Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-10-2010) 05-01-2011, n. 173

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con ordinanza in data 6 aprile 2010 il Tribunale di Firenze confermava in sede di riesame l’ordinanza emessa il 11 marzo 2010 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Livorno con la quale era stata disposta l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di S.D., S. V. e S.C. in ordine al reato di usura continuata commesso – in concorso tra loro e con D.S.R. e D. S.V. – ai danni di Sp.Do., in (OMISSIS).

Avverso la predetta ordinanza S.D., S.V. e S.C. hanno proposto, tramite il loro difensore, ricorso per cassazione. Con il ricorso si deduce:

1) l’inosservanza od erronea applicazione di norme processuali (art. 309 c.p.p., comma 5 e art. 10 c.p.p.) in relazione alla mancata trasmissione al Tribunale del riesame di due pagine (ff. 367 e 368) di uno dei sei verbali relativi alle sommarie informazioni rese dalla persona offesa Sp.Do., in particolare del verbale in data (OMISSIS), con conseguente pregiudizio per la difesa che non sarebbe stata posta in grado di verificare nella loro interezza gli elementi posti a base dell’ordinanza di custodia cautelare (lo Sp. aveva, tra l’altro, riconosciuto nella fotografia che ritraeva D.S.R. con i due creditori arrivati da (OMISSIS) un certo " M.", identificato in S.D., che gli era stato presentato dal D.S. nell'(OMISSIS) come un rivenditore di mattonelle cui avrebbe potuto rivolgersi per i suoi problemi finanziari);

2) l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 110 c.p., non avendo il Tribunale del riesame indicato gli elementi concreti dai quali ha tratto il convincimento della consapevolezza dei ricorrenti di partecipare alla condotta usuraia ed estorsiva del D.S., poichè il loro coinvolgimento nell’attività delittuosa era stato desunto unicamente dalla presenza di S.D. e del figlio V. (per solo due ore) nell'(OMISSIS), dal precedente breve soggiorno nell’isola di S.D. e della moglie il (OMISSIS), dalla coincidenza temporale di talune telefonate tra lo Sp., il D.S. e i S.;

3) l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 6 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, con riferimento alla pretesa inutilizzabilità delle registrazioni delle conversazioni fatte "su impulso e con la collaborazione della polizia giudiziaria", dalla persona offesa Sp. all’insaputa del suo interlocutore D.S.R., registrazioni acquisite secondo i ricorrenti in violazione della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e poste a fondamento del provvedimento cautelare unitamente alle intercettazioni telefoniche e alle dichiarazioni della stessa persona offesa Sp.; pur rammentando i principi stabiliti dalle Sezioni Unite di questa Corte in materia di registrazione occulta di un colloquio (tra presenti o mediante strumenti di trasmissione) da parte di un soggetto che vi partecipi o comunque assista, la difesa dei ricorrenti sostiene che la situazione normativa processuale e sostanziale italiana è speculare alla disciplina penale francese sanzionata dalla Corte europea nelle decisioni della CEDU A. c. Francia del 23 novembre 1993 (la Corte aveva ravvisato un’ingerenza nella vita privata dell’interlocutore ignaro della registrazione ed aveva ritenuto l’ingerenza attribuibile allo Stato francese, stante la partecipazione di un ufficiale di polizia giudiziaria alla registrazione) e M.M. c. Paesi Bassi dell’8 aprile 2003 (la Corte aveva parificato le registrazioni di conversazioni ad opera dei privati alle intercettazioni della polizia, richiedendo per le prime le stesse garanzie e un’espressa disciplina legale); nel caso in esame le registrazioni effettuate dalla persona offesa Sp. costituirebbero quindi un’ingerenza riferibile alle autorità giudiziarie italiane, priva èdell’"adeguata" base legale richiesta dall’art. 8, p.2 della Convenzione "non essendo prevista con la necessaria chiarezza la possibilità di questo tipo di ingerenza nella vita privata di un individuo nè, soprattutto, l’ampiezza e le modalità del potere discrezionale dei giudici in tale campo" (nel ricorso vengono citati, a sostegno dell’assunto difensivo, ulteriori provvedimenti della Corte europea: Wisse C. Francia 20 dicembre 2005 e Dumitru Popescu c. Romania del 26 aprile 2007).

I ricorrenti chiedono, pertanto, "previo accesso al verbale di sommarie informazioni testimoniali rese da Sp.Do. il (OMISSIS) e alla memoria depositata all’udienza camerale", l’annullamento del provvedimento impugnato.

Il primo motivo è generico, oltre che manifestamente infondato.

Infatti la difesa dei ricorrenti – come risulta dal verbale dell’udienza camerale svoltasi il 6 aprile 2010 – si è limitata davanti al Tribunale del riesame a "portare a conoscenza del Tribunale che mancano le pagine da 366 a 369 del verbale di s.i.t. rese da Sp.", senza nulla dedurre (nemmeno nella memoria difensiva) quanto all’asserita omissione di trasmissione degli atti, tesi sostenuta nel ricorso ma palesemente infondata in quanto l’assenza di appena due pagine (nel ricorso si fa riferimento alle pagine 367 e 368) nell’ambito del copioso materiale documentale trasmesso al giudice del riesame sarebbe, se effettivamente sussistente (gli atti trasmessi a questa Corte non consentono di verificarlo), effetto di un mero errore materiale e non di una totale e consapevole omissione da parte del giudice a qua. Peraltro, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. 1 30 ottobre 1996 n. 5670, Dashamir; sez. 4 17 novembre 2005 n. 8114, Omodasun; Sez. Un. 29 maggio 2008 n. 25932, Ivanov), la perdita di efficacia della misura cautelare – prevista dall’art. 309 c.p.p., comma 10 per il caso di mancata tempestiva trasmissione al tribunale del riesame degli atti a suo tempo presentati dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 291 c.p.p. comma 1 e sui quali il giudice per le indagini preliminari ha fondato l’ordinanza coercitiva – non si verifica per il solo fatto che si sia dato luogo ad una trasmissione soltanto parziale degli atti summenzionati. Non emerge comunque dal ricorso che quanto riferito dalla persona offesa nelle pagine mancanti sia stato posto specificamente a fondamento dell’ordinanza di applicazione della misura cautelare, che trova adeguata e completa motivazione in una serie di convergenti elementi di responsabilità (non solo le dichiarazioni della persona offesa, compendiate in ben sei verbali tra cui quello asseritamente mancante di due pagine, ma anche i servizi di osservazione predisposti dalla polizia giudiziaria, le intercettazioni telefoniche ed ambientali, le registrazioni fonografiche eseguite dalla persona offesa e la documentazione dalla stessa consegnata ai Carabinieri). La parte che deduce la violazione dell’obbligo di trasmissione previsto dall’art. 309 c.p.p., comma 5 ha invece l’onere di indicare specificamente i dati sostanziali decisivi che siano stati sottratti al controllo del tribunale del riesame il quale, attraverso la cd. prova di resistenza, dovrà apprezzare la rilevanza, ai fini della correttezza e della legittimità della decisione cautelare, degli elementi non trasmessi (Cass. sez. 6 1 ottobre 2003 n. 49129, Semeraro; sez. 2 27 febbraio 2007 n. 15077, Toffolo).

Con il secondo motivo i ricorrenti tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale indiziario rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito. Infatti i ricorrenti formulano censure di merito improponibili in sede di legittimità, prospettando sostanzialmente una rilettura in fatto degli elementi indiziari già presi in considerazione e analiticamente valutati nella loro complessiva gravità dal tribunale del riesame, che ha adeguatamente giustificato le conclusioni circa la sussistenza della gravità indiziaria attraverso una puntuale valutazione delle emergenze investigative e una motivazione coerente e lineare, conforme ai principi di diritto che governano le risultanze probatorie ed esente da contraddizioni e manifeste illogicità (Cass. Sez. Un. 22 marzo 2000 n. 11, Audino; sez. 4 3 maggio 2007 n. 22500, Terranova). Va ribadito, infatti, che il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro lato, la valenza sintomatica degli indizi senza coinvolgere il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. (Cass. Sez. Un. 30 aprile 1997 n. 6402, Dessimone; sez. 1 20 marzo 1998 n. 1700, Barbaro). In sede di ricorso proposto ai sensi dell’art. 311 c.p.p., comma 2 la motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva è, pertanto, censurabile solo quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l’applicazione della misura (Cass. sez. 1 7 dicembre 1999 n. 6972, Alberti). Nell’ordinanza impugnata vengono invece puntualmente posti in evidenza – attraverso un’organica e consequenziale ricostruzione degli indizi emersi dal susseguirsi dei contatti telefonici intercettati,specificamente indicati, e degli incontri personali tra i D.S., padre e figlio, e i S., incontri seguiti o preceduti da urgenti colloqui tra D.S. R. e la persona offesa Sp. – i plurimi e convergenti elementi che consentivano di identificare nei tre ricorrenti gli effettivi fornitori "(OMISSIS)" del denaro utilizzato da D. S.R. per erogare prestiti usurari allo Sp..

Il terzo motivo è infondato.

Questa Corte ha più volte affermato che le registrazioni di conversazioni tra presenti, compiute di propria iniziativa da uno degli interlocutori, non necessitano dell’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, ai sensi dell’art. 267 c.p.p., in quanto non rientrano nel concetto di intercettazione in senso tecnico, ma costituiscono una particolare forma di documentazione che non è sottoposta alle limitazioni ed alle formalità proprie delle intercettazioni (Cass. sez. 6 10 aprile 1996 n. 6323, Bordon; sez. 1 14 aprile 1999, Iacovone; sez. 1 14 febbraio 1994, Pino; sez. 6 8 aprile 1994, Giannola; sez. 4 4 ottobre 2007 n. 40332, Picillo; sez. 6 24 febbraio 2009 n. 16986, Abis; sez. 1 10 dicembre 2009 n. 6297, Pesacane). Le Sezioni Unite (Cass. Sez. Un. 28 maggio 2003 n. 36747, Torcasio) hanno inoltre puntualizzato che, in caso di registrazione di una conversazione ad opera di una delle persone che vi partecipi attivamente o che sia comunque ammessa a presenziare, difettano la compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione, il cui contenuto viene legittimamente appreso soltanto da chi palesemente vi partecipa o vi assiste, e la "terzietà" del captante.

Le Sezioni Unite hanno sostanzialmente riconosciuto che con la registrazione il soggetto interessato non fa altro che memorizzare fonicamente le notizie lecitamente apprese dall’altro interlocutore e che, pertanto, l’acquisizione al processo della registrazione del colloquio può legittimamente avvenire (salvi gli eventuali divieti di divulgazione del contenuto della comunicazione che si fondino sul suo specifico oggetto o sulla qualità rivestita dalla persona che vi partecipa) attraverso il meccanismo previsto dall’art. 234 c.p.p., comma 1, che qualifica documento tutto ciò che rappresenta fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo. Infatti la registrazione documenta il fatto costituito dalle dichiarazioni "salva ovviamente ogni valutazione circa la genuinità del documento, la fedeltà della riproduzione e la veridicità delle dichiarazioni di scienza così come registrate". Con la citata sentenza n. 36747 del 2003 le Sezioni Unite hanno tuttavia affermato anche l’inutilizzabilità come prova della registrazione fonografica effettuata clandestinamente da personale di polizia giudiziaria, poichè verrebbero aggirati i divieti dell’art. 63 c.p.p., comma 2, art. 191 c.p.p., art. 195 c.p.p., comma 4 e art. 203 c.p.p.. Quanto al caso in cui la registrazione sia eseguita da un privato, su indicazione della polizia giudiziaria ed avvalendosi di strumenti da questa predisposti, la giurisprudenza di questa Corte non è univoca. In alcune sentenze si sono infatti escluse sostanziali differenze tra la fonoregistrazione effettuata d’iniziativa del privato con apparato nella sua diretta disponibilità e quella ottenuta d’intesa con gli inquirenti e con apparecchi fornito dagli stessi (Cass. sez. 4 11 giugno 1998 n. 8759, Cabrini; sez. 2 5 novembre 2002 n. 42486, Modelfino), mentre prevalentemente, con sentenze anche recenti, la Corte ha ritenuto l’inutilizzabilità di registrazioni di conversazioni effettuate, senza l’autorizzazione del giudice, da uno degli interlocutori dotato di strumenti di captazione predisposti dalla polizia giudiziaria, poichè in tal modo si verrebbe a realizzare un surrettizio aggiramento delle regole che impongono il ricorso a strumenti tipici per comprimere il bene costituzionalmente protetto della segretezza delle comunicazioni (Cass. sez. 1 13 gennaio 1999 n. 3458. Di Cuonzo; sez. 6 20 novembre 2000 n. 3846, Finini; sez. 6 6 novembre 2008 n. 44128, Napolitano; sez. 6 7 aprile 2010 n. 23742, Angelini). Un ulteriore chiarimento, in una materia che presenta indubbiamente aspetti problematici, è contenuto nella sentenza delle Sezioni Unite 28 marzo 2006 n. 26795, ric. Prisco, che ha distinto tra "documento" e "atto del procedimento" chiarendo, sulla base della relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, che le norme sull’acquisizione della prova documentale (art. 234 c.p.p.) sono state concepite e formulate con esclusivo riferimento ai documenti formati fuori (anche se non necessariamente prima) e, comunque, non in vista e in funzione del processo nel quale si chiede o si dispone che essi facciano ingresso.

Soltanto le registrazioni effettuate fuori dal procedimento possono quindi essere introdotte nel processo come documenti e diventare una prova documentale, mentre quelle effettuate dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini costituiscono "documentazione dell’attività investigativa" e sono suscettibili di utilizzazione processuale solo se riconducibili a un’altra categoria probatoria (in particolare, per le videoriprese che costituivano l’oggetto specifico della pronuncia delle Sezioni Unite, quella delle cd. prove atipiche previste dall’art. 189 c.p.p.). La Corte Costituzionale nella sentenza n. 320 del 2009, sentenza di inammissibilità, ha infine evidenziato la rilevanza del principio affermato dalle Sezioni Unite, nella suindicata sentenza n. 26795 del 2006, allo scopo di stabilire se la registrazione di conversazioni, telefoniche o tra presenti, effettuata occultamente da uno degli interlocutori o da altro soggetto ammesso ad assistervi possa essere ritenuta mero "documento" e come tale non assoggettabile all’autorizzazione del giudice.

Ciò premesso, va rilevato che nel caso in esame – come si desume da una lettura congiunta dell’ordinanza applicativa della misura cautelare e di quella che decide sulla richiesta di riesame, che sono tra loro strettamente collegate e complementari (Cass. Sez. Un. 17 aprile 1996 n. 7, Monile registrazioni dei colloqui tra la persona offesa e D.S.R. risultano essere state eseguite non su richiesta della polizia giudiziaria o d’intesa con la stessa, ma nell’ambito di una spontanea attività di collaborazione con i Carabinieri di Sp.Do. il quale, dopo l’iniziale denuncia delle intimidazioni ricevute per il mancato pagamento di debiti usurari contratti con D.S.R. e non meglio identificati conoscenti napoletani di quest’ultimo, teneva informati i militari "del giorno e del luogo di tutti gli incontri che … via via intratteneva con i suoi creditori ed a cui si presentava con un registratore occultato in tasca, i cui files venivano subito dopo consegnati agli inquirenti" (ff. 4-5 ordinanza custodiale). Inoltre risulta inequivocabilmente dall’ordinanza di applicazione della misura cautelare (f. 46) che lo Sp. non realizzò le registrazioni avvalendosi di apparecchiatura fornita dalla polizia giudiziaria, ma con mezzi propri ("… con propria apparecchiatura dalla stessa persona offesa presente e partecipe ai dialoghi, le cui bobine sono state poi consegnate agli inquirenti …"), scegliendo autonomamente di consegnare i relativi supporti fonografici ai Carabinieri i quali, pur avendo organizzato nella maggior parte dei casi servizi di appostamento e controllo per "monitorare" gli incontri, non avevano partecipato in alcun modo alle operazioni tecniche di registrazione. Deve pertanto escludersi che la persona offesa abbia proceduto alla captazione delle conversazioni d’intesa e con l’assistenza della polizia giudiziaria e, di conseguenza, che vi sia stata la violazione dell’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza e al p.2 prescrive che "non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui), come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Non sussiste infatti nel caso di specie, per quanto sopra detto, un’ "ingerenza" del tipo di quella sanzionata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella decisione A. c. Francia del 23 novembre 1993, relativa (come si legge nel ricorso) ad un’ingerenza attribuibile allo Stato francese "stante la partecipazione di un ufficiale di polizia giudiziaria all’effettuazione della registrazione in questione". Nemmeno gli altri provvedimenti della Corte europea dei diritti dell’uomo citate nel ricorso (M.M. c. Paesi Bassi dell’8 aprile 2003, Wisse c. Francia 20 dicembre 2005 e Popescu c. Romania del 26 aprile 2007), in cui è stata ravvisata la violazione dell’art. 8, p.2 della Convenzione in presenza di "ingerenza priva di adeguata base legale", sono assimilabili alla fattispecie in esame, poichè riguardano casi di uso investigativo dello strumento di captazione trattandosi di registrazioni alla cui realizzazione gli organi pubblici investigativi avevano concretamente collaborato mettendo a disposizione i mezzi nel contesto di un’indagine ufficiale, senza che l’attività risultasse regolata nell’ordinamento dello Stato interessato da una specifica normativa.

Va osservato, peraltro, che i ricorrenti non hanno indicato se e per quali ragioni il contenuto delle conversazioni registrate, di cui si sostiene l’inutilizzabilità, debba considerarsi decisivo ai fini dell’emissione dell’ordinanza applicativa della misura cautelare. La Corte rileva che le ulteriori risultanze investigative ampiamente descritte nell’ordinanza custodiate e sintetizzate nell’ordinanza impugnata (dichiarazioni rese dalla persona offesa ai Carabinieri circa i debiti usurari contratti e il tenore delle conversazioni con il D.S.; documentazione comprovante i rapporti usurari;

servizi di osservazione e controllo predisposti dai Carabinieri in ordine agli incontri tra Sp.Do. e i due D.S. e tra questi ultimi e S.; intercettazione ambientale in data (OMISSIS) e intercettazioni telefoniche, debitamente autorizzate, coinvolgenti anche S.C.) costituivano, indipendentemente dai colloqui registrati personalmente dallo Sp., un insieme di elementi singolarmente e complessivamente rilevanti e tali da giustificare ampiamente l’affermata gravità indiziaria a carico dei ricorrenti.

Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

A norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter copia del presente provvedimento va trasmesso al Direttore dell’istituto penitenziario in cui i ricorrenti sono ristretti.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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