Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 10-12-2010) 10-01-2011, n. 249

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1.- Con sentenza pronunciata il 19.1.2004 il Tribunale di Ragusa, all’esito di giudizio ordinario, ha dichiarato C.G. colpevole del delitto di calunnia (commesso il (OMISSIS) con querela presentata presso l’allora Pretura circondariale di Ragusa) per avere falsamente incolpato B.G. di averlo colpito con un violento pugno all’addome, facendolo cadere a terra con momentanea perdita di coscienza e producendogli lesioni personali (contusione e distrazione muscolare alla regione sacro-coccigea) giudicate guaribili in cinque giorni. Per l’effetto il C. è stato condannato, concessegli le attenuanti generiche, alla pena di un anno e sei mesi di reclusione ed al risarcimento del danno in favore del B., costituitosi parte civile.

In base ai dati di conoscenza testimoniali e documentali raccolti nel corso dell’istruttoria dibattimentale il giudice di primo grado ha ritenuto raggiunta idonea prova della volontà calunniatrice del C. in merito alla ricostruzione dell’episodio storico svoltosi nella notte del (OMISSIS) all’interno dell’autoparco della P.S. di Ragusa tra i due protagonisti, entrambi agenti di polizia, assumendo il C. di essere intervenuto – quale addetto alla sorveglianza degli ingressi nell’autoparco – nei confronti del collega B., che in abiti civili e fuori dal servizio si era introdotto nell’autoparco senza averne l’autorizzazione. Donde l’alterco nel corso del quale egli sarebbe stato aggredito e colpito dal B. nei termini denunciati in querela. Il Tribunale ha giudicato mendace, e quindi calunniosa, la narrazione dei fatti resa nella querela del C. (presentata per altro negli ultimi giorni utili a tre mesi di distanza dall’episodio), ponendo l’accento sui seguenti dati:

– lineare contegno del B., che il 10.5.1996 presenta relazione di servizio al Questore e al dirigente dell’autoparco, informando della discussione insorta con il C., giunto a minacciarlo con la pistola di servizio;

– testimonianza dell’ispettore V. che giunge nell’autoparco e rileva lo stato di agitazione del C., vedendolo impugnare la pistola di ordinanza, per la "discussione" avuta con il B., ma non gli riferisce di alcuna aggressione di costui, nè presenta visibili segni di lesioni o di stordimento come di chi sia appena svenuto;

– testimonianza dell’agente M., che percepisce la frase con cui il B. rimprovera al C. di avere fatto "una cosa grave";

– accertamento della dr.ssa L., psicologa che – nell’inchiesta promossa dal Questore (e volta a verificare l’idoneità psico-fisica del C. alla detenzione dell’arma di servizio)- convoca il C. il 13.5.1996 e si vede produrre dall’agente un certificato del pronto soccorso redatto quello stesso giorno ed attestante le riferite lesioni risalenti alla lite o aggressione del (OMISSIS) attribuita al B., sebbene il medico non riscontri sulla persona del C. alcuna traccia di lesioni o contusioni;

– complessiva incoerente condotta del C., che non riferisce ad alcun collega l’episodio del (OMISSIS) e attende quattro giorni (soltanto dopo la convocazione dal medico della P.S.) per farsi refertare le asserite lesioni presso il pronto soccorso.

2.- Giudicando sull’impugnazione proposta contro la predetta sentenza dal difensore dell’imputato, la Corte d’Appello di Catania con la sentenza in data 11.6.2008 indicata in epigrafe ha mandato assolto il C. dall’ascritto reato di calunnia con la formula della insussistenza del fatto.

Alla luce della concisa motivazione della sentenza la decisione liberatoria adottata dai giudici di secondo grado è imperniata su due complementari rilievi. Da un lato non sono reperibili testimoni oculari dell’episodio (diverbio o lite) avvenuto il (OMISSIS) tra l’imputato e il B., giacchè anche l’ispettore V. riferisce del fatto (cui non ha personalmente assistito) a posteriori, comunque asseverando lo stato di palese agitazione del C.. Da un altro lato "la prova di resistenza sul convincimento del primo giudice", da condursi sulla testimonianza del medico della Polizia dr.ssa L., non consente esiti colpevolistici, dal momento che – a fronte del "contratto diagnostico" tra i due accertamenti sanitari (referto del pronto soccorso e visita della L. che non riscontra tracce di lesioni sul C.)- non risulta essere stato approfondito l’operato della dr.ssa L. in rapporto all’oggetto della sua verifica sanitaria e alla precisione dei suoi ricordi dell’episodio, sul quale il medico non ebbe a redigere un particolareggiato referto, "rastremandosi ad un completamento di indagine disciplinare" nei confronti del C., che non ha prodotto utili sviluppi.

3.- Per la Cassazione della descritta sentenza di appello ha proposto ricorso il Procuratore Generale della Repubblica di Catania, denunciandone l’illegittimità per insufficienza, contraddittorietà ed illogicità manifesta della motivazione.

Il percorso decisorio della Corte di Appello è, ad avviso del ricorrente P.G., soltanto apparente. Se è vero che non esistono testimoni diretti del diverbio o della lite svoltasi tra il C. e il B., è altrettanto vero che l’istruttoria ha offerto molteplici e convergenti indici della penale responsabilità dell’imputato, sotto il profilo della falsità dell’episodio narrato in querela e della volontà calunniatrice dello stesso imputato, pur se forse determinata da intenti autodifensivi rispetto al procedimento disciplinare promosso dal Questore al fine di controllare l’idoneità psicoattitudinale del poliziotto (non a caso la querela per violenza e lesioni personali contro il B. è presentata dopo l’avvio dell’inchiesta disciplinare). Indici individuabili nelle testimonianze indirette dei funzionari V. e M. (a tacere degli altri testimoni P. e G., che pure hanno visto il C. "discutere" con il B. in maniera del tutto normale) e nello stesso contegno tenuto dall’imputato nei giorni appena successivi all’episodio del (OMISSIS), indici sui quali i giudici di appello si sono astenuti da qualsiasi analisi, sbrigativamente e illogicamente adducendone l’irrilevanza. In realtà la motivazione del proscioglimento del C. è imperniata su una presunta prova di resistenza radicata sulla supposta labilità e vaghezza mnemoniche della testimonianza del sanitario dr.ssa L.. Ma proprio l’asserita fallacia di siffatta prova di resistenza è priva di ragionevole giustificazione nella sentenza di secondo grado. Per la semplice ragione che la sentenza ha tralasciato di correlare la deposizione testimoniale della L. ( C. privo di segni o tracce di reali lesioni) con altri e più assorbenti dati oggettivi rappresentati: dalla tardività con cui C. si è recato al pronto soccorso per farsi visitare e solo dopo la convocazione della dr.ssa L., astenendosi dal redigere una qualsiasi relazione di servizio su un episodio che egli, dal suo punto di vista, non poteva non valutare grave; dalle contraddizioni narrative del C. (dapprima sostiene esserci stato un semplice alterco con il collega, poi assume di esserne stato aggredito); dalla contraddittorietà della stessa querela, in cui sostiene di aver ripreso servizio solo in data 18.5.1996, laddove invece ha normalmente prestato servizio nei giorni seguenti l’episodio del (OMISSIS).

4.- Il ricorso del Procuratore Generale di Catania è assistito da fondamento, patente rivelandosi la lacunosità valutativa delle conclusioni cui, pur in presenza di elementi storici dettagliatamente esposti nella sentenza di primo grado e, dunque, ben chiari ai giudici del gravame, è giunta la Corte di Appello etnea, omettendo – nel contesto di una motivazione in vero sommaria ed elusiva dei temi posti dalla regiudicanda – ogni concreta disamina delle fonti di prova raccolte nel dibattimento di primo grado e del loro sinergico valore rappresentativo.

Sottacendo ogni riserva sulla congruità stessa della formula liberatoria adottata dall’impugnata sentenza (insussistenza del fatto- reato in presenza di una schematica motivazione che sembra far leva sul difetto del dolo di calunnia), è agevole osservare che la Corte di Appello ha sovrapposto il giudizio sulla assenza di fonti testimoniali dirette del diverbio/lite sicuramente avvenuto tra il C. e il B. a quello sulla ritenuta, ma non dimostrata (id est non motivata), assenza di altri utili dati indiziari del comportamento penalmente rilevante dell’imputato, che avrebbero dovuto essere – ai fini del giudizio sulla responsabilità o meno del C. – vagliati e verificati. Del tutto anodino, non chiarendosene i concreti referenti fattuali e modali, è il richiamo alla "prova di resistenza" della validità del ragionamento della decisione di condanna del Tribunale, allorchè gli elementi valorizzati in chiave accusatoria da tale sentenza sono stati completamente pretermessi dall’impugnata sentenza di appello, che non li ha sottoposti ad alcuna specifica critica valutariva.

In ogni caso carente, perchè in fatto non applicato dalla Corte territoriale, si profila il ricorso al c.d. criterio di resistenza delle prove indiziarie acquisite nei confronti del C., la sentenza di appello non procedendo ad alcuna specifica selezione del peso probatorio degli elementi indiziari, che in definitiva valutata assorbiti – ad onta della proclamata premessa metodologica – nella pregiudiziale e (conviene ripetere) assertiva manca i testimonianze dirette dei fatti descritti dal C. nella sua incrinata querela del 5.8.1996 (arg. Ex Cass. Sez. 6, 22.2.2005 n. 10094, Ricco, rv. 231832).

Affatto lacunosi si delineano, per tanto, sia l’accertamento della materialità del contestato reato di calunnia, quanto alla ricostruzione dell’effettività dell’aggressione e del pugno che l’imputato afferma (querela) di aver subito ad opera dell’accusato B. (senza averne fatto in precedenza una descrizione per quanto sommaria ai colleghi o ad altre persone), sia la complementare e inscindibile verifica dell’elemento soggettivo del reato (dolo generico), quanto a vaglio delle circostanze e delle modalità della condotta del giudicabile evidenziamenti o meno una sua cosciente volontà di ingiusta e mendace accusa nei confronti dell’incolpato (cfr. ex plurimis: Cass. Sez. 6, 7.11.2002 1638/03, Volonterio, rv 223246; Cass. Sez. 6, 24.5.2004 n. 31446, Prandelli, rv. 229271;

Cass. Sez. 6, 2.11.2006 n. 2805/07, Zitelli, rv. 235722).

Per effetto l’impugnata sentenza deve essere annullata con rinvio – per nuovo giudizio con riferimento alla motivazione sugli elementi costitutivi, materiale e soggettivo, del reato di calunnia attribuito all’imputato C.G. – alla Corte di Appello di Catania, che (per i fini di cui all’art. 627 c.p.p., comma 3 e art. 173 disp. att. c.p.p., comma 2) si uniformerà alle indicazioni ermeneutiche e metodologiche dianzi illustrate ed ai criteri valutativi postulati dalle decisioni di legittimità sopra richiamate.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Catania per nuovo giudizio.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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