Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-12-2010) 10-01-2011, n. 243 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il GIP presso il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 17.05.2010, applicava la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di: I.P. perchè indagato per il reato di estorsione, aggravato L. n. 203 del 1991, ex art. 7 commesso in danno di R. M., titolare di un’agenzia immobiliare, che costringeva con minaccia a versare somme di denaro a suo tempo incassate dal R. quale frutto di intermediazione per un contratto non perfezionatosi;

l’aggravante derivava dalla condotta dell’indagato commessa al fine di avvantaggiare il sodalizio camorristico riconducibile al "clan Moccia".

Il Tribunale per il riesame di Napoli, con ordinanza del 08.06.2010, respingeva il reclamo proposto dall’indagato e confermava il provvedimento impugnato.

Avverso tale decisione, ricorre per cassazione il difensore, deducendo:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e).

Il ricorrente censura la decisione impugnata per:

1)- violazione di legge ed illogicità della motivazione per avere ritenuto provata l’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7 sulla base dell’utilizzo da parte dell’indagato, dell’espressione "siamo gli amici di (OMISSIS)";

a parere del ricorrente tale espressione sarebbe inidonea a fornire la prova in ordine all’aggravante contestata, trattandosi di formula non indicativa dell’agire con il metodo mafioso ed in ogni caso, dal tenore equivoco, stante il mero richiamo alla provenienza territoriale;

il ricorrente censura l’ordinanza per avere colmato tali lacune probatorie mediante il richiamo delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, le cui affermazioni riguardo all’affiliazione dello I. al clan camorristico non erano state sottoposte ad adeguato vaglio di credibilità intrinseca ed erano prive di riscontri;

in particolare il collaborante D.R. non era credibile per avere interrotto la collaborazione e per avere subito una condanna per calunnia;

2)- la penale responsabilità dell’indagato non poteva essere fondata sulla base della sola denuncia e del riconoscimento effettuato dalla parte offesa, per difetto di adeguata motivazione;

3)- l’ordinanza era illogica laddove aveva ritenuto l’ipotesi consumata dell’estorsione mentre nella specie andava ravvisata l’ipotesi del tentativo, atteso che l’indagato, dopo un iniziale intervento, era scomparso dalla vicenda ed atteso che il denaro, in realtà era stato consegnato ai fratelli P. in un primo momento e a tale Pi. in un secondo momento, senza la prova di un collegamento con la posizione dello I.;

CHIEDE pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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