T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 05-01-2011, n. 10 Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Espone la ricorrente di avere richiesto alla Questura di Firenze in data 30 luglio 2007 il rilascio del nulla osta per l’acquisto e la detenzione di armi ai sensi dell’art. 35 del TU delle leggi di pubblica sicurezza e ciò al fine di ottenere la restituzione di un fucile da caccia e di un revolver in precedenza appartenuti prima al nonno e poi alla madre, entrambi deceduti.

A seguito dell’istruttoria compiuta dall’Amministrazione dalla quale è emerso che a carico dell’interessata sussistevano segnalazioni di denunce per i reati di cui agli artt. 660, 582, 624, 614 e 392 del cod. pen,, l’istanza in parola è stata respinta con il provvedimento in epigrafe.

Contro tale atto ricorre la sig.ra R. chiedendone l’annullamento, con vittoria di spese e deducendo i motivi che seguono:

– Violazione dei principi desumibili dagli artt. 3 e 97 della Costituzione. Violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 11 e 35 del r.d. n. 773/1931. Eccesso di potere per carenza di presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione. Eccesso di potere per irragionevolezza e illogicità manifesta.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata opponendosi all’accoglimento del gravame.

Alla pubblica udienza del 22 dicembre 2010 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

Motivi della decisione

Con il ricorso in esame viene impugnato l’atto in epigrafe con cui la Questura della Provincia di Firenze ha respinto l’istanza della ricorrente volta al rilascio del nulla osta per la detenzione di armi.

Con un unico articolato motivo la ricorrente lamenta che la Questura non abbia correttamente valutato la sussistenza dei requisiti della buona condotta e dell’affidabilità e ciò sulla base di mere segnalazioni all’Autorità di P.S. per comportamenti riconducibili ai reati di cui in narrativa. Così operando l’Amministrazione avrebbe violato i canoni della ragionevolezza e della logicità alla quale deve essere ispirato il pur ampiamente discrezionale potere di cui è titolare in materia, non avendo, peraltro, provveduto ad un’autonoma valutazione dei fatti, come sarebbe stato necessario secondo quanto più volte ribadito dalla giurisprudenza.

La tesi non può essere condivisa.

Preliminarmente, occorre rammentare che, nell’ordinamento vigente, non sono previste e tutelate posizioni di diritto soggettivo con riguardo alla detenzione e al porto di armi, costituendo anzi tali situazioni delle eccezioni a preciso divieto previsto dall’art. 699 cod. pen. e dall’ art. 4, comma 1, della l. n. 110/1975 e perciò circondate di particolari cautele.

Ne discende che l’Autorità di pubblica sicurezza è titolare di un potere ampiamente discrezionale in ordine al rilascio, al diniego o alla revoca delle relative autorizzazioni, dovendo essa valutare le particolari condizioni soggettive che sorreggono la licenza di porto di armi per difesa personale comparandole con le esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, al rispetto delle quali è essa stessa preposta (T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 12 gennaio 2009, n. 27).

Dispone in proposito l’art. 39 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 che "Il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell’articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne".

Con il provvedimento impugnato il Questore di Firenze ha ritenuto, sulla base di una circostanziata relazione della Stazione dei Carabinieri di Grassina, che la ricorrente non riunisse in sé quei presupposti di completa affidabilità necessari per il rilascio dell’autorizzazione richiesta.

Infatti, dagli atti del procedimento risulta che la deducente è indagata dalla Procura della Repubblica di Firenze per i reati di cui agli artt. 660 (molestie), 582 (lesioni personali), 614 (violazione di domicilio) e 624 (furto) con decreto di citazione in giudizio per l’udienza del 22 ottobre 2007. Né la ricorrente ha inteso precisare nelle sue successive difese l’esito di tale giudizio.

Pare evidente che, nella fattispecie, nell’ambito dell’ampia discrezionalità riconosciutale, l’Amministrazione abbia correttamente utilizzato il potere conferitole dalla legge, atteso che i reati contestati alla ricorrente costituiscono motivo sufficiente ad evidenziare nei suoi confronti l’assenza di quella perfetta e completa sicurezza circa il buon godimento ed uso delle armi tali da scongiurare ogni perplessità sotto il profilo della tutela dell’ordine pubblico e della civile convivenza della collettività (Cons. Stato, IV sez., 19 marzo 2003, n. 1466).

Infatti, in forza degli art. 11 e 43 r.d. 18 giugno 1931 n. 773, le autorizzazioni di polizia non possono essere rilasciate "a chi non può provare la sua buona condotta" e "a chi non dà affidamento di non abusarne", costituendo questi due requisiti l’esito di un giudizio sinteticovalutativo che deve investire nel complesso la condotta di vita del soggetto interessato, con riguardo all’osservanza sia delle comuni regole di convivenza sociale che di quelle tradotte in precetti giuridici a salvaguardia dei valori fondamentali dell’ordinamento.

Correlativamente, in ordine all’apprezzamento di affidabilità del soggetto interessato in ordine al giudizio prognostico circa la possibilità che egli ne abusi eseguita dall’Amministrazione, il giudice amministrativo è titolare di un sindacato sul vizio di eccesso di potere limitato alla valutazione della congruità e della logicità della motivazione. (cfr., ex multis, Cons. Stato sez. VI, 18 dicembre 2007, n. 6528).

Nel caso di specie non può, quindi, affermarsi, come vorrebbe la ricorrente, che di tale potere l’Amministrazione abbia fatto un uso scorretto, violando i limiti delineati dagli artt. 10, 11 e 43 del TULPS, tenuto conto che nella sua valutazione l’Amministrazione non è vincolata dal riscontro dell’effettiva commissione di reati da parte del richiedente, potendo, al fine di cui trattasi, essere sufficiente la valutazione del comportamento complessivo dell’interessato quale è dato evincere da qualunque elemento di conoscenza a disposizione dell’Autorità.

Per le considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza come da liquidazione fattane in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano forfettariamente in Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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