Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-12-2010) 10-01-2011, n. 245 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il GIP presso il Tribunale di Palermo, con ordinanza del 16.07,2010, applicava la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di: L.R.F. perchè indagato del reato di cui all’art. 416 bis c.p., commi 1, 2, 3, 4 e 6, per avere fatto parte, unitamente ad altre persone, dell’associazione mafiosa denominata "Cosa Nostra", con il ruolo di "reggente" della famiglia mafiosa di Ciaculli, unitamente a F.B. che svolgeva in suo favore le funzioni di "alter ego" ; in (OMISSIS);

Il Tribunale per il riesame di Palermo, con ordinanza del 12.08.2010, respingeva il reclamo presentato dall’indagato;

Avverso tale decisione, ricorre per cassazione il difensore, deducendo:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e).

1)-Il ricorrente censura la decisione impugnata di:

-violazione degli artt. 273, 192 e 125 c.p.p. per erronea ed omessa motivazione riguardo alle copiose risultanze fattuali rappresentate dalla difesa;

-il ricorrente lamenta la mancanza di gravità degli indizi evidenziati dal Tribunale e censura la motivazione:

-per avere omesso di considerare che nel lungo periodo in cui il L. R. era stato oggetto di monitoraggio da parte della PG e cioè nell’ultima parte della sua latitanza, non sarebbero emersi contatti tra il medesimo ed altri soggetti facenti parte dell’associazione e tanto meno con il F.B. che, secondo l’accusa, era il suo "alter ego";

-inoltre era stata ritenuta la partecipazione all’associazione mafiosa senza indicare episodi specifici dimostrativi dell’apporto attivo del L.R. al sodalizio criminoso;

-la partecipazione del ricorrente al predetto sodalizio era contraddetta dal provvedimento di archiviazione, del 22.12.2004, che aveva escluso ogni sua responsabilità in ordine all’appartenenza all’associazione mafiosa;

2)-il ricorrente censura di illogicità l’ordinanza impugnata perchè avrebbe ricavato gravi indizi dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, senza considerare che il processo instaurato a carico del L.R. per l’omicidio di Fi.Gi., sebbene concluso con sentenza di condanna sulla scorta delle dichiarazioni dei predetti collaboranti, non aveva comportato contestazioni di appartenenza all’associazione mafiosa;

-del pari, analogo processo instaurato a carico del L.R. per l’omicidio di B.D., si era concluso con l’annullamento senza rinvio da parte della Corte di Cassazione che aveva ritenuto infondate le dichiarazioni dei medesimi collaboranti;

3)-l’ordinanza era, inoltre, censurabile per illogicità avendo ritenuto raggiunti i gravi indizi sulla scorta delle propalazioni dei collaboratori nonostante che le stesse fossero prive di adeguati riscontri e fossero smentite dagli esiti delle indagini;

-in particolare:

-le dichiarazioni dei collaboranti G.G. e Bo.An. non potevano riscontrasi a vicenda, poichè il primo aveva affermato che il reggente della cosca era da individuarsi nel L.R. mentre il secondo aveva affermato che dopo il (OMISSIS) capo mandamento era divenuto S.G.;

-il Bo. era inattendibile per avere affermato di avere fatto pervenire al ricorrente una somma di denaro per affrontare le spese legali, circostanza che confliggeva, sia con il presunto ruolo di reggente attribuito al L.R. e sia con l’affermazione dello stesso Bo. che il L.R. versava in condizioni economiche agiate e poteva gestirsi da solo;

-il Bo. era inattendibile anche per avere affermato nell’interrogatorio del (OMISSIS) che il L.R. aveva partecipato ad una riunione con A.A., L.N.T. ed altri, mentre nell’interrogatorio del (OMISSIS) aveva riferito della medesima riunione senza menzionare la presenza del L.R.;

4)-l’ordinanza era illogica perchè non aveva considerato che la decisione del Gip, allorchè aveva respinto la richiesta di applicazione della misura cautelare nei confronti F.B. a causa della debolezza dei riscontri, avrebbe dovuto ripercuotersi favorevolmente anche nei confronti del L.R. atteso che, secondo l’accusa, il F. era il suo "alter ego";

5)-le propalazioni dei collaboranti non erano attendibili perchè riferivano fatti appresi "del relato" ed erano perciò prive della necessaria autonomia;

6)-censurabile era la deduzione del Tribunale laddove aveva ritenuto che la lunga latitanza del ricorrente poteva integrare il riscontro logico circa l’appartenenza ed il ruolo svolti nell’associazione mafiosa, mentre il semplice dato della latitanza aveva contenuto equivoco e non era riconducibile in termini di certezza all’appartenenza ad associazione criminale;

6)-l’ordinanza era da censurare anche riguardo alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari che, invece, erano escluse per il fatto che il L.R. era detenuto presso la Casa circondariale di (OMISSIS), ove si trovava ristretto in esecuzione di una condanna definiva all’ergastolo;

CHIEDE pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata

Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono totalmente infondati.

Le doglianze mosse dal ricorrente non tengono conto del fatto che il provvedimento impugnato, contiene una serie di valutazioni ancorate a precisi dati fattuali ed appaiono immuni da vizi logici o giuridici.

In proposito va ricordato che, in tema di misure cautelari personali, il controllo di legittimità è circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Cassaz. Pen., sez. 4, 06.07.2007 n. 37878).

Invero, il Tribunale, ha congruamente motivato in ordine alle ragioni, in punto di fatto, per le quali ha ritenuto raggiunti i gravi indizi di colpevolezza, evidenziando:

– che l’indagato è stato indicato da numerosissimi collaboratori, a partire dagli anni (OMISSIS), come "uomo d’onore" della cosca di – Ciaculli-Croceverde Giardini – oggi facente parte del mandamento di (OMISSIS), essendo stato dapprima inserito nel gruppo di fuoco ed in tempi più recenti in ascesa ai vertici della consorteria mafiosa di Ciaculli, di cui ha assunto il ruolo di "capo famiglia";

-che tali circostanze emergevano dalle dichiarazioni:

-di M.M.F. nei verbali del (OMISSIS) e successivi ove descriveva la partecipazione del L.R. all’omicidio di Fi.Gi. nella qualità di appartenente al "gruppo di fuoco";

-di Mu.Ga. e Ma.Gi. che in separati verbali (del (OMISSIS)) indicavano concordemente l’odierno indagato come appartenente al gruppo di fuoco della famiglia di Ciaculli;

-di D.F.E. ((OMISSIS)), – D.G. ((OMISSIS)), – C.T., Ca.An., che avevano indicato concordemente il L.R.F. come uomo d’onore della famiglia di Ciaculli;

Il Tribunale sottolinea che altri collaboratori, in tempi più recenti, avevano indicato il L.R. come appartenente alla predetta cosca ma in ascesa nella gerarchia e precisamente:

– G.G. ((OMISSIS)) che aveva precisato come, dopo l’arresto di m. la consorteria aveva pensato di nominare "capo mandamento" proprio il L.R. preferendogli poi S. G.;

– Cu.Ma. che aveva dichiarato in data (OMISSIS) come il L.R. gli avesse direttamente comunicato di essere divenuto il reggente della famiglia di Ciaculli; il collaborante aveva aggiunto anche che il L.R. si nascondeva nelle montagne sovrastanti (OMISSIS), ove egli lo incontrava unitamente ad altro associato a nome ma.ni.;

– Gr.Gi. che, in data (OMISSIS), aveva riferito di avere appreso dal suocero P.F. (padrino del predetto ma.) che l’odierno indagato era "reggente" di Ciaculli e che aveva come persona a lui vicina il F.B.;

-da ultimo, anche il collaboratore: Bo.An., in data 05.07.2008 e in data 18.02.2009, aveva spiegato il funzionamento della famiglia di Ciaculli, indicando il ruolo di reggente assunto dal L.R.F., cui aveva inviato la somma di Euro 5.000 per sovvenzionare le spese legali, fornendo altresì una serie di particolari sull’odierno indagato, dettagliatamente riportati nell’ordinanza impugnata;

Il Tribunale compie così una valutazione di puro fatto, in ordine alla sussistenza dei gravi indizi, che appare congruamente motivata, con richiami a specifici rilievi fattuali, priva di illogicità evidenti.

Risulta pertanto evidente l’infondatezza dei motivi di ricorso con i quali si censura di illogicità la motivazione perchè avrebbe ricavato i gravi indizi dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia – nonostante l’assenza di riscontri e – nonostante l’assenza di episodi specifici rivelatori dell’apporto dell’indagato al sodalizio criminale, atteso che tali censure non tengono conto della motivazione impugnata che, al contrario, ha evidenziato come le predette dichiarazioni si: "danno reciproco e perfetto riscontro" – sono: "oggettivamente riscontrate dalla definitiva condanna per l’omicidio di Fi.Gi." e: – sono confermate dalla circostanza della lunga latitanza.

La motivazione del Tribunale oltre che corrispondente ai criteri di logicità ed alle massime di comune esperienza, è del tutto aderente alla giurisprudenza che ha attribuito valore di prova alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ove corroborate da riscontri esterni, intendendosi per tali qualsiasi altro elemento di prova, di qualsivoglia tipo e natura, idoneo a confermare l’attendibilità. Cassazione penale, sez. 1. 20 febbraio 1996. n, 3070.

Del tutto legittimo è pertanto il ricorso al criterio di individuazione dei riscontri nella reciprocità e sovrapponibilità delle dichiarazioni dei collaboratori tutti concordi nell’individuare il L.R. come appartenente alla famiglia di Ciaculli, nei ruoli e nei tempi dettagliatamente indicati nella stessa ordinanza.

La reciprocità dei riscontri assurge a valore gravemente indiziante perchè dimostra che le notizie riferite dai vari collaboranti costituiscono oggetto di patrimonio conoscitivo comune, derivante da un flusso circolare di informazioni attinenti a fatti di interesse comune per gli associati. (Cassazione penale, sez. 1, 13 marzo 2009. n. 15554).

Ed è proprio la circolante delle informazioni ad attribuire la gravità indiziaria alle dichiarazioni dei predetti collaboratori, ancorchè "de relato", stante – per altro – la piena legittimità delle dichiarazioni "de relato" dei collaboratori di giustizia alla luce della costante Giurisprudenza. (Cass. pen. sez. 5, 02.12.2002).

In tale ambito risulta del tutto legittima la valenza di riscontro attribuita alla lunga latitanza dell’indagato, atteso che il Tribunale sottolinea come tale latitanza non costituisca un episodio isolato ma si inserisce pienamente nella solidarietà propria del sodalizio criminale, perchè sostenuta dal contributo attivo degli altri associati;

al riguardo il Tribunale richiama sia l’episodio del contributo in denaro effettuato dal Bo.An., in perfetta coincidenza temporale con il processo a carico del L.R., e sia le risultanze delle indagini, rivelatrici di una "efficiente rete di sostegno al latitante, caratterizzata dalla presenza di una pluralità di favoreggiatori" (pag. 18 motivaz.).

Tale motivazione risulta congrua ed aderente alle massime di comune esperienza sicchè risultano inammissibili le censure mosse dal ricorrente riguardo alla possibilità di attribuire diverso significato agli episodi richiamati nell’ordinanza, atteso che in materia di misure cautelari personali il requisito della gravità degli indizi di colpevolezza non può essere ritenuto insussistente sulla base di una valutazione separata dei vari dati probatori, dovendosi invece verificare se gli stessi, coordinati e apprezzati globalmente secondo logica comune, assumano la valenza richiesta dall’art. 273 c.p.p. (Cassazione penale, sez. 4, 04/03/2008, n. 15198).

Nè può avere rilievo la censura sull’assenza di indicazione di episodi specifici in ordine all’apporto in concreto offerto dall’indagato al sodalizio criminale, atteso che l’ordinanza richiama una serie di circostanze dimostrative del pieno inserimento del L. R. nell’organizzazione criminale (come: – ruolo svolto in occasione dell’omicidio Fi. – rete di favoreggiatori nel corso della latitanza – assistenza anche in denaro ricevuta dagli associati, etc.) così da evidenziare sia l’esistenza di un gruppo finalizzato al compimento di una serie indeterminata di reati e sia l’esistenza di un’organizzazione di attività personali e di mezzi economici degli associati, pienamente dimostrativa di un programma criminoso, non essendo a tal fine indispensabile la consumazione di singoli reati. (Cassazione penale sez. 4. 18 giugno 2008. n. 25702).

Totalmente infondato è anche il motivo relativo alla mancanza di attualità delle esigenze cautelari, atteso che la custodia cautelare può essere disposta anche nei confronti di soggetto detenuto per altra causa.

Lo stato di detenzione, infatti, di per sè, non è incompatibile con la sussistenza di esigenze cautelari, dati i molteplici provvedimenti che l’ordinamento penitenziario prevede per l’attenuazione del regime carcerario ed il riacquisto anticipato della libertà personale.

(Cassazione penale, sez. 1, 24 gennaio 1994).

Consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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