Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Gli attuali ricorrenti riferiscono di essere proprietari ed usufruttuari di un’immobile sito in Cepagatti all’angolo tra via Nazionale e via Abruzzo e che tale proprietà era stata recintata negli anni sessanta dalla loro dante causa con recinzione metallica lungo l’intero perimetro e con la sistemazione di due accessi carrabili, chiusi da cancelli, con la creazione di due aree di sosta per veicoli. In sede di presentazione in data 7 maggio 2008 di una d.i.a. per l’esecuzione di alcuni lavori, sono stati presentati degli elaborati che attestavano la presenza di detta recinzione. Avendo il Comune su sollecitazione di un vicino (il sig. Sergio Amoroso) contestato l’abusività di tale recinzione, gli interessati hanno provveduto a demolire tale recinzione ed a smontare il cancello posti su via Nazionale.
Con il ricorso in esame sono insorti dinanzi questo Tribunale avverso l’ordinanza 22 febbraio 2010, n. 17, con la quale il Responsabile del Servizio Urbanistica e Assetto del territorio del Comune di Cepagatti ha loro ordinato la demolizione con ripristino delle stato dei luoghi delle seguenti opere edilizie realizzate in assenza di titolo edilizio:
a) invito cementato in rilievo realizzato sulla via Abruzzo, per una profondità di circa 3 metri ed una larghezza di circa 7 metri in concomitanza all’accesso carrabile;
b) recinto con muretto a confine della strada via Abruzzo.
Nel dedurre le censure di eccesso di potere per erroneità dei presupposti, per difetto di istruttoria e di motivazione, per illogicità e per falsa applicazione delle norme di diritto, si sono lamentati, nella sostanza, delle seguenti circostanze:
1) che la recinzione, esistente dal 1967, è posta ad una distanza superiore dal dovuto (2 metri) dal confine della sede stradale, originariamente strada poderale, poi divenuta strada locale comunale (di tipo F); che il c.d. recinto è un muro di contenimento, in quanto il fondo in parola è posto ad una quota superiore rispetto a quella della strada; che ugualmente il c.d. invito in cemento è rimasto invariato nel corso dei decenni, è interamente collocato all’interno dell’area di proprietà ed era stato interessato dai lavori di rifacimento del manto stradale ad opera del Comune, con l’apposizione di un tombino;
2) che l’apertura di un varco carrabile e la recinzione del fondo non sono incompatibili con la destinazione urbanistica dell’area;
3) che all’epoca della costruzione del recinto non era imposto il rispetto di distanze dalla sede stradale all’interno dei centri abitati;
4) che, ove l’epoca della costruzione del recinto dovesse farsi risalire al 1980 (come ipotizzato dall’Amministrazione), non era necessario il rilascio di concessione edilizia, per cui il Comune non avrebbe potuto ordinare la demolizione;
5) che la recinzione della parte ricorrente ha lo stesso allineamento delle altre recinzioni esistenti.
Il Comune di Cepagatti, ritualmente intimato, non si è costituito in giudizio.
Alla pubblica udienza del 2 dicembre 2010 la causa è stata trattenuta a decisione.
Motivi della decisione
Con l’impugnata ordinanza del Responsabile del Servizio Urbanistica e Assetto del territorio del Comune di Cepagatti è stata ingiunta la demolizione, con ripristino delle stato dei luoghi, delle seguenti opere edilizie:
a) invito cementato in rilievo realizzato sulla via Abruzzo, per una profondità di circa 3 metri ed una larghezza di circa 7 metri in concomitanza all’accesso carrabile;
b) recinto con muretto a confine della strada via Abruzzo.
Il ricorso, ad avviso del Collegio, appare fondato.
Deve al riguardo premettersi che i ricorrenti hanno allegato al ricorso una copiosa documentazione volta a meglio descrivere lo stato dei luoghi. E dall’esame di tale documentazione si rileva, innanzi tutto, che il terreno di proprietà del ricorrente è posto ad una quota leggermente superiore a quella delle strade circostanti ed, in particolare, di via Abruzzo; si rileva, inoltre, che parte dell’area di proprietà dei ricorrenti è destinata alla sosta di veicoli ed a tale area si accede mediante due passi carrabili.
Da tali atti di causa ed, in particolare, dalle numerosissime fotografie allegate al ricorso è possibile, inoltre, comprendere l’esatta consistenza delle opere di cui è stata ordinata la demolizione:
a) uno scivolo necessario per far superare alle autovetture il modesto dislivello per accedere al parcheggio;
b) un muro in cemento alto pochi centimetri sul quale è apposta una rete metallica sorretta da paletti, anch’essi in metallo.
Non è stata, al contrario, fornita la prova della data di costruzione delle opere in questione; per cui nel mentre i ricorrenti si limitano ad affermare che tali opere sono state realizzate negli anni sessanta, l’Amministrazione ha fatto risalire al 1980 l’epoca della realizzazione di tali opere.
Fatte tali precisazioni e prescindendo dalla data di effettiva realizzazione delle opere (che, comunque, deve farsi di certo risalire ad oltre trenta anni), va subito precisato che l’atto impugnato appare illegittimo nella parte con cui è stata ordinata la demolizione dell’opera sopra indicata alla lettera b), cioè del "recinto con muretto a confine della strada via Abruzzo".
Una volta, infatti, accertata la reale consistenza dell’opera in questione, sembra innanzi tutto evidente che il piccolo muro in cemento sia esclusivamente destinato al contenimento del terreno, in ragione del dislivello esistente tra la strada pubblica e la proprietà dei ricorrenti.
Mentre, relativamente all’apposizione della rete metallica a recinzione della proprietà, va ricordato che la giurisprudenza amministrativa ha costantemente precisato che il proprietario del fondo, in base al disposto dell’art. 841 del codice civile, ha il diritto di chiuderlo in qualunque tempo (cd. jus excludendi alios) e che l’esercizio di tale facoltà, la quale costituisce contenuto tipico del diritto dominicale, non può esercitarsi senza la costruzione di una recinzione, per cui la realizzazione di una modesta recinzione metallica, come quella ora all’esame, non mutando la destinazione urbanistica dell’area e limitandosi a dare concreta attuazione al diritto del proprietario di chiudere il fondo, non necessita di specifico titolo edilizio. E tale conclusione trova oggi piena conferma nell’art. 6 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, così come modificato dall’art. 5 del D.L. 25 marzo 2010, n. 40, e dalla relativa legge di conversione 22 maggio 2010, n. 73.
Quanto, poi, all’ipotizzato mancato rispetto della distanza di tale recinzione dalla sede stradale, va osservato che via Abruzzo era originariamente una strada poderale, poi divenuta strada locale comunale di tipo F, in relazione alla quale deve essere rispettata, trovandosi all’interno del centro abitato, la distanza di 2 metri dal confine della sede stradale (art. 15 delle N.T.A del P.R.G. vigente nel Comune). Ora, agli atti di causa è stata depositata una articolata documentazione (anche riprodotta in modo riassuntivo nella prima parte dell’elaborato allegato alla d.i.a. presentata il 24 giugno 2008) nella quale è riportata non solo la linea di confine catastale della strada in questione, ma anche la distanza della recinzione da detta linea; e dall’esame di tali atti si rileva che tale distanza è nella specie di certo superiore a metri due. Peraltro, va, in aggiunta osservato che sulla stessa linea sono poste anche tutte le altre recinzioni esistenti sulla strada in questione.
Quanto, poi, allo scivolo (definito nell’atto impugnato come "invito cementato in rilievo"), va evidenziato che dalla stessa documentazione si evince, innanzi tutto, che catastalmente l’area interessata da tale scivolo è di proprietà privata ed, in quanto necessaria per consentire alle autovetture di raggiungere il parcheggio interno, costituisce oggi – come già detto – un’attività libera, dal momento che costituisce una "opera di finitura degli spazi esterni". Peraltro, ove dovesse ritenersi che tale area sia di proprietà pubblica, in quanto, come gli stessi ricorrenti rappresentano, il Comune aveva proceduto in anni passati ai lavori di rifacimento del manto stradale ed all’apposizione di un tombino, sembra per altro verso evidente che i ricorrenti non potrebbero oggi procedere ad effettuare la richiesta demolizione ed a modificare lo stato di luoghi ed immobili non più di loro proprietà.
Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso in esame deve, conseguentemente, essere accolto e, per l’effetto, deve essere annullato l’atto impugnato.
Le spese, come di regola (art. 26 del codice del processo amministrativo ed art. 92 del cod. proc. civ., così come modificato dall’art. 45, n. 11, della L. 18 giugno 2009, n. 69), seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’impugnata ordinanza 22 febbraio 2010, n. 17, del Responsabile del Servizio Urbanistica – Assetto del territorio del Comune di Cepagatti.
Condanna il Comune di Cepagatti al pagamento a favore dei ricorrenti delle spese e degli onorari di giudizio che liquida nella complessiva somma di Euro 3.000 (tremila) oltre agli accessori di legge (IVA, CAP e spese generali).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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