Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 23-11-2010) 10-01-2011, n. 282

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale della Libertà di Catania, con ordinanza del 15 aprile 2010, decidendo a seguito di rinvio della Corte di Cassazione, che con sentenza del 14 gennaio 2010 aveva annullato l’ordinanza emessa dal Tribunale di Catania il 22 luglio 2009 reiettiva dell’appello avverso il provvedimento del GIP di Catania dell’8 aprile 2009 di ripristino della custodia cautelare in carcere nei confronti di C.M., indagato per i reati di estorsione pluriaggravata e continuata nonchè di partecipazione e associazione finalizzata al traffico degli stupefacenti, ha confermato l’ordinanza del GIP di Catania.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato personalmente, lamentandone la violazione di legge e la motivazione mancante e illogica, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) e dell’art. 627 c.p.p. con particolare riferimento al mancato esame, imposto dai Giudici di legittimità in sede di rinvio, dell’entità della trasgressione della misura degli arresti domiciliari che aveva determinato l’automatico ripristino della custodia cautelare in carcere ai sensi dell’art. 276 c.p.p., comma 3.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è, all’evidenza, inammissibile.

2. Il ricorrente deduce, infatti, una totale mancanza di motivazione dell’impugnata decisione in ordine alla valutazione circa l’entità della trasgressione contestata all’imputato stesso, che nella realtà non sussiste.

Il Tribunale di Catania, al contrario, ha dato pienamente conto, con motivazione logica e fondata sul corretto esame delle circostanze di fatto e dei principi di diritto della materia, delle contestazioni mosse da questa Corte all’atto dell’annullamento della pregressa ordinanza, che aveva revocato la misura degli arresti domiciliari.

Nell’impugnato provvedimento, infatti, il Tribunale ha implicitamente, ma nel contempo in modo chiaramente evidenziabile, compiuto quella valutazione circa l’intensità della violazione delle prescrizioni imposte con la concessione degli arresti domiciliari con autorizzazione all’allontanamento ma solo per esigenze lavorative.

In punto di fatto è stato, infatti, evidenziato, come l’imputato sia stato rinvenuto, durante l’orario autorizzato all’espletamento di un’attività lavorativa, nel compimento di attività sportiva in una palestra privata che, all’evidenza, non rientra tra le funzioni destinate allo svolgimento dell’attività lavorativa stessa nè di altra attività destinata a provvedere "per il tempo strettamente necessario" alle indispensabili esigenze di vita (ex art. 284, comma 3).

Lo svolgimento dell’attività ginnica, pur se salutare, costituisce attività ludica, che denota la volontà di elusione delle prescrizioni imposte per una ragione affatto inadeguata al monito del Giudice, che aveva consentito all’imputato di lasciare il domicilio ma soltanto nel rispetto di indispensabili condizioni.

L’improntitudine e la leggerezza del C., al contrario, denotano la gravità della perpetrata violazione, soprattutto se rapportata alla gravità delle elevate imputazioni.

3. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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