e n. 14535/06, e sentenza della Corte costituzionale n. 408/2005), ha escluso la sussistenza, tra i reati contestati nelle due distinte ordinanze, della connessione per continuazione, ex art. 12 c.p.p., lett. b), e per nesso teleologia (limitatamente ai casi di reati commessi per eseguirne altri) ai sensi dell’art. 12, lett. c), richiamando giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’istituto della continuazione sarebbe a priori inapplicabile ad una pluralità di associazioni per delinquere, posto che "la dinamica della formazione dei gruppi associativi dipende dalla novità delle situazioni che di volta in volta si creano, alle quali i vari soggetti si aggregano in modo diverso ed inserendo nelle varie associazioni soggetti nuovi"; e sostenendo, inoltre, la non ravvisabilità della connessione teleologia nell’ambito dei delitti associativi, poichè i reati fine sono previsti solo in via generica e programmatica e non in modo specifico, e considerate, nello specifico caso in esame, le diverse finalità delle associazioni oggetto dei due titoli custodiali, le differenti modalità di commissione dei reati, e la distanza temporale tra essi, tali da costituire un ulteriore elemento per escludere la loro esecuzione nell’ambito del medesimo disegno criminoso (l’ordinanza del Tribunale sottolinea, in particolare, la peculiarità del "sistema" ideato dal capo clan, Ma.Vi., dell’associazione di tipo mafioso alla quale avrebbe partecipato il M., per la scelta di non esporre il gruppo criminale ai rischi connessi all’attività di approvvigionamento, vendita al dettaglio e stoccaggio della sostanza stupefacente, individuando una serie di fiduciari a ciascuno dei quali fu affidato il compito di sovrintendere ad uno specifico settore merceologico – cocaina, eroina, marijuana – secondo una sorta di decentramento dell’attività criminale, in cui ogni responsabile di settore si avvaleva, a sua volta, di una microstruttura criminale da lui stesso formata e gestita, versando mensilmente una somma predeterminata di denaro al clan Mazzarella).

Il Tribunale ha, poi, negato che, al momento dell’emissione della prima ordinanza coercitiva, fossero desumibili dagli atti gli elementi che hanno giustificato la più recente ordinanza di custodia cautelare in carcere, a carico dello stesso M., osservando che i fatti oggetto dei diversi procedimenti appaiono fondati su fonti di prova avulse da coincidenza e contestualità, poichè alla base delle accuse oggetto della seconda ordinanza cautelare vi sarebbero non solo le dichiarazioni di collaboratori di giustizia raccolte antecedentemente all’emissione del primo titolo cautelare, ma anche le dichiarazioni di collaboratori raccolte in epoca successiva al dicembre 2007 (citate dichiarazioni di A. V. il 9.01.2008; P.V. l’11.01.2008; C. F. il 10.04.2008; T.E. il 10.04.2008), e sottolineando che proprio le più recenti dichiarazioni avrebbero consentito di acquisire gravi indizi di colpevolezza, a carico del M., anche con riguardo al reato previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, di cui al secondo titolo custodiale.

Ad avviso del Tribunale, il materiale indiziario utilizzato dal Pubblico Ministero, consistente in dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, pur in parte presente al momento della prima ordinanza cautelare attinente ai delitti previsti dagli artt. 416 bis e 629 c.p., non avrebbe immediatamente e in modo evidente manifestato il proprio significato, ai fini della contestazione dell’ulteriore delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, a carico del M., ma avrebbe imposto un’opera di verifica e di riscontro, attraverso l’acquisizione di più pregnanti e specifiche dichiarazioni accusatorie relative allo stesso indagato, con la conseguenza che il Pubblico Ministero non avrebbe irragionevolmente o colpevolmente procrastinato l’inizio del secondo procedimento, arbitrariamente ritardando la seconda richiesta cautelare, risultando, al contrario, che i due procedimenti derivano da notizie di reato pervenute a distanza di tempo l’una dall’altra e relative a situazioni criminali eterogenee.

3. Avverso la citata ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione, tramite il difensore di fiducia, il M., il quale lamenta violazione ed erronea applicazione di legge nonchè difetto di motivazione – art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) – con riferimento all’art. 297 c.p.p., comma 3, e art. 12 c.p.p. e all’art. 416 bis c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, aggravato ex L. n. 203 del 1991, art. 7.

Sul basilare presupposto che il fatto associativo, oggetto del secondo titolo cautelare, risale, come da contestazione, a data precedente l’emissione del primo titolo custodiate, il difensore rileva l’applicabilità, nel caso in esame, della norma che impone la retrodatazione dell’efficacia della seconda misura al tempo di esecuzione o notificazione della prima, sia perchè, contrariamente all’apodittico assunto del Tribunale, tra i due fatti associativi oggetto dei diversi titoli cautelari sarebbe ravvisabile il vincolo della continuazione, rientrando il traffico organizzato di sostanze stupefacenti tra le finalità dell’articolata associazione di tipo mafioso, e, comunque, sussistendo tra i fatti oggetto dei distinti titoli cautelari connessione qualificata; sia perchè, pur escludendo il rapporto di connessione tra i due reati associativi, resterebbe comunque operante, nel caso in esame, il criterio della desumibilità dagli atti addotti a sostegno del primo titolo cautelare degli elementi fondanti il secondo provvedimento di custodia per diverso reato, considerato che gli elementi già acquisiti al tempo di emissione della prima misura, eseguita in data 8 dicembre 2007 con l’arresto del M., sarebbero solo minimamente integrati da quelli raccolti successivamente alla medesima data, cosicchè sussisterebbero tutti i presupposti per la retrodatazione della seconda misura applicata.

Motivi della decisione

4. Il ricorso non è fondato.

Giova preliminarmente delimitare i confini della fattispecie procedimentale in esame, al fine della corretta applicazione dei canoni normativi e giurisprudenziali, sopra richiamati, con riguardo alla decorrenza dei termini di durata delle misure cautelari in carcere applicate con le plurime ordinanze, di cui si è detto.

E’ pacifico che i titoli cautelari sono stati emessi in due distinti procedimenti in corso davanti alla stessa Autorità giudiziaria e per fatti associativi entrambi precedenti la prima ordinanza custodiate, notificata al M. l’8 dicembre 2007.

Sono controversi, invece, il rapporto di connessione tra i due delitti associativi e la desumibilità dagli atti del procedimento in cui risulta emesso il primo titolo cautelare dei fatti oggetto della seconda ordinanza custodiale.

Osserva la Corte che, pur non potendo condividersi l’esclusione di principio, sostenuta nell’ordinanza impugnata, di rapporti di qualificata connessione tra fatti associativi corrispondenti a quelli contestati nelle ordinanze cautelari che qui rilevano, essendo invece configurabile, come da costante giurisprudenza di questa Corte (sez. 1, n. 17702 del 21/01/2010, dep. 10/05/2010, Rv. 247059; sez. Un., n. 1149 del 25/09/2008, dep. 13/01/2009, Rv. 241883; sez. 4, n. 12349 del 29/01/2008, dep. 20/03/2008, Rv. 239298; e altre conformi), il concorso formale tra i delitti di associazione di tipo mafioso e di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti per la diversità dei beni giuridici tutelati – rispettivamente l’ordine pubblico messo in pericolo dalle situazioni di assoggettamento e di omertà, e la salute individuale e collettiva minacciata dalla diffusione dello spaccio di sostanze stupefacenti-, con la conseguente ammissibilità della connessione ex art. 12 c.p.p., comma 1, lett. b), richiamato dall’art. 297 c.p.p., comma 3, ai fini della retrodatazione dei termini di durata delle misure cautelari applicate, con separate ordinanze, allo stesso imputato per fatti connessi, deve, tuttavia, escludersi, nel caso in esame, la retrodatazione degli effetti del secondo titolo custodiale solo per la non desumibilità dei fatti oggetto della nuova ordinanza da quelli cui si riferisce la prima, come adeguatamente motivato nel provvedimento impugnato, in cui il Tribunale puntualmente riporta gli elementi investigativi di più recente acquisizione sulla base dei quali il Pubblico Ministero del secondo procedimento ha ritenuto suffragata da gravi indizi di colpevolezza l’ipotesi associativa di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 a carico del M..

Il ricorrente, invece, dopo l’esatta contestazione della tesi del Tribunale escludente la configurabilità della connessione qualificata tra i due fatti associativi contestatigli nelle reiterate ordinanze di custodia cautelare in carcere, si limita alla vaga denuncia dell’apporto minimo, sul piano dell’integrazione del quadro indiziario, che sarebbe stato arrecato dagli elementi investigativi acquisiti successivamente all’emissione della prima ordinanza per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., sui quali è fondato il secondo titolo cautelare, a suo carico, per il delitto previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, senza una specifica contestazione dell’opposta tesi, al riguardo, sostenuta nell’ordinanza impugnata.

5. Risultando, dunque, adeguatamente motivato il requisito della non desumibilità – dal compendio indiziario alla base dell’originario provvedimento di applicazione della misura della custodia in carcere – degli elementi che hanno portato alla successiva emissione di analoga misura per altra ipotesi di reato a carico dello stesso indagato, ne discende il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria è tenuta alle comunicazioni previste dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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