Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-12-2010) 10-01-2011, n. 244

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il GIP presso il Tribunale di Palermo, con ordinanza del 25.05.2010, applicava la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di: C.F. perchè indagato per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 (capo 1) e per i reati-fine indicati negli altri capi della contestazione;

Successivamente l’indagato depositava, dinanzi allo stesso Gip, istanza di scarcerazione, ex art. 297 c.p.p., comma 3, formulata sull’asserita intervenuta scadenza dei termini di fase, da retrodatare all’esecuzione di due precedenti ordinanze cautelari e precisamente: -A) Gip Palermo del 01.04.05 (questione poi abbandonata dal ricorrente) e: -B) Gip Palermo del 28.11.07, per fatti legati da "connessione qualificata" a quelli per cui si procede in questa sede (ordinanza del 25.05.2010);

Avverso il rigetto del Gip, l’indagato proponeva impugnazione ma il Tribunale per il riesame di Palermo, con ordinanza del 30.07.2010, respingeva l’appello e confermava il provvedimento impugnato.

Avverso tale decisione ricorre per cassazione il difensore, deducendo:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e).

Il ricorrente censura la decisione impugnata riguardo alla:

1)-violazione dell’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. a), n. 3, per non avere considerato che, nella fattispecie, il termine custodiale è di anni 1 e che per calcolarlo occorreva sommare i periodi di carcerazione delle due ordinanze custodiali prese in esame (dall’esecuzione della prima ordinanza, 12.12.07, fino al momento della richiesta di definizione di quel procedimento con il rito abbreviato, 11.11.08, – mesi 11 -, con quello di esecuzione della presente ordinanza, 16.06.10, fino ad oggi – mesi 1 e gg. 14; per un totale di anni 1 e gg. 14);

la custodia cautelare aveva perciò superato complessivamente il termine massimo di anni 1, mentre erroneamente il Tribunale aveva ritenuto che detto termine non era ancora trascorso, dovendo essere spostato alla data del 18.11.2010, successivo alla decisione dello steso Tribunale, (30.07.2010);

2)-Il ricorrente osserva che nella specie ricorreva l’ipotesi della "contestazione e catena" e denuncia la violazione dell’art. 297 c.p.p., comma 3 perchè il Tribunale non avrebbe considerato che i fatti di cui all’ordinanza in esame (25.10.2010) sarebbero connessi con quelli di cui alla precedente ordinanza cautelare (28.11.2007) in quanto entrambe riguardavano: – sia le stesse imputazioni, D.P.R. n. 309 del 1990, ex artt. 74 e 73 e – sia il medesimo arco temporale, (fatti per entrambe commessi sino all'(OMISSIS));

3)-la norma di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3 sarebbe violata anche perchè, in ogni caso, i fatti di cui alla seconda ordinanza del 25.05.010 erano già desumibili dagli atti sin al momento dell’emissione della precedente ordinanza del 28.11.07, in quanto commessi entro lo stesso periodo: (OMISSIS);

– al riguardo, il ricorrente sottolinea che, sebbene le due ordinanze fossero state emesse sulla scorta di due diverse informative, in realtà la seconda informativa di PG era riepilogativa della prima, sicchè l’ordinanza del 2010 non si poggiava su acquisizioni probatorie nuove rispetto a quelle poste a base della prima ordinanza;

nè per altro, potrebbe gravare sulla difesa l’onere di dimostrazione dell’effettiva conoscenza da parte del PM di tutti gli atti, essendo sufficiente la dimostrazione della mera "desumibilità" degli elementi probatori;

4)-a parere del ricorrente era perciò evidente che gli indizi a disposizione dell’Autorità Giudiziaria erano sufficienti per remissione di unico provvedimento coercitivo all’epoca della prima ordinanza custodiale, e:

-conclusivamente, i termini di custodia cautelare dell’ordinanza qui in esame, (25.05.2010 – eseguita il 16.06.10) avrebbero dovuto decorrere, ex art. 297 c.p.p., comma 3, dal giorno 12.12.2007 in cui era stata eseguita la prima ordinanza custodiale, con definitivo decorso del termine massimo di anni 1.

CHIEDE pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Motivi della decisione

Contro uno stesso indagato possono emettersi più provvedimenti custodiali aventi ciascuno un autonomo momento iniziale di decorrenza del termine di custodia cautelare;

tuttavia, nel caso in cui i provvedimenti successivi siano relativi a fatti i cui elementi probatori risultino già acquisiti agli atti al momento dell’emissione del primo di tali provvedimenti, l’inizio della decorrenza dei termini custodiali per tutti i provvedimenti va riportato al primo degli stessi (Cass. Pen. Sez. 1, 16.12.1993).

Si tratta del cd. istituto della "contestazione a catena" e l’accertamento degli elementi costitutivi di tale istituto costituisce apprezzamento riservato, quanto alla valutazione del materiale probatorio o indiziario, al giudice di merito che deve adeguatamente motivare il proprio convincimento. (Cass. Pen. Sez. 4, 18.01.2010 n. 9990).

Così inquadrata la questione va subito rilevato che nella specie il Tribunale ha risolto diversamente il gravame osservando che, a prescindere dalla questione della conoscibilità "ex ante" di tutti gli elementi probatori posti a base della seconda ordinanza cautelare, il motivo proposto era infondato atteso che: "dalla posizione giuridica dettagliata dell’imputato … emerge che alla data odierna non risulta ancora compiutamente decorso il termine di fase di custodia cautelare, individuata dall’autorità giudiziaria procedente al 18.11.2010" (motivaz. pag. 4).

Si tratta di una valutazione in fatto compiuta dal Tribunale sulla scorta del dato oggettivo delle risultanze della "posizione giuridica" dell’imputato particolarmente attendibile perchè, come è noto, tiene conto delle varie interruzioni della custodia cautelare dovuta alle sospensioni processuali nonchè all’intervento di altri titoli custodiali nel frattempo sopravvenuti.

A fronte di tale motivazione, fondata su una documentazione allegata agli atti del procedimento, il ricorrente propone un ricorso che risulta privo di specificità in quanto omette di affrontare l’elemento delle risultanze della "posizione giuridica" e si limita alla deduzione, del tutto generica, della mera sommatoria dei periodi di custodia.

La Giurisprudenza di legittimità, anche di questa sezione, ha espresso il principio per il quale è inammissibile, per genericità, il motivo di impugnazione con il quale non si esaminano specificamente – per confutarle – le considerazioni svolte dal provvedimento impugnato: per l’effetto, deve ritenersi inammissibile, per mancanza della specificità del motivo prescritta dall’art. 581 c.p.p., lett. c), il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato senza appunto cadere nel vizio di aspecificità che conduce, ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità del ricorso. (Cassazione penale sez. 2, 13 ottobre 2009, n. 44038).

Tale questione risulta assorbente di ogni altro motivo.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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