Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 12-11-2010) 10-01-2011, n. 274

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale del Riesame di Roma ha confermato il sequestro preventivo disposto dal GIP della capitale su beni appartenenti a H.J. ed a H.X., assoggettati ad indagine per associazione per delinquere, ricettazione, contraffazione di marchi.

In un magazzino della TOTAL GROUP Srl, riferibile ai predetti, era rinvenuta ingentissima quantità di articoli (capi di abbigliamento e pendagli) frutto di contraffazione: all’interno si trovavano anche n. 3 macchine per cucire e strumenti ("plotter") utili per la contraffazione dei loghi e di etichette.

Avverso il provvedimento la difesa segnalava come fosse improponibile il delitto di ricettazione, postochè a fattispecie è incompatibile con il concorso nel reato (di contraffazione), che il delitto di ricettazione sarebbe stato consumato all’estero e, quindi, imperseguibile in Italia, che manca riscontro che i beni posseduti dai prevenuti siano frutto di attività illecita, sì da giustificare la confisca ai sensi della L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies.

Il Tribunale osservava che:

– quanto alla capacità economica, la dimostrazione fornita della redditività della società TOTAL GROUP era del tutto parziale, fermandosi al 2006 e che il patrimonio accertato in capo ai ricorrenti era fortemente superiore e non giustificabile con le risultanze acquisite, che irragionevole risulta come soltanto i ricorrenti risultassero privi di effettivo reddito, a fronte della cospicua ricchezza dei loro famigliari;

– che non risulta credibile la versione per cui la merce fosse prodotta nel magazzino oggetto di perquisizione, attesa la modestia delle attrezzature al cospetto della quantità del prodotto, onde era da concludersi che il marchio contraffatto era apposto in (OMISSIS), mentre altra parte perveniva già contraffatta; che il delitto commesso all’estero non è quello di ricettazione, bensì quello di contraffazione del marchio e la recezione in Italia dei beni così alterati integra condotta di ricettazione;

– se è possibile che i prevenuti siano stati beneficiari di mutui a lunga scadenza, è del pari certo che l’affidamento creditizio suppone un giudizio di solvibilità certa, tale che non è garantita da operai dipendenti privi di contratto a tempo indeterminato;

Il ricorso della difesa avverso l’Ordinanza del Tribunale del riesame eccepisce:

– l’inosservanza della legge processuale per avere posto a fondamento dei reati un fatto diverso da quello ipotizzato dall’accusa:

nell’iniziale prospettazione la merce sarebbe stata ricevuta e introdotta, (originario capo a) che, contemplando il delitto associativo, sottolinea l’attivazione (predisposizione dei mezzi di trasporto e dei locali per la custodia) per l’introduzione nel territorio nazionale della merce contraffatta; dunque non una recezione passiva della merce ma un’attività diretta al procacciamento per favorirne l’introduzione in Italia, mentre nella lettura del Tribunale cautelare ci sarebbe stata soltanto una passiva recezione del compendio illecito, senza svolgere alcun ruolo nell’introduzione nel territorio nazionale; tanto comporta una diversa ricostruzione fattuale e, quindi, una difforme prospettazione del fumus commissi delicti che diversamente giustifica il sequestro;

– l’erronea applicazione della legge penale poichè la ricettazione si consuma con il solo accordo tra cedente ed acquirente, la successiva detenzione è un post-factum rispetto alla consumazione del reato, sicchè si conferma la consumazione all’estero del reato e l’assenza di giurisdizione dell’AG italiana e la legittimità del sequestro;

l’erronea applicazione della legge penale per tutti quei beni contraffatti, nell’ipotesi dei giudici, in (OMISSIS), mancandovi la condotta di ricettazione per assenza del previo reato;

l’erronea applicazione della legge penale per la contestazione dell’art. 474 c.p., quando dovevasi ravvisare il solo art. 473 c.p. e, comunque, quando la clausola dettata dall’art. 474 c.p. esclude il concorso con la contraffazione dei marchi di cui all’art. 473 c.p.;

– l’erronea applicazione della legge penale per avere contestato ai ricorrenti la contemporanea condotta di gestore del commercio illecito e di importatore della merce da porre in commercio, attesa la clausola dell’art. 474 c.p. che impedisce di ravvisare penale responsabilità per la commercializzazione in capo al soggetto che agisca per l’introduzione in Italia dei beni contraffatti;

– omessa motivazione circa la sproporzione tra la capacità reddituale del soggetto ed il suo patrimonio, onde supporre la illegittima provenienza di quest’ultimo, non essendo indicati gli indici specifici che consentano di apprezzare la sproporzione.

Motivi della decisione

I motivi che segnalano la difforme lettura del dato di fatto e l’inconciliabilità con l’originaria impostazione di accusa, trascurano la circostanza che in alcun modo le condotte ascritte nei capi di addebito configurano comportamenti tratteggiati a carico degli stessi in via esclusiva: è caratteristica della fase delle indagini la elasticità dell’addebito e la sua suscettibilità alla variazione, all’esito del portato istruttorio, pertanto nella fase delle indagini preliminari la contestazione è soggetta a evoluzione e precisazione.

Orbene, nella formulazione degli addebiti è del tutto compatibile con il ravvisare la contemporanea imputazione di comportamenti di recezione passiva della merce e di attivazione per la sua introduzione nel territorio nazionale, abbisognando evidentemente la formulazione di dettaglio e precisazione accusatoria, si che l’ipotesi riconducibile alla fattispecie dell’art. 473 c.p., può ritenersi accompagnata da autonoma condotta rientrante nel paradigma dell’art. 474 c.p., essendo ancorato a dato erto ed obiettivo il possesso di beni portanti marchi contraffatti e pervenuti dall’estero ai prevenuti.

Tanto, se da un lato esclude le patologie processuali e penali rilevate dalla difesa, astrattamente ineccepibili, non incide sulle garanzie del contraddittorio attesa la esatta conoscenza del fatto in capo ai prevenuti (come dimostra anche l’attuale impugnazione), quel risultante dalla accusa. In ogni caso, invero, il sequestro fonda su una evidente situazione di illecita detenzione di oggetti dal marchio contraffatto, poichè al riguardo non vi è contestazione della difesa. Oggetti di provenienza estera sicchè essi furono certamente introdotti in Italia e detenuti per la loro rivendita. Parte degli stessi, invece, furono verosimilmente manomessi in Italia come attestano i macchinali rinvenuti, sì che al riguardo la motivazione dell’Ordinanza impugnata è del tutto plausibile e ragionevole.

Ancora, ai fini di una valida motivazione del sequestro preventivo di cose che si assumono pertinenti al reato di ricettazione non è necessario l’esatta individuazione e l’accertamento dei delitti presupposti, essendo sufficiente che essi risultino astrattamente configurabili: il provvedimento fornisce, al riguardo, adeguata motivazione. E’, d’altra parte, in discutibile che, sia il delitto di associazione per delinquere sia quello di ricettazione, consentano il sequestro preventivo sulle cose pertinenti al reato, come prevede l’art. 321 c.p.p., anche in vista della loro confisca, e che l’oggetto dei cespiti vincolati nella presente vicenda rientri nella categoria normativa.

Pertanto, richiamando quanto già osservato a proposito della necessaria genericità della contestazione del reato, nel corso delle indagini preliminari, modificabile quanto al fatto in qualsiasi momento, anche nel corso dell’udienza per il riesame delle misure cautelari, le perplessità avanzate dal ricorrente, anche a questo riguardo, perdono di interesse, non essendo legittimo pretendere, in questa fase iniziale della vicenda processuale, la medesima fissità e definitività che caratterizza l’imputazione nel contesto dibattimentale.

La valutazione della capacità reddituale del patrimonio del prevenuto è profilo che attendo al merito della vicenda, non può esser qui rivisitata, avendo ricevuto una plausibile spiegazione nel provvedimento impugnato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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