Cass. civ. Sez. III, Sent., 21-01-2011, n. 1413 Responsabilità civile per ingiurie e diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I fatti di causa possono essere così ricostruiti sulla base della sentenza impugnata.

Con citazione notificata il 25 marzo 1999 M.A. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Milano C.M. e la Società Europea di Edizioni s.p.a. per ivi sentirli condannare, nella qualità, rispettivamente, di direttore e di editore della testata (OMISSIS), al risarcimento dei danni da lui subiti a seguito della pubblicazione dell’articolo, a firma di F.R. e dal titolo Mio marito condannato a morte dai colleghi, di contenuto diffamatorio e gravemente lesivo della sua dignità e onorabilità.

Con sentenza del 1 febbraio 2001 il giudice adito, in accoglimento della domanda, condannò i convenuti in solido tra loro al pagamento, in favore dell’attore della somma di L. 100.000.000, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo.

Proposto gravame dai soccombenti, la Corte d’appello, in data 31 gennaio 2005, lo ha respinto.

Avverso detta pronuncia propongono ricorso per cassazione C. M. e Società Europea di Edizioni s.p.a., formulando un solo motivo.

Resiste con controricorso, illustrato anche da memoria, M. A..

Motivi della decisione

1. Nell’unico motivo di ricorso gli impugnanti lamentano mancanza, insufficienza e contraddittorietà della motivazione con riferimento al preteso superamento del limite della continenza, argomentato con il richiamo a dati, quali il titolo dell’articolo, le dichiarazioni del Ri., amico e collega del defunto B., e della signora G., moglie di questi, benchè le espressioni incriminate ben potessero essere ricondotte, a giudizio della stessa Corte d’appello, alla categoria delle mere iperboli retoriche. A tali conclusioni il decidente era pervenuto in ragione della ripetitività di quelle espressioni, con assunto manifestamente illogico, non essendo dato comprendere quale tasso di ripetitività sia necessario perchè il ricorso a una figura retorica, in linea di principio ritenuta ammissibile all’interno di uno scritto, diventi perciò stesso illecito.

Sotto altro, concorrente profilo lamentano i ricorrenti che il giudice di merito abbia ritenuto inoperante la scriminante dell’interesse pubblico alla conoscenza delle opinioni dei due intervistati, perchè l’articolista, lungi dall’assumere la posizione di terzo osservatore dei fatti, aveva mostrato di aderire completamente alle dichiarazioni ingiuriose dei dichiaranti. Così argomentando, la Corte territoriale non aveva adeguatamente assolto all’impegno motivazionale, perchè questo, in ottemperanza alle indicazioni della Corte Regolatrice (Cass. pen., sez. un. 16 ottobre 2001, n. 37140), doveva estendersi al necessario bilanciamento tra due diritti contrapposti, entrambi costituzionalmente tutelati:

quello alla salvaguardia della propria personalità, riconosciuto dall’art. 2 Cost., e quello di cronaca, presidiato dall’art. 21. 2. Le critiche sono infondate.

In conformità a una giurisprudenza di legittimità più che consolidata, a partire dal noto arresto del 18 ottobre 1984, n. 5259, per considerare la divulgazione di notizie lesive dell’onore lecita espressione del diritto di cronaca ed escludere la responsabilità civile per diffamazione, devono ricorrere tre condizioni consistenti:

a) nella verità oggettiva (o anche soltanto putativa, purchè frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) che non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano, dolosamente o anche soltanto colposamente taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato;

ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive ovvero da sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore (o ascoltatore) rappresentazioni della realtà oggettiva false: principi sintetizzati nella formula secondo cui il testo va letto nel contesto, il quale può determinare un mutamento del significato apparente della frase altrimenti non diffamatoria, dandole un contenuto allusivo, percepibile dall’uomo medio (Cass. sez. 3^, 14/10/2008, n. 25157); b) nella sussistenza di un interesse pubblico all’informazione, vale a dire nella ed. pertinenza (ex multis Cass. n. 5146/2001; Cass. 18.10.1984, n. 5259; Cass. n. 15999/2001; Cass. 15.12.2004, n. 23366); c) nella forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione, e cioè nella c.d. continenza, posto che lo scritto non deve mai eccedere lo scopo informativo da conseguire; deve essere improntato a serena obiettività, con esclusione di ogni preconcetto intento denigratorio; deve essere redatto nel rispetto di quel minimo di dignità cui ha pur sempre diritto anche la più riprovevole delle persone (Cass. 18 ottobre 1984 n. 5259).

2.1 Merita precisare che questi limiti operano altresì in caso di intervista, occorrendo anche qui, per l’operatività dell’esimente del diritto di cronaca: a) la ricorrenza del requisito della verità del fatto, nel senso che l’intervistato deve avere effettivamente formulato, nelle circostanze di tempo e di luogo indicate dal giornalista, le espressioni riportate, sempre che non ne siano dolosamente o colposamente taciute altre, idonee ad alterare il significato di quelle riferite, ovvero, mediante accostamenti suggestivi di singole affermazioni dell’intervistato capziosamente scelte o a mutamenti dell’ordine di esposizione delle medesime, l’intervista non venga a fuorviare il significato di quanto effettivamente dichiarato; b) la sussistenza, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione o ad altri caratteri dell’intervista, di indiscutibili profili di interesse pubblico all’informazione (confr. Cass. civ., 24 aprile 2008, n. 10686; Cass. civ., 15 dicembre 2004, n. 23366).

2.2 Quanto poi al diritto di critica, e cioè al diritto non già di informare, ma di esprimere giudizi e valutazioni personali, per stabilirne la liceità, allorchè essi siano oggettivamente idonei ad offendere l’altrui reputazione, è necessario, secondo la giurisprudenza di questa Corte, procedere a un bilanciamento dell’interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita, bilanciamento da effettuare tenendo conto, ancora una volta, sia del rispetto del limite della correttezza formale, e cioè della continenza, sia della pertinenza della critica di cui si tratta all’interesse pubblico, cioè all’interesse dell’opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critica, ma di quella interpretazione del fatto propria dell’autore dello scritto (confr.

Cass. civ., 6 agosto 2007, n. 17172; Cass. civ. 13 giugno 2006, n. 13646).

3. Venendo al caso di specie;, il giudice di merito, ricostruito in maniera estremamente analitica il contenuto dell’articolo, ha escluso che il giornalista avesse rispettato il limite della continenza, relativo alla correttezza delle espressioni usate, segnatamente evidenziando che, per contro, l’intero tono del testo travalicava dall’ambito di una critica misurata e obiettiva, pur se accesa e pungente, per trascendere nel campo della gratuita aggressione alla sfera morale altrui, sanzionata sia civilmente che penalmente. Ha in particolare esplicitato che il superamento del canone della continenza era denotato sia dal tenore del titolo e delle dichiarazioni degli intervistati che, ripetutamente additando nei colleghi del B. gli autori di una condanna a morte, neppure appariva giustificabile quale isolata iperbole retorica; sia dall’intera struttura del pezzo, nel quale il M. era in più passaggi individuato come il principale artefice della persecuzione del B.. Ha poi aggiunto che il carattere complessivamente ingiurioso dello scritto non poteva ritenersi giustificato dall’interesse pubblico alla conoscenza della ricostruzione dei conflitti interni alla procura barese, perchè l’articolista, nel riferire le opinioni dei due intervistati, non aveva assunto la posizione di terzo osservatore dei fatti, indicata, quale scriminante, dalla Corte Regolatrice (Cass. pen. sez. un. 16 ottobre 2001, n. 37140).

4 A giudizio del collegio tale percorso motivazionale, che non tralascia il confronto con alcuno dei paletti fissati dalla giurisprudenza di legittimità per il riconoscimento della natura diffamatoria di uno scritto destinato a essere divulgato in un pubblico indifferenziato di lettori, specularmente blindando il potere – dovere di raccontare e diffondere a mezzo stampa notizie e commenti, resiste alle censure formulate in ricorso. E’ sufficiente al riguardo considerare che dell’esito del suo scrutinio, soprattutto per quanto attiene al superamento del limite della continenza e al l’inoperatività della scriminante dell’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti e delle opinioni, sui quali maggiormente si appuntano i rilievi critici dell’impugnante, il giudice di merito ha fornito ampia ed esaustiva motivazione, non essendo affatto implausibile che la martellante ripetitività di una iperbole retorica comporti il superamento di quel limite.

Con specifico riferimento, poi, alla posizione assunta dal giornalista, rispetto a quanto narrato dagli intervistati, il neutro distacco che avrebbe dovuto informarla è stato argomentatamente e condivisibilmente escluso in ragione della completa adesione della prosa di accompagnamento – riferibile, questa sì, esclusivamente all’intervistatore – alle dichiarazioni dei familiari e degli amici del B., le quali, inserite in uno scritto sostanzialmente improntato alla rappresentazione agiografica del defunto e denigratoria dei suoi pretesi persecutori, ne erano uscite esaltate.

Non è dunque vero che il giudice di merito abbia omesso di bilanciare i valori costituzionalmente protetti dei quali, in parte qua, è necessario tener conto, essendo piuttosto meramente assertivo l’assunto della mancata comparazione tra i valori in gioco; nè è vere che il decidente si sia sottratto all’impegno di dare adeguatamente conto del suo convincimento.

Vale allora il principio per cui, in tema di diffamazione a mezzo stampa, la ricostruzione storica della vicenda, la valutazione del contenuto degli scritti, l’apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell’altrui reputazione e l’esclusione dell’esimente del diritto di cronaca o di critica, appartengono all’area degli accertamenti riservati al giudice di merito, insindacabili in sede di legittimità se, come nella fattispecie, congruamente motivati (Cass. civ. 24 aprile 2008, n. 10636; Cass. civ., 8 agosto 2007, n. 17395).

Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 6.200,00 (di cui Euro 200,00 per spese), oltre IVA e CPA, come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *