Cass. civ. Sez. III, Sent., 21-01-2011, n. 1412 Regolamento delle spese condanna del soccombente

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 19 ottobre – 30 novembre 2005 la Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto confermava sostanzialmente la decisione del 13 novembre 2002 – 26 febbraio 2003 del locale Tribunale che aveva dichiarato – a seguito di composizione transattiva – la cessazione della materia del contendere relativamente alla causa promossa dalla Impresa "Ecologica Lonoce" contro alcuni amministratori e funzionar del Comune di Massafra, in conseguenza del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi e liquidi ematici del macello comunale, prestato dalla attrice, sulla base di precedenti delibere comunali (e non pagato).

Tra i vari convenuti, chiamati in giudizio dalla attrice, vi erano anche i consiglieri comunali S.F. e T. M..

Avverso la decisione del Tribunale la Impresa Ecologica Lonoce proponeva appello in ordine alla condanna al pagamento delle spese nei confronti di alcuni convenuti (tra i quali non erano ricompresi il S. ed il T., per i quali, invece, era stata disposta la compensazione integrale delle spese nei riguardi della attrice).

S. e T. hanno proposto appello incidentale, ribadendo la eccezione di improponibilità della domanda attrice, in quanto non preceduta dalla diffida prevista dal D.P.R. n. 3 del 1957, art. 25 richiamata dalla L. n. 142 del 1990, art. 58.

La Corte d’appello, confermando la cessazione della materia del contendere già dichiarata dal primo giudice, compensava le spese del giudizio tra la attrice e alcuni convenuti (a favore dei quali il primo giudice aveva riconosciuto il favore delle spese).

Rigettava l’appello incidentale del S. e del T., osservando che la eccezione di improponibilità della domanda della attrice era stata da questi proposta tardivamente, per la prima volta in grado di appello. In ogni caso, precisavano i giudici di appello, il richiamo alle norme di legge sopra indicate doveva considerarsi del tutto improprio, poichè il D.P.R. del 1957, art. 25 riconosce al cittadino il potere di diffidare il pubblico funzionario che ometta di compiere atti od operazioni che gli competono.

Nel caso di specie si trattava, più semplicemente, della domanda di un cittadino, in sede giudiziaria, intesa ad ottenere il pagamento di un servizio reso alla pubblica amministrazione e da questa ordinato.

La seconda disposizione richiamata (L. n. 142 del 1990, art. 58) si riferisce, poi, alla responsabilità contabile del funzionario, nella specie mai evocata dai contendenti.

Sottolineano i giudici di appello che S. e T. avevano votato a favore della delibera n. 1103 del 20 giugno 1991 che approvava la proroga del servizio ed assumeva il relativo impegno di spesa, e della L. 4 febbraio 1992, n. 148 con cui veniva ratificata l’ordinanza sindacale di conferimento del servizio alla impresa Ecologica Lonoce.

"A favore di entrambi tali provvedimenti essi avevano votato, così integrando la fattispecie regolata dal più volte citato art. 23".

Avverso tale decisione S. e T. hanno proposto ricorso per cassazione sorretto da due distinti motivi.

Gli intimati non hanno svolto difese.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 142 del 1990, art. 58 in relazione al D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, artt. 22, 23 e 25 il tutto con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La Corte territoriale aveva, erroneamente, ritenuto inammissibile la eccezione di improponibilità della domanda in quanto proposta tardivamente, per la prima volta in appello.

In realtà, S. e T. avevano sollevato tale questione sin dalla comparsa di risposta, ma il Tribunale non si era pronunciato su tale questione, che pertanto era stata riproposta in appello.

Con autonoma "ratio decidendi" gli stessi giudici di appello avevano ritenuto infondato il richiamo al D.P.R. n. 3 del 1957, art. 25 e della L. n. 142 del 1990, art. 58 quest’ultimo in quanto circoscritto alla sola responsabilità contabile.

In realtà l’art. 58 disciplina la responsabilità in senso lato degli amministratori. Pertanto, nel caso in esame, la impresa Ecologica Lonoce avrebbe dovuto diffidare funzionar ed amministratori e solo dopo la scadenza dei termini assegnati nella diffida, avrebbe potuto proporre la domanda.

Il motivo è inammissibile, prima ancora che infondato. Il giudice del merito, nel caso in cui dichiari cessata la materia del contendere, deve delibare il fondamento della domanda per decidere sulle spese secondo il principio della soccombenza virtuale (come correttamente hanno ribadito i giudici di appello nella decisione impugnata).

Peraltro, la decisione, con cui le spese siano compensate in tutto o in parte, costituisce facoltà discrezionale del giudice del merito, insindacabile (in Cassazione quando, a sua giustificazione, non siano enunciati motivi formalmente illogici o giuridicamente erronei.

Secondo un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, in materia di spese giudiziali, il sindacato di legittimità trova ingresso nella sola ipotesi in cui il giudice di merito abbia violato il principio della soccombenza, ponendo le spese a carico della parte risultata totalmente vittoriosa, e ciò vale sia nel caso in cui la controversia venga decisa in ognuno dei suoi aspetti, processuali e di merito, sia nel caso in cui il giudice accerti e dichiari la cessazione della materia del contendere e sia, perciò, chiamato a decidere sul governo delle spese, alla stregua del principio della cosiddetta soccombenza virtuale (Cass. 27 settembre 2002 n. 14023).

Sotto altro profilo, occorre ribadire che il giudice può, in qualsiasi stato e grado del processo, dare atto d’ufficio della cessazione della materia del contendere intervenuta nel corso del giudizio se ne riscontri i presupposti, e cioè se risulti ritualmente acquisita o concordemente ammessa una situazione dalla quale emerga che è venuta meno ogni ragione di contrasto tra le parti, a ciò non ostando la perdurante esistenza di una situazione di conflittualità in ordine alle spese, dovendosi provvedere sulle stesse secondo il principio della soccombenza virtuale. (Cass. 11 gennaio 2006 n. 271).

In questa prospettiva, anche ogni questione circa la proponibilità della domanda (e la necessità di previa diffida) deve considerarsi assorbita, alla luce della considerazioni svolte dai giudici di appello sul merito della vicenda.

Con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza per extrapetizione, in violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4; violazione e falsa applicazione della L. n. 144 del 1989, art. 23 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 111 cost., comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; infine, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

La impresa Ecologica Lonoce, sin dall’atto introduttivo del giudizio, aveva ritenuto responsabili tutti gli amministratori (tra i quali appunto, il S. e il T.) solo per il fatto che questi rivestivano una carica amministrativa, indipendentemente dal fatto che essi avessero commissionato i servizi in questione.

Il primo giudice aveva indicato, a sostegno della propria decisione, il fatto che i precedenti rapporti contrattuali, peraltro per importi ben più modesti, erano stati deliberati dalla Giunta Municipale con il voto dei deducenti. Il Tribunale aveva indicato, fra gli altri, la Delib. n. 732 del 1991 (anche se dal verbale della G.M. gli attuali ricorrenti risultavano assenti).

La Corte d’appello aveva pronunciato la soccombenza virtuale del S. e del T., ritenendoli responsabili sul piano contrattuale.

In tal modo, tuttavia, i giudici di appello avevano modificato la domanda proposta dalla impresa attrice, basata esclusivamente sulla responsabilità oggettiva degli amministratori comunali.

La responsabilità portata dalla L. n. 144 del 1989, art. 23 non può essere fondata su delibere autorizzative di precedenti rapporti, recanti l’assunzione della spesa relativa bensì sul fatto di chi, amministratore o funzionario, ha, senza regolare delibera autorizzativi della spesa, commissionato o consentito l’opera o il servizio.

L’errore compiuto dalla Corte territoriale era stato quello di non considerare che gli amministratori deliberano ma non gestiscono, e di ritenere che la assunzione di una delibera con regolare impegno di spesa comporti la responsabilità degli amministratori non solo per i servizi e le opere deliberati, ma anche per i servizi e le opere successivamente eseguiti dalla stessa ditta, indipendentemente da ogni accertamento, in fatto, dell’affidamento della successiva commessa, per il pagamento del corrispettivo.

In ogni caso, la Corte territoriale non aveva spiegato per quale motivo il S. e il T. dovessero rispondere anche per delibere alla cui approvazione essi non avevano partecipato, in quanto assenti.

Le censure formulate con il secondo motivo sono infondate.

La Corte territoriale ha fatto riferimento a due diverse delibere (148 del 1992 e 1103 del 1991) precisando che entrambi i ricorrenti, presenti alla adunanza, avevano votato a favore della deliberazione adottata dalla Giunta Municipale.

Sulla base di tale accertamento, incensurabile in questa sede, gli stessi giudici di appello sono giunti alla affermazione di responsabilità (sia pure sotto il profilo virtuale e per il carico delle spese) di entrambi gli appellanti incidentali.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato. Nessuna pronuncia in ordine alle spese del giudizio non avendo gli intimati svolto difese in questa sede.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Nessuna pronuncia in ordine alle spese del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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