Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-12-2010) 10-01-2011, n. 239

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza della Corte di appello di Palermo, emessa in data 13.01.2010:

I.F. veniva condannato per il reato di cui all’art. 416 bis c.p.;

Con istanza del 22.06.2010 lo stesso I., detenuto per questa causa, chiedeva alla predetta Corte di appello l’immediata scarcerazione per decorso del tempo massimo di custodia cautelare, fissato dall’art. 303 c.p.p. in anni 4;

La Corte di appello di Palermo, con ordinanza del 25.06.2010, respingeva l’istanza, osservando che, sebbene l’imputato risultasse sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere a partire dal 20.06.2006, il termine massimo della custodia cautelare, previsto in via generale dall’art. 303 c.p.p. in anni 4 (scadenti il 20.06.2010), in realtà non era ancora decorso, perchè andava aumentato – ex art. 304 c.p.p., comma 6 – dei periodi di sospensione, pari a: gg. 180 per il deposito delle sentenze di 1^ e 2^ grado e a tutto il periodo di durata dell’istruzione dibattimentale di 1^ e 2^ grado;

Tale provvedimento veniva confermato dal Tribunale per il riesame di Palermo con ordinanza del 16.07.2010;

Avverso tale decisione, ricorre per cassazione il detenuto I. F.:

motivi:

Il ricorrente censura la decisione impugnata per violazione di legge ed in particolare lamenta che il Tribunale non ha tenuto conto dei motivi di impugnazione, con i quali si segnalava come il termine massimo di custodia cautelare, al netto delle sospensioni, era ormai decorso;

a parere del ricorrente la decisione impugnata era da annullare per avere fondato il rigetto solo sulla scorta delle sospensioni dei termini di carcerazione, senza tenere conto dell’effettiva durata dei procedimenti di 1^ e 2^ grado;

CHIEDE pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono totalmente infondati.

Questa Corte di legittimità si è già espressa in ordine alla costituzionalità delle norme dedotte dal ricorrente in relazione alla previsione di aumento dei termini massimi di custodia cautelare ed, al riguardo, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b), n. 3 bis nella parte in cui prevede che, qualora si proceda per i delitti di cui all’art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a), i termini di custodia cautelare sono aumentati di sei mesi;

con tale pronuncia la Corte di legittimità ha espresso il principio che la disciplina citata non è in contrasto con la Carta costituzionale, perchè prevista in via particolare dal legislatore in relazione alla speciale gravità dei reati. Cassazione penale, sez. 2^, 24 settembre 2008, n. 40401.

Si tratta di un principio applicabile anche al caso in esame, riguardante l’aumento dei termini massimi di custodia cautelare ex art. 304 c.p.p., poichè la "ratio" delle due norme è la medesima.

In ogni caso corre l’obbligo di osservare che l’ordinanza impugnata enumera i provvedimenti con i quali si era dichiarata la sospensione dei termini in questione, evidenziando: che in due casi il termine era stato sospeso durante la pendenza del tempo stabilito per la stesura della sentenza (e quindi complessivamente per gg. 180) e nel terzo caso il termine era stato sospeso, con ordinanza dibattimentale del 28.03.09, durante la pendenza delle udienze del processo di 2^ grado; dal predetto provvedimento emergeva che anche il Gup aveva adottato analoga decisione nel corso del procedimento di 1^ grado.

I motivi proposti riguardo alla necessità di considerare i termini in oggetto, "al netto delle sospensioni" risultano pertanto del tutto infondati ed inammissibili.

Il termine ordinario, di anni 4, applicabile al caso di specie, andava a scadere in data 20.06.2010, sicchè risulta evidente che, in virtù delle proroghe conseguenti alle predette sospensioni, tale termine è, ancora oggi lungi dal decorrere.

I motivi di ricorso articolati collidono con il precetto dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in quanto trascurano di prendere in considerazione aspetti decisivi della motivazione del provvedimento impugnato, proponendo interpretazioni alternative, sicchè sono da ritenersi inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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