Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 17-12-2010) 10-01-2011, n. 252 Impugnazioni del difensore dell’imputato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. Con sentenza del 19 marzo 2002 la Corte di Cassazione annullava la sentenza della Corte di assise d’appello di Milano del 17.2.2000 nei confronti di A.P. limitatamente alla pena di anni sedici di reclusione e L. 180 milioni di multa (pena base a. 8 e L. 60 milioni) inflitta per il delitto continuato di detenzione illecita di sostanze stupefacenti (eroina), aggravato dall’ingente quantità e dal numero delle persone che concorsero nel fatto (capo 52), censurando che era stata applicata la sanzione prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990 benchè non fosse provato che i fatti si erano protratti oltre la vigenza della legge preesistente.

Con sentenza del 26 marzo 2004 la Corte di assise d’appello di Milano, giudicando sul rinvio, accertato che la consumazione del delitto era cessata nel luglio 2000, applicava come norma penale più favorevole la sanzione prevista dalla L. n. 685 del 1975 e rideterminava la pena in anni tredici di reclusione e L. 100 milioni di multa, partendo dalla pena base di anni sette e L. 50 ml.

La Corte di Cassazione, con sentenza del 17 novembre 2004, accogliendo il ricorso dell’imputato, annullava l’anzidetta decisione, osservando che la precedente sentenza di annullamento del 19.3.2002 "aveva censurato la decisione annullata limitatamente alla mancata applicazione della legge più favorevole. Pertanto si era formato il giudicato in relazione a ogni altro punto del deciso non avente connessione essenziale con la parte annullata, compreso il punto concernente il criterio di determinazione della pena base che la sentenza annullata aveva fissalo nel minimo edittale. Pertanto il giudice del rinvio, nel determinare la pena, seppure in relazione al trattamento sanzionatorio più favorevole previsto dalla legge ritenuta applicabile al caso di specie, non poteva discostarsi dal criterio di determinazione della pena che la sentenza annullata aveva posto a base del calcolo".

Ebbene la Corte milanese, con sentenza del 10 dicembre 2008, giudicando sul rinvio, infliggeva ad A.P.la pena di anni cinque di reclusione e L. 8 milioni di multa, così calcolata: pena base anni quattro e L. 6 ml, aumentata della metà per l’ingente quantità (a. 2 e L. 3 ml), di un anno e L. 1 ml per la seconda aggravante e di mesi sei e L. 2 ml per la continuazione e, quindi, pena finale di a. 7 m. 6 e L. 12 ml, ridotta per il rito abbreviato ad anni cinque di reclusione e L. 8 milioni di multa.

Contro detta sentenza ricorre l’imputato il quale denuncia:

1. erronea applicazione dell’art. 63 c.p., comma 4, e mancanza di motivazione, perchè è stato erroneamente computato l’aumento di pena di un anno di reclusione e lire un milione di multa per la circostanza aggravante del numero delle persone, che, essendo meno grave dell’aggravante dell’ingente quantità, doveva essere in quella assorbita oppure poteva comportare un aumento discrezionale di pena purchè sorretto da idonea giustificazione;

2. violazione del principio di diritto fissato dalla sentenza di annullamento pronunciata il 17.11.2004, per avere la Corte territoriale applicato per la circostanza aggravante del numero delle persone e per la continuazione aumenti di pena superiori ai "minimi codicistici". 2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, perchè solleva una questione nuova che avrebbe dovuto formare oggetto dei motivi d’appello o al più del ricorso per Cassazione presentato contro la sentenza di condanna del 17.2.2000, motivo che oggi non è più proponibile dato che sul punto si è formato il giudicato fin dalla data di pronuncia della sentenza di Cassazione del 19.3.2002 che annullò con rinvio l’anzidetta sentenza di condanna limitatamente alla pena, che era stata determinata ai sensi del D.P.R. n. 306 del 1990 "benchè non fosse stato provato che i fatti si fossero protratti oltre la vigenza della legge preesistente", senza rilevare errori – peraltro neppure dedotti – nell’applicazione delle disposizioni sul concorso di circostanze aggravanti speciali.

3. E’ invece parzialmente fondato il secondo motivo di ricorso.

La sentenza di annullamento del 17 novembre 2004, accogliendo il motivo con cui A.P. lamentava che il giudice del rinvio, nel determinare la pena ai sensi della L. n. 685 del 1975, non aveva irrogato – così come aveva fatto la sentenza annullata emessa dalla Corte di assise d’appello di Milano il 17.2.2000 – il minimo edittale (quattro anni di reclusione) ma una pena superiore (sette anni di reclusione), osservava che il precedente annullamento, essendo circoscritto alla mancata applicazione della norma sanzionatoria più favorevole, aveva determinato il passaggio in giudicato di ogni altro punto deciso e, quindi, anche del criterio di determinazione della pena base, con la conseguenza che "il giudice del rinvio, nel determinare la pena, seppure in relazione al trattamento sanzionatorio più favorevole previsto dalla legge ritenuta applicabile al caso di specie, non poteva discostarsi dal criterio di determinazione della pena che la sentenza annullata aveva posto a base del calcolo". E concludeva: "Consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al giudice di merito che dovrà rideterminare la pena come prevista dalla legge più favorevole, partendo dal minimo edittale".

La sentenza di annullamento ha dunque stabilito che il giudice di rinvio non poteva discostarsi dai criteri di determinazione della pena fissati dalla prima sentenza d’appello, aggravando il trattamento sanzionatorio. Ciò in base ai principi convergenti dell’obbligo di osservanza del giudicato e del divieto di reformatio in peius. Quest’ultimo divieto, pur essendo specificamente previsto per il grado d’appello, costituisce un principio generale applicabile anche al giudizio di rinvio, che si configura come una fase ulteriore del precedente giudizio d’appello, siccome diretto a completare la sentenza annullata nei punti definiti dal giudice di legittimità.

Va poi rammentato che, in materia di calcolo della pena, il divieto di reformatio in peius non riguarda soltanto il risultato finale, ma anche, singolarmente, tutti gli elementi che concorrono a determinarlo (v. Sezioni Unite, 27.9.2005 n. 40910, William Morales, rv 232066).

Al riguardo occorre soffermarsi sul rapporto di interdipendenza che lega la pena base agli altri componenti della catena che concorrono a determinare il risultato finale e, in particolare, sul fatto che, fissata la pena base, il valore di ogni componente è calcolato su quello del componente precedente di talchè ogni variazione a monte si ripercuote necessariamente sui valori a valle. Ne consegue che, in caso di accoglimento dell’appello dell’imputato in ordine all’entità della pena base, non è obbligatoria soltanto la diminuzione della pena base, ma anche, proporzionalmente, delle quantità di pena corrispondenti alle aggravanti e alla continuazione, che, in quanto calcolate sulla pena base, per l’intrinseca interdipendenza, ne subiscono necessariamente i riflessi. Invero, se gli aumenti stabiliti a titolo di aggravante e/o di continuazione non venissero proporzionalmente ridotti, risulterebbe violato il divieto di reformatio in peius, perchè, essendo stati commisurati a un dato di partenza più elevato, ove fossero tenuti fermi nel loro valore assoluto, risulterebbero sproporzionati per eccesso rispetto al nuovo parametro di base.

Ciò significa che l’intangibilità del giudicato e il divieto della reformatio in peius, nel caso in cui la pena inflitta, per il concorso di circostanze attenuanti o aggravanti o per il riconoscimento della continuazione, sia il risultato di operazioni di addizione e/o sottrazione dei valori corrispondenti a ciascun componente, impongono che sia rispettato non solo il criterio di determinazione della pena base, ma anche i criteri aritmetici secondo cui furono calcolati i susseguenti aumenti o riduzioni di pena.

Il richiamo al rispetto di tale regola traspare dalla ridetta sentenza di annullamento là dove ha impartito al giudice di rinvio la direttiva di "rideterminare la pena come prevista dalla legge più favorevole, partendo dal minimo edittale". Infatti, se avesse voluto limitare gli effetti dell’annullamento soltanto alla misura della pena base, avrebbe semplicemente detto di rideterminare la pena base.

E invece, indicando il minimo edittale come base di partenza per la determinazione della pena – che nella specie è il risultato della sommatoria della pena base più gli aumenti dovuti ad aggravanti e continuazione – ha reso esplicito l’invito a ricalcolare anche i valori degli altri componenti della pena.

Orbene, per verificare se il principio di diritto testè enunciato sia stato osservato, è necessario porre a raffronto il computo della pena effettuato dalla prima sentenza d’appello del 17.2.2000 con quello esposto nella sentenza impugnata.

La prima sentenza irrogò, esclusa la riduzione per il rito abbreviato, la pena di anni sedici di reclusione e L. 180 ml di multa, così calcolata: pena base a. 8 e L. 60 ml, aumentata per l’aggravante più grave di anni 4 e L. 30 ml, più a. 1 e L. 10 ml per la seconda aggravante, più a. 3 e L. 80 ml per la continuazione.

La sentenza impugnata ha irrogato, esclusa la riduzione per il rito abbreviato, la pena di anni sette e mesi sei di reclusione e L. 12 ml di multa, così calcolata: pena base a. 4 e L. 6 ml, aumentata per la prima aggravante di anni due e L. 3 ml, più a. 1 e L. 1 ml per la seconda aggravante, più mesi sei e L. 2 ml per la continuazione.

Guardando ai criteri di determinazione della pena si rileva:

– che la prima sentenza ha applicato per la pena base il minimo edittale ex L. n. 309 del 1990, per la prima aggravante l’aumento di 1/2, per la seconda aggravante l’aumento di 1/12 per la reclusione e di 1/10 per la multa, per la continuazione l’aumento di 1/4,3 per la reclusione e di 8/10 per la multa;

– che la sentenza impugnata ha applicato per la pena base il minimo edittale ex L. n. 685 del 1975, per la prima aggravante l’aumento di 1/2, per la seconda aggravante l’aumento di 1/6 per la reclusione e di 1/9 per la multa, per la continuazione l’aumento di 1/14 per la reclusione e di 2/10 per la multa.

E’ agevole constatare che il giudice di rinvio si è attenuto al principio di diritto sopra enunciato per quanto riguarda sia la pena base, effettivamente irrogata nel minimo edittale, sia la circostanza aggravante dell’ingente quantità, per la quale ha aumentato la pena base della metà, così come aveva fatto la sentenza annullata del 17.2.2000. Se ne è invece discostato per quanto attiene la seconda aggravante (del numero delle persone che concorsero nel reato), perchè non ha rispettato, errando per eccesso, la proporzione dell’aumento di pena stabilito dalla sentenza del 17.2.2000, che era pari a 1/12 per la reclusione e a 1/10 per la multa. Infine, l’aumento ulteriore inflitto a titolo di continuazione, pur determinato in misura proporzionalmente inferiore a quella stabilita dalla sentenza annullata, va esente da censura perchè sul punto non v’è stata impugnazione del pubblico ministero.

La sentenza impugnata va dunque annullata soltanto per la misura dell’aumento di pena inflitto per la circostanza aggravante del numero delle persone, misura che, discendendo automaticamente dall’applicazione del criterio aritmetico adottato dalla ridetta sentenza del 17.2.2000, può essere direttamente rettificata da questa Corte di legittimità in mesi sei di reclusione e L. 900.000 di multa (a. 6 + 1/12 = a. 6 m. 6; L. 9 ml + 1/10 = L. 9.900.000). Su tali valori va infine apportata la diminuzione di un terzo spettante per la scelta del rito abbreviato, per cui si perviene a determinare l’aumento di pena per la circostanza aggravante in discorso in mesi quattro di reclusione e L. 600.000 di multa. La pena finale per il delitto di cui al capo 52 è dunque di anni quattro e mesi otto di reclusione e L. 7.400.000 (Euro 3.821,78) di multa.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione annulla la sentenza impugnata limitatamente all’aumento di pena relativo alla circostanza aggravante del numero delle persone, che determina nella misura di mesi quattro di reclusione e L. 600.000 di multa; rigetta il ricorso nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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