Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 10-12-2010) 10-01-2011, n. 259

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. All’esito dell’udienza preliminare, S.G., sindaco del Comune di (OMISSIS), era rinviato a giudizio per rispondere del reato di abuso d’ufficio, per avere con violazione della L.R. n. 7 del 1992, art. 17 conferito a C.L. l’incarico retribuito di "esperto estraneo alla pubblica amministrazione" procurandogli un ingiusto vantaggio patrimoniale, e contemporaneamente veniva prosciolto perchè il fatto non sussiste dal delitto di concussione tentata, per avere sollecitato C. a dimettersi dall’incarico "prospettandogli che in caso contrario lo avrebbe cacciato e ciò non già in nome di un interesse pubblico in tal senso valutato, ma in vista dell’esclusivo fine di assicurare una migliore tutela al proprio privato interesse di difesa giudiziale in relazione al delitto di abuso d’ufficio".

Il giudice motivava la decisione di non luogo a procedere, argomentando che, se la nomina di C. – come assumeva l’imputazione di abuso d’ufficio – era illegittima, il sindaco, agendo in autotutela, aveva il potere di revocare il provvedimento.

Pertanto, che il sindaco minacciasse di esercitare il proprio potere di revoca o premesse su C. per la presentazione delle dimissioni, l’azione era comunque lecita perchè diretta a far cessare gli effetti di un provvedimento illegittimo.

Contro la sentenza ricorre il Procuratore della Repubblica di Trapani, il quale denuncia mancanza e manifesta illogicità della motivazione, assumendo che la decisione sarebbe viziata dal fraintendimento del capo d’imputazione: il giudice, ritenuto per errore che fosse contestata la concussione per costrizione anzichè per induzione, esclusa la minaccia di un danno ingiusto, ha affermato l’insussistenza del fatto; ma a diversa soluzione sarebbe dovuto pervenire se si fosse attenuto all’esatta imputazione. Deduce inoltre che le pressioni esercitate su C. per indurlo a dimettersi ernao illegittime, perchè miravano a soddisfare non già l’interesse dell’amministrazione comunale, ma la personalissima esigenza dell’imputato di difendersi dall’accusa di abuso d’ufficio.

I difensori dell’imputato hanno depositato due memorie difensive.

2. La censura rivolta al giudicante, di avere male interpretato il capo d’imputazione e, per effetto di tale errore, di avere indebitamente prosciolto l’imputato dall’accusa di concussione, è manifestamente infondata.

Invero il capo d’imputazione contesta al sindaco S. di avere attuato la condotta concussiva sia nella forma dell’induzione ("reiterando continue pressioni sul C. affinchè questi si dimettesse dall’incarico") che nella forma della costrizione mediante minaccia ("prospettando che, in caso contrario, lo avrebbe comunque cacciato"). Ma, al di là dei nominalismi in questa caso inutili, il nocciolo dell’accusa sta nell’addebito di avere, abusando dei poteri di pubblico ufficiale, esercitato pressioni idonee a condizionare la libera volontà di C., affinchè rassegnasse le dimissioni dall’incarico di esperto illegittimamente conferitogli.

La sentenza impugnata, prosciogliendo l’imputato, ha risolto correttamente il caso, perchè ne ha colto l’aspetto saliente, focalizzando l’attenzione sul fatto che l’incarico di cui si discute era stato conferito contra legem. Donde l’ineccepibile conseguenza che l’invito alle dimissioni accompagnato dalla prospettazione della revoca dell’incarico rappresentava l’anticipazione della doverosa esplicazione del potere di autotutela di cui la pubblica amministrazione può avvalersi per rimuovere d’ufficio propri provvedimenti che risultino contrastanti con l’interesse pubblico.

Quindi le pressioni, o minacce che dir si voglia, rivolte a C., essendo manifestazione di un potere pubblico non solo previsto dalla legge, ma anche legittimamente esercitato perchè finalizzato al soddisfacimento del pubblico interesse, erano lecite e non permettevano di configurare come "abusiva" la condotta ascritta al sindaco e come "indebita" la richiesta di dimissioni da lui indirizzata al dipendente assunto in violazione di legge. Accertato, dunque, che nella fattispecie mancava sia l’elemento materiale della induzione/costrizione che l’illiceità del vantaggio perseguito, il giudice a quo ha coerentemente dichiarato il non luogo a procedere per insussistenza del fatto.

Nebulosa e congetturale è, infine, la tesi del ricorrente secondo cui l’azione dell’imputato sarebbe stata ispirata da finalità estranee all’interesse pubblico, tesi alla quale il giudice a quo ha logicamente opposto che non si comprende quale vantaggio oggettivamente apprezzabile sarebbe potuto derivare all’imputato, in termini di una più efficace difesa giudiziale, dalle dimissioni apparentemente volontarie di C. anzichè dal provvedimento di revoca effettivamente adottato.

Il ricorso, siccome manifestamente infondato, deve dunque essere dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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