Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 10-12-2010) 10-01-2011, n. 258 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. S.L., S.M., S.G., S. G.R., S.C. e S.F. ricorrono per Cassazione contro il decreto della Corte d’appello di Messina del 10 marzo 2010 che confermava quello di primo grado che aveva respinto l’istanza di revoca ex tunc della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. e della confisca ex L. n. 575 del 1975, art. 2 ter, comma 3, applicata a S.L., indiziato di appartenenza ad associazione di tipo mafioso e di avere praticato l’usura negli anni ottanta.

L’istanza di revoca veniva presentata sull’assunto che erano sopravvenuti nuovi elementi che dimostravano l’originaria insussistenza dei presupposti fattuali che avevano condotto all’adozione della misura di prevenzione. Detti elementi – secondo gli istanti – intaccavano l’attendibilità del collaboratore di giustizia V.G. che aveva accusato S. di esercitare l’usura sin dagli anni (OMISSIS) e incidevano sulla ritenuta sproporzione tra il valore dei beni confiscati e le attività economiche esercitate.

Essi consistevano:

– nel fatto che V., pur sentito più volte, soltanto nell’interrogatorio dell’11.7.1997 aveva accusato S.; che detto interrogatorio era avvenuto il giorno dopo che l’ufficiale di polizia giudiziaria interrogante aveva sollecitato altro collaboratore di giustizia ( B.N.) a fornirgli prove a carico di S. (detto " L."); che la denuncia di calunnia presentata da S. contro V. era stata archiviata il 23.10.2006 per prescrizione del reato;

– sul fatto che la consulenza contabile depositata dalla difesa nel processo di prevenzione non era stata esaminata dai giudici.

Orbene i ricorrenti propongono in sintesi le seguenti censure: 1. la Corte territoriale si sarebbe rifiutata di riesaminare l’attendibilità del collaboratore V. o, comunque, non l’avrebbe adeguatamente valutata, sia perchè l’osservazione che il collaboratore aveva reiterato le accuse anche nell’interrogatorio del 16.3.2006 era insoddisfacente, posto che, se le avesse ritrattate, si sarebbe dimostrato un calunniatore, sia perchè non avrebbe tenuto conto della denuncia per calunnia archiviata;

2. il decreto impugnato è affetto da vizio di motivazione avendo erroneamente affermato: a) che la consulenza contabile era stata implicitamente valutata e disattesa dal giudice della prevenzione; b) che è fatto notorio che il prezzo dichiarato nei rogiti relativi a compravendite immobiliari è solitamente inferiore a quello realmente pagato; e, inoltre, dal vizio di omessa assunzione di prova decisiva, per non avere accolto la richiesta di disporre una perizia contabile;

3. non è stata riconosciuta e dichiarata l’improcedibilità del giudizio di prevenzione, che fu avviato dopo che il Tribunale di Messina, con ordinanza non impugnata del 20.5.1998, aveva annullato il provvedimento di sequestro preventivo disposto ex D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies sugli stessi beni e nei confronti delle stesse persone successivamente colpiti dal decreto di confisca di cui ora si chiede la revoca.

I ricorrenti hanno inoltre presentato motivi nuovi (che sviluppano quelli principali) e una memoria difensiva.

2. I ricorsi sono inammissibili.

Cominciando dall’esame dei primi due motivi di ricorso che prospettano vizi di motivazione, è opportuno rammentare che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per Cassazione, secondo il disposto della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, comma 11, richiamato dalla L. n. 575 del 1965, art. 3 ter, comma 2, è ammesso soltanto per violazione di legge. Ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, sono escluse dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità le ipotesi previste dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), potendosi soltanto denunciare, ai sensi del cit. articolo, lett. c), la motivazione inesistente o meramente apparente, integrante la violazione dell’obbligo – imposto dalla L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 10, – di provvedere con decreto motivato.

Precisati i limiti in subiecta materia del sindacato di legittimità sul vizio di motivazione, si osserva che il decreto impugnato, pur avanzando delle riserve sull’ammissibilità di ciascuno dei nuovi elementi addotti dai richiedenti la revoca, li ha però poi doverosamente valutati, spiegando le ragioni per cui ne ha ritenuta l’inidoneità a modificare il quadro probatorio sul quale si era formato il giudicato.

In particolare la Corte di merito, nel valutare le nuove circostanze che deporrebbero per l’inattendibilità delle dichiarazioni a suo tempo rese dal collaboratore di giustizia V., ha osservato:

– che la pretesa discrasia, tra le dichiarazioni accusatorie rese nell’interrogatorio del 17.7.1997 e quelle precedenti e susseguenti in cui non fece mai il nome di S., era soltanto apparente, perchè V. aveva parlato di S. solo quando gliene era stata fatta specifica richiesta e comunque nell’ultimo interrogatorio del 16.3.2006 aveva ripetuto e puntualizzato le accuse;

– che le pressioni esercitate dagli ufficiali di polizia giudiziaria sul collaboratore B. affinchè fornisse elementi a carico di S. non provavano che analoghe sollecitazioni fossero state rivolte a V.;

– che l’archiviazione – per sopravvenuta prescrizione del reato – della denuncia per calunnia presentata da S. contro V. era irrilevante, da un lato, perchè il giudicante non aveva svolto alcuna valutazione di merito sulla fondatezza dell’incolpazione e, dall’altro, perchè la formula dell’improcedibilità per estinzione del reato (anzichè per insussistenza del fatto) derivava direttamente dall’inapplicabilità nella fase procedimentale del disposto dell’art. 129 c.p.p.;

– che, volendo pure procedere, per il sopravvento della causa estintiva, all’accertamento incidentale della sussistenza del delitto di calunnia, il quadro complessivo non consentiva di ritenere avvenuta la consumazione del reato;

~ che l’attendibilità delle dichiarazioni di V. risultava comunque positivamente riscontrata da plurimi elementi (le dichiarazioni di altri collaboratori di giustizia e la documentazione bancaria e contabile acquisita) il cui pregnante valore indiziario non era in discussione. Con riferimento poi alle censure relative alla misura della confisca e in particolare alla ritenuta sproporzione di valore tra i beni e la capacità reddituale del proposto e dei suoi familiari la Corte messinese ha osservato:

– che nel giudizio di prevenzione i giudici, pur senza nominare espressamente il consulente contabile (il commercialista F. G.), avevano però esaminato e disatteso le sue valutazioni, sicchè non era giustificata la riproposizione di quella consulenza come "elemento nuovo";

– che non era il caso di disporre una perizia contabile, perchè essa, risolvendosi in una diversa valutazione tecnica di dati già conosciuti e delibati, non avrebbe potuto costituire prova nuova utilmente esperibile nel giudizio di revisione;

– che, comunque, i pur modesti prezzi indicati negli atti di acquisto erano incompatibili con le condizioni reddituali dichiarate da S.L. e dal suo nucleo familiare e la sproporzione di valori risultava ancor più evidente alla luce della considerazione che "nella prassi del mercato immobiliare, il prezzo dichiarato nell’atto pubblico è sovente sottostimato al fine di eludere la normativa fiscale";

– che la produzione della ricevuta di una vincita al Totocalcio di L. 56 milioni era inconferente, perchè gli acquisti immobiliari in questione risalivano a epoca precedente.

Come si vede, la Corte territoriale ha dato ampia giustificazione, con puntuali richiami ai consolidati insegnamenti della giurisprudenza di legittimità, delle ragioni per le quali ha ritenuto di confermare il rigetto della richiesta di revoca della misura e quindi le censure sulla mancanza di motivazione sono manifestamente infondate, mentre quelle che investono la sufficienza o la logicità della stessa non sono consentite dalla legge.

3. Il terzo motivo dei ricorsi riguarda la questione della pretesa improcedibilità del giudizio di prevenzione conclusosi con il decreto della cui revoca oggi si discute, questione che, sebbene non sollevata nell’istanza di revoca che ha originato il presente processo e neppure proposta nei motivi d’appello, merita ugualmente di essere decisa per ragioni di economia processuale, che, altrimenti, potrebbe dare esca a un’ulteriore istanza di revoca.

La difesa solleva la questione sul rilievo che questa Corte, prima sezione penale, con sentenza del 18.11.2008 n. 44332, Araniti, ha affermato il principio di diritto che "la decisione conclusiva del procedimento di prevenzione patrimoniale ex L. n. 575 del 1965, art. 2 ter (che rigetti la domanda per avere accertato la lecita provenienza dei beni, n.d.e.) ha effetto preclusivo su un eventuale procedimento, avente ad oggetto gli stessi beni e in danno della stessa persona, per la confisca ex D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, in mancanza di deduzione di fatti nuovi modificativi della situazione definita". Ciò in base all’applicazione di quel principio generale dell’ordinamento processuale, espresso con la formula ne bis in idem, che, per esigenze di certezza del diritto e di economia processuale, vieta la reiterazione dei procedimenti e delle decisioni sulla medesima res iudicanda (cfr. Sez.Unite, 28.6.2005 n. 34655, Donati).

Il decreto impugnato ha respinto l’eccezione in discorso, correttamente osservando che, mentre nella fattispecie esaminata dalla sentenza Araniti il giudice aveva accertato in modo definitivo che i beni sequestrati erano di provenienza lecita e tale accertamento era stato ritenuto preclusivo di un ulteriore sequestro sempre finalizzato alla confisca degli stessi beni, nel caso presente, invece, il primo provvedimento di sequestro, adottato ex D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, venne dichiarato nullo per assoluta indeterminatezza della contestazione, ossia per ragioni non di merito ma meramente processuali, con la conseguenza che non esisteva preclusione alcuna all’adozione di un nuovo sequestro, eventualmente anche per la medesima causa petendi".

La decisione sul punto è ineccepibile, perchè in effetti l’ordinanza del Tribunale del riesame del 20 maggio 1998, insistentemente evocata dai ricorrenti come causa di improcedibilità, non può assolutamente generare il preteso effetto preclusivo, avendo un contenuto puramente processuale. Invero il giudice del riesame, ritenuto che l’assoluta genericità delle imputazioni, espresse soltanto con la citazione degli articoli di legge violati, senza indicazione di fatti concreti e di riferimenti temporali, impediva di accertare il nesso pertinenziale tra cosa e reato e, di riflesso, la confiscabilità delle cose sequestrate, dichiarò la nullità del sequestro preventivo disposto dal giudice per le indagini preliminari. Non v’è stato dunque alcun accertamento di merito, ma solamente una pronuncia negativa sulla validità del sequestro, inidonea, per il suo contenuto meramente processuale, a fungere da giudicato preclusivo nei confronti dei successivi provvedimenti giudiziali concernenti gli stessi beni (v. Sez.Unite, 13.12.2000 n. 36, Madonia, rv 217668). Anche questo motivo di ricorso è dunque manifestamente infondato.

I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili; ne consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, considerata la colpa con cui hanno determinato l’inammissibilità, al versamento della somma di euro mille per ciascuno alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille ciascuno alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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