Cons. Stato Sez. V, Sent., 11-01-2011, n. 79 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza n. 2292 dell’8 novembre 2000 il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sez. III, respingeva, previa riunione, i tre separati ricorsi proposti dalla soc. G.E. s.r.l. per l’annullamento, rispettivamente, dei provvedimenti del sindaco del Comune di Campo nell’Elba n. 48 e n. 49 del 10 dicembre 1993, recanti il rigetto dell’autorizzazione ex at. 7 della legge n. 1497 del 1939 sulle istanze di sanatoria n. 15819 del 22 novembre 1985 e n. 10019 del 30 giugno 1987, nonché degli altri provvedimenti sindacali n. 953, 954 e 955 del 24 gennaio 1994 di rigetto delle istanze di sanatoria n. 15819 del 22 novembre 1985, n. 10019 del 30 giugno 1987 e n. 12066 del 1° giugno 1986 (primo ricorso, NRG. 1011/94); dei provvedimenti n. 11 e n. 12 del 16 febbraio 1994 e dei provvedimenti confermativi n. 48 e n. 49 del 10 dicembre 1993, di diniego dell’autorizzazione ex at. 7 della legge n. 1497 del 1939, nonché dei provvedimenti n. 2080 e n. 2081 del 16 febbraio 1994, confermativi dei provvedimenti n. 953 e n. 954 del 24 gennaio 1994, e dei provvedimenti n. 1698 e n. 1699 del 16 febbraio 1994, oltreché dei provvedimenti confermativi n. 1704 e n.1705 del 16 dicembre 1994, con cui veniva ingiunta la demolizione dei fabbricati oggetto delle relative istanze di sanatoria (secondo ricorso, NRG. 2222/94) e dei provvedimenti sindacali n. 15144, n. 15145, n. 15146 e n. 15147 dell’11 ottobre 1994, con i quali, facendosi seguito alle ingiunzioni di demolizione n. 1004 e 1705/94, si comunicava la data dei sopralluoghi per la redazione dei verbali di inottemperanza alle ingiunzioni nonché del verbale di accertamento di inottemperanza alla ingiunzione a demolire del 24 ottobre 1994, notificato il 7 novembre 1994 (terzo ricorso, NRG. 63/1995).

Secondo il Tribunale erano infondate tutte le censure sollevate, imperniate sull’eccesso di potere, violazione di legge (artt. 32, 35, primo comma, e 44 legge 47/85; art. 7 legge 1497/39; art. 5, comma 4, legge regionale n. 52/59) e difetto di motivazione, nonchè, con particolare riferimento al terzo ricorso, invalidità derivata e violazione di legge (combinato disposto art. 1, secondo comma, D.L. n. 551/94 e artt. 13 e 44 legge n. 47/85).

2. Con atto di appello notificato il 19 marzo 2001 la società G.E. s.r.l. chiedeva la riforma di tale sentenza, deducendone l’erroneità alla stregua di sei motivi di gravame (ancorchè nell’atto ne siano enumerati sette) attraverso cui riproponeva sostanzialmente le censure sollevate nel ricorso di primo grado, a suo avviso malamente apprezzate ed ingiustamente respinte con motivazione errata, carente e comunque non condivisibile, frutto di un approssimativo esame della stessa documentazione in atti.

Resisteva al gravame il Comune di Campo nell’Elba, deducendone l’infondatezza e chiedendone il rigetto.

3. Nell’imminenza dell’udienza di discussione del merito la società appellante, oltre a depositare ulteriore documentazione, con rituale memoria ha ampiamente illustrato le proprie tesi difensive, insistendo per l’accoglimento del gravame; anche l’amministrazione comunale ha ribadito con puntuale memoria le proprie deduzioni difensive, eccependo l’inammissibilità e comunque l’irrilevanza della nuova documentazione prodotta ex adverso.

All’udienza pubblica del 26 ottobre 2010, dopo la rituale discussione, la causa è stata introitata per la decisione.

Motivi della decisione

4. L’appello è infondato, il che esime la Sezione dall’esame della questione prospettata dall’amministrazione comunale appellata circa l’inammissibilità della produzione documentale effettuata dall’appellante in data 24 settembre 2010.

4.1. Possono essere esaminati congiuntamente i motivi di gravame sub I, II e VII, tutti riferiti agli impugnati dinieghi della sanatoria delle opere abusive di cui si discute.

Essi non sono meritevoli di favorevole considerazione.

4.1.1. L’appellante ha innanzitutto reiterato (motivo sub I) le censure di difetto di motivazione, di istruttoria e di travisamento di fatto, sollevate sia con il primo che con il secondo ricorso (NN.RR.GG. 1011/94 e 2222/94) nei confronti dei provvedimenti (nn. 48 e 49 del 10 dicembre 1993 e nn.11 e 12 del 16 febbraio 1994, questi ultimi sostanzialmente confermativi dei primi), con cui il sindaco del Comune di Campo nell’Elba non aveva autorizzato, ex art. 7 della legge n. 1497 del 1939, la sanatoria delle opere abusive in località Fetovaia per l’installazione di cabine prefabbricate asservite allo stabilimento balneare e per la struttura prefabbricata adibita a Bar – Pizzeria con tettoia e cabine spogliatoio e tettoia in legno e plastica per copertura posti macchina, rigettando di conseguenza le domande di condono (provvedimenti nn. 953, 954 e 955 del 24 gennaio 1999 e nn. 1698 e 1699, confermativi dei primi).

Sul punto, come ben rilevato dai primi giudici e come si evince dalla lettura dei predetti provvedimenti, occorre rilevare che essi sono fondati sul parere negativo reso dalla Commissione Edilizia Integrata dopo apposito sopralluogo, all’esito del quale, quanto alla richiesta di sanatoria per "installazione cabine prefabbricate asservite allo stabilimento balneare" è stato ritenuto ostativo "il particolare pregio ambientale del sito dove sono ubicate le strutture oggetto del condono", mentre quanto alla richiesta di sanatoria della "struttura prefabbricata adibita a Bar – Pizzeria con tettorie e cabine spogliatoio e tettoia in legno e plastica per copertura posti macchina in località Fetovaia" sono stati sottolineati, quali elementi ostativi, "l’infima qualità" delle strutture oggetto di condono, la difformità "tra gli elementi allegati all’istanza e lo stato di fatto", nonché nuovamente "il particolare pregio ambientale del luogo in cui sono ubicate le opere".

Orbene, se per un verso la circostanza (neppure contestata dall’appellante) che il predetto parere negativo è stato reso all’esito di un apposito sopralluogo esclude che possa ritenersi fondata la generica censura di difetto di istruttoria con riguardo all’effettiva verifica dello stato dei luoghi, d’altra parte la puntuale indicazione degli elementi ostativi all’accoglimento della richiesta sanatoria esclude altresì la sussistenza del dedotto vizio di difetto di motivazione, risultando in concreto assicurata la conoscenza delle ragioni di fatto e di diritto che hanno determinato le scelte dell’amministrazione e garantita la loro sindacabilità attraverso la ricostruzione dell’iter logico – giuridico ad esse sotteso.

Né può condividesi la pur suggestiva tesi dell’appellante, secondo cui l’onere motivazionale incombente sull’amministrazione sarebbe stato nel caso di specie rispettato solo formalmente e non già sostanzialmente a causa della concreta inidoneità delle ragioni esposte a consentire l’adeguato sindacato giurisdizionale sulle contestata scelte amministrative: una simile ricostruzione è infatti frutto di un evidente equivoco circa la natura giuridica della valutazione di compatibilità ambientale delle opere abusive e circa i limiti del relativo sindacato giurisprudenziale.

Il diniego di sanatoria delle opere abusive per incompatibilità ambientale è notoriamente frutto di una valutazione tecnica ampiamente discrezionale, tipica manifestazione del potere autoritativo dell’amministrazione, che come tale si sottrae al sindacato di legittimità, tranne le ipotesi di manifesta illogicità, arbitrarietà, irragionevolezza, irrazionalità ovvero macroscopico travisamento dei fatti (C.d.S., sez. VI, 7 ottobre 2008, n. 4823), che non si rinvengono nel caso di specie e che peraltro non sono state neppure dedotte e provate dall’appellante.

In realtà le contestazioni circa l’asserita genericità del parere della Commissione Edilizia Integrata sulla infima qualità delle opere da sanare e sul particolare pregio ambientale del luogo, lungi dall’evidenziare eventuali effettivi vizi di formazione del giudizio dell’amministrazione, si atteggiano a mere opinioni dissenzienti, volte a sovrapporre e/o sostituire alle valutazioni dell’amministrazione competente le proprie soggettive considerazioni, cosa che le rende gratuite ed apodittiche, privo di qualsiasi elemento di riscontro essendo l’assunto secondo cui l’amministrazione non avrebbe tenuto dello stato di sostanziale deterioramento, sotto il profilo edilizio, dei luoghi.

Quanto alla presunta irrilevanza della – peraltro non contestata – difformità tra gli elementi allegati all’istanza di sanatoria e la situazione di fatto, la Sezione deve ricordare che, conformemente ai fondamentali principi di lealtà e buona fede, cui devono essere improntati i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione, il primo, allorquando chiede all’amministrazione l’emanazione di un provvedimento a lui favorevole, ha l’obbligo di produrre un’istanza completa sotto il profilo documentale e veritiera sotto il profilo contenutistico, solo così radicandosi il correlativo obbligo di provvedere in capo all’amministrazione.

Nel caso in esame, avendo la Commissione Integrata Ambientale fondato il proprio parere negativo sulla richiesta sanatoria anche per la difformità tra la rappresentazione grafica dei luoghi, come risultante dalla domanda, e l’effettivo stato dei luoghi, era onere dell’interessato provare l’inesistenza della dichiarata difformità dimostrando la correttezza degli elaborati grafici ovvero dimostrando l’erronea percezione dello stato dei luoghi da parte dell’amministrazione, prove che nel caso di specie sono del tutto mancate.

Il primo motivo di gravame deve essere pertanto rigettato.

4.1.2. Ugualmente infondato è il secondo mezzo di gravame (sub II), con il quale l’appellante ha riproposto il motivo di censura spiegato nel secondo ricorso (NRG. 2222/94) circa la omessa e/o erronea valutazione da parte della Commissione Edilizia Integrata della esistenza di una pregressa autorizzazione ambientale della Soprintendenza che avrebbe riguardato anche le cabine prefabbricate (oggetto di richiesta di sanatoria), con conseguente erroneità della pronuncia impugnata: i primi giudici non avrebbero apprezzato tale circostanza, omettendo l’esame del relativo decisivo documento, essendosi essi limitati ad affermare in modo generico, ipotetico e perplesso che le cabine allora autorizzate sarebbero state ragionevolmente diverse da quelle oggetto della richiesta di sanatoria.

Occorre rilevare che il documento cui fa riferimento la società appellante, è costituito dalla nota in data 5 maggio 1961 inviata dalla Soprintendenza ai Monumenti e Galleria di Pisa alla Capitaneria di Porto di Portoferraio, con cui viene restituito "approvato" un progetto per l’impianto di uno stabilimento balneare in Marina di Campo, località Spiaggia di Fotovaia, località notificata ai sensi della legge n. 1497 del 1939 sulla protezione delle bellezze naturali: sennonché non solo tale documento non contiene alcuna espressa autorizzazione ambientale, per quanto, anche a voler ammettere che l’impianto balneare cui esso si riferisce coincidesse con le opere abusive oggetto di richiesta di sanatoria, l’eventuale parere favorevole sotto il profilo ambientale allora rilasciato non poteva avere alcun effetto sulla nuova situazione determinatasi a seguito dei successivi abusi edilizi (pacificamente) commessi sulla necessaria acquisizione del nulla osta ambientale di cui all’articolo 32 della legge n. 47 del 1985, come puntualmente evidenziato dai primi giudici.

D’altra parte, sotto un ulteriore concorrente profilo, deve anche osservarsi che, anche a voler condividere l’impostazione difensiva dell’appellante, la tesi dell’omessa valutazione della pregressa autorizzazione avrebbe potuto avere rilevanza solo se fosse stato provato (il che non è stato) che l’amministrazione comunale ne fosse stata a conoscenza, anche attraverso l’allegazione della sua copia alla istanza di sanatoria, non potendo per converso ammettersi in capo all’amministrazione comunale un (irragionevole) onere di istruttoria con riferimento ad atti o documenti di cui non aveva contezza, essendo stati emanati in tempi remoti da altre amministrazioni.

Non merita pertanto censura l’assunto dei primi giudici che hanno giustamanete sottolineato come, a tutto voler concedere ed in mancanza di qualsiasi prova contraria al riguardo, le opere oggetto delle istanza di sanatoria erano "(ragionevolmente) diverse da quelle eseguite 25 anni prima della presentazione delle varie domande di condono".

In conclusione deve negarsi che gli impugnati dinieghi di fondati siano affetti da difetto di motivazione o da carente istruttoria o da eccesso di potere per erroneo apprezzamento delle opere da condonare con l’effettivo stato dei luoghi, non essendo stato minimamente contestato il "particolare pregio ambientale del luogo dove sono ubicate le opere" abusive (comprovato proprio dalla stessa nota della Soprintendenza di Pisa del 5 maggio 1961) ed essendo del tutto irrilevante ai fini della pretesa illegittimità degli atti impugnati le abusive trasformazioni della zona.

4.1.3. Con il motivo sub VII la società appellante ha poi rilevato che gli impugnati dinieghi erano affetti anche dal vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento, vizio asseritamente contenuto nei ricorsi di primo grado sebbene non esplicitato in apposita rubrica, avendo l’amministrazione comunale in una fattispecie del tutto identica rilasciato il provvedimento di sanatoria delle opere abusive realizzate: l’esame di tale motivo era stato completamente omesso dai primi giudici.

Indipendentemente da ogni indagine sulla novità di tale censura (e quindi sulla sua stessa ammissibilità), la Sezione osserva che essa è in ogni caso infondata.

Come più volte avuto rilevato dalla giurisprudenza la censura di eccesso di potere per disparità di trattamento a fronte di scelte discrezionali dell’amministrazione è riscontrabile soltanto in caso di assoluta identità di situazioni di fatto e di conseguente assoluta irragionevole diversità del trattamento riservato, situazioni la cui prova rigorosa deve essere fornita dall’interessato (C.d.S., sez. IV, 18 febbraio 2010, n. 959; sez. V, 12 febbraio 2007, n. 579; sez. VI, 6 giugno 2008, n. 2720), con la precisazione che la legittimità dell’operato della P.A. non può comunque essere inficiata dall’eventuale illegittimità compiuta in altra situazione (C.d.S., sez. VI, 27 agosto 2010, n. 5980; 29 luglio 2009, n. 4732).

Nel caso di specie non solo la prova dell’assoluta asserita identità di situazioni non è stata fornita, per quanto proprio dalla documentazione esibita (ed in particolare della integrazione alla memoria tecnica) si evince una decisiva diversità di fatto tra le opere abusive della società appellante e quelle, oggetto di sanatoria, della società Pino Solitario s.n.c., per queste ultime essendo stato formulato un giudizio di "modesto impatto ambientale, peraltro attenuato dal corpo principale dello stabilimento e della copertura vegetazionale".

4.2. Con il motivo di gravame sub III la società appellante ha sostanzialmente reiterato la censura di difetto di motivazione degli impugnati provvedimenti di demolizione, emessi a notevole distanza di tempo dalla realizzazione degli abusi, senza alcuna valutazione dell’affidamento ingenerato.

La doglianza è priva di qualsiasi fondamento alla luce del consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (C.d.S., sez. IV, 1° ottobre 2007, n. 5049; 10 dicembre 2007, n. 6344; 31 agosto 2010, n. 3955; sez. V, 7 settembre 2009, n. 5229).

Peraltro, diversamente da quanto dedotto dalla società appellante, nella documentazione prodotta dall’appellante, temporalmente successiva alla presentazione delle istanze di condono (costituita dall’autorizzazione igienico – sanitaria all’esercizio di bar del 13 aprile 1988; dalla licenza stagionale di pubblico esercizio di snack bar del 26 aprile 1988 e dalla autorizzazione alla vendita stagionale di superalcolici pure del 26 aprile 1988, queste ultime due rilasciate con l’espressa clausola "fatto salvo ogni giudizio circa l’agibilità del locale sotto il profilo edilizio – urbanistico"), non vi è alcun elemento da cui possa evincersi la sia pur astratta condonabilità delle opere abusive in questione e che possa quindi aver fondato un qualsivoglia legittimo affidamento.

Sotto altro profilo, proprio la presentazione delle istanze di condono e quindi l’ammissione della commissione di abusi edilizi esclude qualsiasi rilevanza, ai fini del dedotto affidamento, del precedente permesso di costruire risalente al 1973 (ciò indipendentemente da ogni indagine in ordine alla inerenza di quest’ultimo alle opere abusive oggetto dei provvedimenti impugnati).

4.3. Con il motivo di gravame sub IV la società appellante ha dedotto ancora la erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui era stato respinto il secondo motivo del terzo ricorso di primo grado (NRG. 66/95), relativo alla violazione del combinato disposto dell’art. 1, secondo comma, del decreto legge 27 settembre 1994, n. 551, e successivi provvedimenti normativi di reiterazione, integrazione, modificazione e/o conversione, e degli artt. 13 e 44 della legge 28 febbraio 1985, n. 47: ciò in quanto la pendenza del termine per la richiesta di una nuova sanatoria determinava la sospensione dei procedimenti relativi a provvedimenti sanzionatori fino alla scadenza del termine (15 dicembre 1994) per la presentazione della domanda di concessione in sanatoria e dunque impediva l’adozione di qualsiasi provvedimento, non potendo condividersi la tesi sostenuta dai primi giudici, secondo cui la sospensione dei procedimenti, disposta dalla legge, non vietava all’amministrazione di compiere atti istruttori o di adottare provvedimenti, ma ne impediva soltanto l’esecuzione.

Anche tale doglianza non può trovare accoglimento.

Invero gli atti impugnati con il ricorso NRG. 66/95 sono rappresentati dalle note (nn. 15144, 15145, 15146 e 15147 dell”11 ottobre 1994) con cui il sindaco del Comune di Campo nell’Elba, sul presupposto della mancata ottemperanza all’ordine di demolizione delle opere abusive, ha comunicato la data del sopralluogo finalizzato alla redazione del verbale di inottemperanza, nonché proprio da quest’ultimo, datato 24 ottobre 1994.

Come correttamente rilevato dai primi giudici, essi, piuttosto che provvedimenti amministrativi, costituiscono dei semplici atti di natura istruttoria o di mero accertamento di fatti già verificatisi, quali l’inottemperanza all’ordine di demolizione e la successiva acquisizione a patrimonio comunale degli immobili abusivi, quest’ultima in particolare rappresentando un effetto ex lege che si realizza direttamente per il mero fatto dell’inottemperanza all’ordine di demolizione, allo scadere del relativo termine, il successivo verbale di accertamento avendo funzione meramente certificativa ai soli fini della immissione in possesso e della successiva trascrizione nei registri immobiliari (così Cass. pen., sez. III, 21 maggio 2009, n. 39075; C.d.S., sez. V, 12 dicembre 2008, n. 6174).

Rispetto ad essi non sussiste la ratio che giustifica l’istituto della sospensione dei procedimenti o dei provvedimenti (sanzionatori), finalizzata ad evitare eventuali pregiudizi per gli interessati in pendenza del termine per richiedere la sanatoria, pregiudizi che non possono ricollegarsi agli atti impugnati per la loro delineata natura giuridica (e destinati comunque ad essere eliminati in caso di accoglimento della nuova domanda di sanatoria).

D’altra parte, tenuto conto che i provvedimenti di diniego di condono cui sono connessi gli atti impugnati sono stati sostanzialmente fondati sul giudizio di incompatibilità delle opere abusive con gli interessi paesaggistici dell’area, non può fare a meno di ricordarsi l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui le previsioni di cui all’articolo 44 della legge n. 47 del 1985 (richiamato dall’articolo 39 della legge n. 724 del 1994), che prevedono la sospensione d’ufficio di tutti i procedimenti amministrativi in corso quale effetto automatico della presentazione della domanda di condono, non si applicano ai provvedimenti emessi a tutela del paesaggio (C.d.S., sez. V, 11 marzo 2010, n. 1429; sez. IV, 7 giugno 2005, n. 2892).

4.4. Infine è infondato anche il motivo di gravame sub VI con il quale la società appellante aveva lamentato la omessa notifica dei provvedimenti impugnati con il terzo ricorso (NRG. 66/1995) al suo effettivo legale rappresentate, quale autonoma ed ulteriore causa di legittimità degli stessi, rilevando che tale vizio non era stato neppure esaminato dai primi giudici.

Al riguardo, indipendentemente da ogni altra considerazione, è decisiva, ad avviso della Sezione, la circostanza che le questioni attinenti alla dedotta irregolarità o nullità della notifica di un provvedimento o di un atto amministrativo, essendo relative alla fase successiva al loro perfezionamento, non investono la loro validità, essendo piuttosto attinenti alla fase della loro comunicazione ai destinatari.

A ciò consegue che l’eventuale vizio comunicazione qualificata (notificazione), incidendo sulla conoscenza dell’atto, rileva solo ai fini della tempestività dell’impugnazione e dunque del pieno e corretto esercizio del diritto di difesa, profilo quest’ultimo che non ha costituito oggetto di contestazione, non essendosi giammai dubitato nel caso di specie della tempestività dei ricorsi, né essendo stato dedotto che a causa della asserità irregolarità o nullità della notifica la società ricorrente non abbia avuto piena conoscenza dei provvedimenti impugnati.

5. In conclusione l’appello deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla società G.E. s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sez. III, n. 2292 dell’8 novembre 2000, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento in favore della costituita amministrazione comunale delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano complessivamente in Euro. 3.000,00 (tremila).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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