Cass. civ. Sez. III, Sent., 21-01-2011, n. 1401 Maggior danno

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 23 marzo 1990 il Tribunale di Torino rigettava la domanda di S.F. e A.Q., contitolari dell’agenzia di Cassino della SAI S.p.A., che avevano chiesto la condanna della società al pagamento di provvigioni che asserivano loro contrattualmente dovute.

Con sentenza non definitiva emessa il 9 ottobre 1992, la Corte d’Appello di Torino accoglieva il gravame dei soccombenti dichiarando entro quali limiti essi avevano diritto a percepire le provvigioni (il susseguente ricorso per cassazione della SAI veniva respinto con sentenza in data 9 maggio – 16 agosto 1996), successivamente quantificate con la sentenza definitiva in data 31 ottobre – 19 novembre 1997.

Questa decisione veniva annullata dalla Corte di Cassazione limitatamente alla mancata nomina del C.T.U. e alla esclusione del maggior danno ex art. 1224 c.c..

Infine, con sentenza 1 aprile – 25 luglio 2005, la Corte territoriale, pronunciando in sede di rinvio, condannava la SAI a corrispondere il maggior danno da svalutazione monetaria indicandone il criterio di calcolo.

Il S. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui la Fondiaria – SAI ha resistito mediante controricorso contenente ricorso incidentale.

Anche A. ha proposto ricorso incidentale e anche ad esso la Fondiaria – SAI ha resistito mediante controricorso contenente ricorso incidentale, cui l’ A. a sua volta ha resistito con controricorso.

Originariamente assegnati alla trattazione in camera di consiglio, nell’adunanza del 27 settembre 2007 i ricorsi sono stati rimessi alla pubblica udienza.

L’ A. ha presentato memoria.

Motivi della decisione

Tutti i ricorsi vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

L’avviso di udienza all’unico difensore del S. ha avuto esito negativo poichè dalla relata di notifica risulta che: costui è deceduto. Neppure la successiva comunicazione alla parte personalmente è riuscita poichè, come risulta dalla relativa relata, anche il S. è nel frattempo deceduto.

Ritiene la Corte che non occorra tentare ulteriori notifiche.

L’orientamento risalente (vedi, ad esempio, Cass. n. 10824 del 2004) affermava che, nel giudizio di cassazione, in caso di morte del difensore del ricorrente, presso cui fosse stato eletto domicilio in Roma, senza che la parte avesse provveduto alla sua sostituzione la cancelleria non fosse tenuta ad alcun adempimento.

Questo orientamento è ormai superato in virtù di S.U. 477 del 2006, secondo cui la morte dell’unico difensore, avvenuta dopo il deposito del ricorso e prima dell’udienza di discussione, e attestata dalla relata di notifica dell’avviso di udienza, determina la necessità di rinviare a nuovo ruolo la causa dandone comunicazione alla parte personalmente, onde consentirle di provvedere alla nomina di un nuovo difensore, atteso che tale evento incide negativamente sull’esercizio del diritto di difesa e sull’integrità del contraddittorio, la cui inviolabilità deve essere garantita nel giudizio.

Ma – si è già detto – anche il ricorrente, cui la comunicazione era stata successivamente indirizzata, è deceduto.

E’ noto che, nel giudizio di cassazione, che è dominato dall’impulso d’ufficio, non trova applicazione l’istituto della interruzione del processo per uno degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c., e segg., onde, una volta instauratosi il giudizio, il decesso di uno dei ricorrenti non produce l’interruzione del giudizio (confronta Cass. n. 12967 del 2008).

D’altra parte è già stato autorevolmente affermato (Cass. n. 21133 del 2007) che, nel giudizio di cassazione, la notifica dell’avviso di udienza effettuata agli eredi nel luogo di residenza del ricorrente deceduto, sulla scorta della dichiarazione del difensore del resistente, secondo cui sia la parte sia il difensore erano deceduti, è priva di rilevanza processuale.

Ne consegue che l’unico adempimento teoricamente possibile sarebbe la notificazione dell’avviso presso la cancelleria della Corte. Tuttavia si tratterebbe di un adempimento meramente formale che, da un lato, non assicurerebbe alcuna garanzia sostanziale e, dall’altro lato, ritarderebbe ulteriormente, in spregio al principio costituzionale della ragionevole durata del processo, la decisione di un contenzioso iniziato (con la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado) il 17 gennaio 1983.

Il ricorso principale del S. è infondato. Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. nonchè vizio di motivazione circa la quantificazione delle provvigioni a lui dovute, mentre il secondo motivo lamenta violazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 1226 c.c., nonchè vizio di motivazione con riferimento alla mancata considerazione di elementi utili a dimostrare l’avvenuta distruzione dei registri necessari ad accertare il credito. Le due censure sono connesse e, dunque, consentono esame congiunto.

Il giudice di rinvio, uniformandosi al dictum della sentenza di annullamento, ha disposto consulenza tecnica al fine di quantificare le ulteriori provvigioni eventualmente spettanti al S. (e all’ A.), dando poi atto dell’esito sostanzialmente nullo degli accertamenti. La difficoltà di fornire la prova delle provvigioni maturate, indubbiamente a carico degli agenti, anche se aggravata dal comportamento della controparte per l’asserita dispersione dei necessari registri, non modifica il regime probatorio e non consente di compiere gli accertamenti e i conteggi necessari per addivenire ad una decisione diversa da quella impugnata. La Corte territoriale ha spiegato per quali ragioni non ha fatto ricorso al criterio della liquidazione equitativa.

Il terzo motivo lamenta violazione dell’art. 96 c.p.c. e vizio di motivazione con riferimento alla esclusione della assunta responsabilità aggravata della SAI. Correttamente la Corte territoriale ha affermato che la norma invocata non sanziona l’omessa conservazione di documentazione utile ai fini del giudizio. Infatti (confronta Cass. Sez. 3^, n. 18344 del 2010) l’art. 96 c.p.c. ha il solo scopo di sanzionare l’uso strumentale del processo in vista di scopi diversi da quelli per cui è preordinato, quindi disciplina esclusivamente un fenomeno endo – processuale.

Ne consegue l’infondatezza del ricorso principale.

Inammissibile prima che manifestamente infondato si appalesa anche il ricorso incidentale della SAI, che eccepisce violazione dell’art. 345 c.p.c. assumendo che la controparte ha proposto in appello domande nuove, in considerazione della difformità delle conclusioni definitive rispetto a quelle indicate nell’atto di riassunzione.

La censura è inammissibile per carenza di interesse processuale in quanto la domanda di cui si assume la novità non è stata accolta dalla sentenza impugnata ed è anche infondata poichè in realtà il S. si era limitato a quantificare la pretesa originariamente avanzata.

Il ricorso incidentale dell’ A. è tempestivo (il ricorso principale gli è stato notificato il 6 febbraio 2005; il ricorso incidentale è stato consegnato all’ufficio postale il 17 marzo 2005, entro il termine di giorni quaranta di cui all’art. 371 c.p.c., comma 2), ma manifestamente infondato.

Il primo motivo, che denuncia violazione degli artt. 88 e 116 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, ripropone il tema del comportamento della controparte già censurato dal S. e infondato per le ragioni già indicate. E’ sufficiente aggiungere che l’art. 88 c.p.c. disciplina il comportamento tenuto dalle parti in giudizio ma nella specie non vi sono elementi per affermare che l’asserita distruzione di documenti da parte della SAI sia stata effettuata nel corso del giudizio e/o ai fini del medesimo. In ogni caso la sentenza impugnata ha fatto esplicito riferimento proprio all’art. 88 c.p.c. ai fini delle spese della consulenza tecnica, poste a carico della SAI. Il secondo motivo lamenta il mancato ricorso alla liquidazione equitativa, ma si basa su una domanda (risarcitoria e non compensativa) che assume avere introdotto "in un secondo momento", quindi nuova poichè fondata su diversa causa petendi, e che lamenta non essere stata esaminata dalla Corte di Appello, senza però riportarne il testo integrale, così violando il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione. Anche al riguardo valgono le argomentazioni addotte in punto di liquidazione equitativa in risposta all’analoga censura del S..

Il terzo motivo (violazione degli artt. 88 e 96 c.p.c.) in tema di lite temeraria ripropone l’analogo motivo del S. ed è infondato per le stesse ragioni.

Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 1224 c.c. con riferimento alla decorrenza del calcolo del maggior danno da svalutazione monetaria, che indica nel momento di interruzione del contratto di agenzia.

La censura è inammissibile poichè la determinazione dell’epoca di maturazione di un credito implica accertamenti di fatto non consentiti in sede di legittimità.

Con riferimento alla memoria ex art. 378 c.p.c. è agevole rilevare ancora che il ricorso alla liquidazione equitativa non esonera il danneggiato dall’offrire elementi concretamente utili per addivenire ad una liquidazione che sia, appunto, equitativa e non meramente arbitraria.

Il ricorso incidentale della SAI riproduce quello proposto dalla medesima nei confronti del S. e, quindi, risulta infondato per le stesse ragioni.

In definitiva, i quattro ricorsi vanno rigettati; l’esito del giudizio consiglia la compensazione integrale delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta. Spese compensate.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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