Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 17-12-2010) 10-01-2011, n. 254 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. S.S. e C.Y. ricorrono contro la sentenza della Corte d’appello di Bologna che li ha dichiarati colpevoli del delitto di illecita detenzione di kg. 38,6 di hashish, contenente principio attivo nella percentuale media del 9%, idoneo al confezionamento di 137.255 dosi medie giornaliere, con l’aggravante dell’ingente quantità.

Denunciano:

1. erronea applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, e vizio di motivazione, lamentando che la Corte territoriale si sarebbe limitata a valutare il dato ponderale, senza considerare la qualità della sostanza sequestrata, la bassa percentuale di principio attivo, l’elevata capacità di assorbimento del mercato modenese;

2. vizio di motivazione in ordine alla consapevolezza della sussistenza della cennata aggravante, desunta dalla massima di esperienza secondo cui un prezioso quantitativo di stupefacente non si affida a persona che non sia informata del valore del carico trasportato.

Con motivo aggiunto segnalano che questa Corte, sesta sezione penale, con sentenza del 26.5.2010 n. 20119 ha specificato che non possono di regola definirsi "ingenti" quantitativi di droghe "leggere" (in particolare, hashish e marijuana) che, in considerazione di una percentuale media di principio attivo, non superino i cinquanta kilogrammi. Chiedono quindi l’annullamento della sentenza impugnata.

2. I ricorsi sono privi di fondamento.

La sentenza impugnata, nel valutare come ingente la quantità di sostanza stupefacente di cui all’imputazione si è attenuta ai criteri interpretativi suggeriti dalla prevalente giurisprudenza di legittimità – richiamati anche dalla sentenza 2.3.2010 n. 20119 citata dalla difesa – secondo cui, per apprezzare la configurabilità della circostanza aggravante prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, , "ciò che conta è il numero dei fruitori finali più che l’area territoriale ove essi insistono. Infatti, mentre il riferimento all’ambito territoriale, come metro di valutazione, ha un senso molto limitato, giacchè il mercato della droga ha caratteri globali e normalmente non riceve significativi connotati da una determinata area territoriale, per converso la nozione di quantità ingente esprime semanticamente un significato aggettivo: è quindi il valore ponderale che, considerato in relazione alla qualità della sostanza e specificato in ragione del grado di purezza, può definirsi tale nel senso di una sua eccezionale dimensione delle dosi singole aventi effetti stupefacenti rispetto alle transazioni del mercato clandestino".

Nel caso concreto, la Corte di merito ha osservato che il buon grado di purezza della sostanza sequestrata permetteva di confezionare ben 137.255 dosi medie singole, le quali rappresentavano una quantità in grado di soddisfare un numero assai elevato di consumatori con correlativo gravissimo pericolo per la salute pubblica e, su questa base, seguendo un corretto iter logico, ha ritenuto di qualificare come ingente la quantità sequestrata.

E’ ben vero che la sentenza segnalata dalla difesa indica come discrimine per la sussistenza dell’aggravante in discorso, nel caso si tratti di hashish, il peso di almeno cinquanta kilogrammi, ma dalla lettura del testo della sentenza risulta che il predetto valore ponderale non è di per sè solo risolutivo, ma rappresenta un criterio orientativo, privo di valore assoluto, in quanto riferito al peso lordo della sostanza e non al peso netto del principio attivo contenutovi, che, solo esso, esprime la vera quantità e l’effettiva pericolosità della sostanza stupefacente in considerazione. E poichè la sentenza impugnata, per apprezzare la sussistenza dell’aggravante, ha utilizzato i valori del principio attivo presente nella sostanza sequestrata, la decisione sul punto è immune da censura.

Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, perchè chiede a questo giudice di legittimità di sindacare la massima di esperienza utilizzata dalla Corte d’appello per valutare la condotta tenuta dai ricorrenti, il che si risolverebbe in un’incursione, non consentita, nel merito della causa.

I ricorsi devono dunque essere rigettati con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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