Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 01-12-2010) 11-01-2011, n. 535 Rinuncia all’impugnazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

T.R., tramite il proprio difensore, proponeva ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza in data 22 giugno 2010, emessa dal Tribunale di Cagliari, con la quale veniva dichiarata inammissibile l’impugnazione proposta, ai sensi dell’art. 310 c.p.p., contro l’ordinanza del G.I.P. di Oristano del 17 maggio 2010 di rigetto di un’istanza di revoca della misura cautelare della custodia in carcere applicata al predetto, in sostituzione della meno afflittiva misura degli arresti domiciliari, sul presupposto della trasgressione del divieto di allontanamento dalla propria abitazione.

Il Tribunale aveva infatti dichiarato l’inammissibilità del gravame considerando che il T., dopo aver proposto appello avverso l’ordinanza di aggravamento della misura precedentemente applicata, vi rinunciava, determinandone l’inammissibilità e proponeva successivamente istanza di revoca fondata sulle medesime ragioni e, cioè, sulla mancata valutazione, da parte del giudice, delle "eventuali giustificazioni fornite dall’interessato agli organi di polizia giudiziaria che abbiano contestato l’esistenza della trasgressione".

Considerando che l’atto d’appello e, ancor prima, l’istanza di revoca contenevano le medesime censure proposte in occasione dell’appello precedentemente rinunciato, il Tribunale dichiarava l’inammissibilità dell’impugnazione.

Il ricorrente denunciava così l’inosservanza, da parte del Tribunale, delle norme processuali stabilite a pena nullità, inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) nonchè la manifesta illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Lamentava, in particolare, che, contrariamente a quanto affermato dai primi giudici, non poteva ritenersi formato il c.d. giudicato cautelare a seguito di mancata impugnazione ex art. 309 c.p.p. del provvedimento custodiale o di rinuncia alla stessa e che, pur in mancanza di un precedente riesame, non era preclusa la possibilità di richiedere la revoca della misura per mancanza delle condizioni di applicabilità anche in assenza di fatti sopravvenuti.

Aggiungeva, in conclusione, che non poteva ritenersi perfezionato il giudicato cautelare nei casi in cui non vi è stata impugnazione o la stessa sia stata dichiarata inammissibile a seguito di rinuncia.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato e, pertanto, merita accoglimento Il ricorrente propone, alla luce delle indicazioni fornite dalla giurisprudenza di questa Corte (in particolare SS. UU. n. 29952 del 9 luglio 2004), una condivisibile lettura delle disposizioni applicate nella fattispecie.

Richiamando, infatti, l’ambito di applicazione del "giudicato cautelare" delineato dalla giurisprudenza, ipotizza la possibilità che esso non possa formarsi nel caso in cui sia intervenuta una declaratoria di inammissibilità a seguito di rinuncia all’impugnazione.

A tale proposito, va osservato preliminarmente che la giurisprudenza richiamata dal ricorrente ha principalmente preso in esame, con riferimento alle misure cautelari reali, la questione relativa agli effetti della mancata, tempestiva proposizione del riesame ed, in particolare, della possibile preclusione della revoca per mancanza delle condizioni di applicabilità in assenza di fatti sopravvenuti.

All’esito dell’esame dei diversi e contrapposti indirizzi giurisprudenziali, le SS. UU. giungono ad una risposta negativa, fornendo un chiaro quadro dei limiti di efficacia del "giudicato cautelare" e delle ragioni che hanno indotto dottrina e giurisprudenza all’individuazione di tale preclusione processuale.

Viene peraltro richiamata, nell’accurato esame dei precedenti giurisprudenziali, altra pronuncia delle medesime SS.UU. riguardante, in modo specifico, le misure cautelari personali (SS.UU. n. 11, 28 luglio 1994).

Sono, così, poste in risalto le differenze tra revoca e riesame, chiarendo come la prima, non essendo un mezzo di impugnazione, sia applicabile in ogni momento o fase del procedimento e che, considerata tale sua natura, oltre che la mancanza di espresse disposizioni in tal senso, devono escludersi ipotesi di preclusione tali da rendere inammissibile l’una in base al percorso scelto per l’altra.

Ricordato, inoltre, come il "giudicato cautelare" trovi la propria ragion d’essere nella necessità di assicurare stabilità ai provvedimenti cautelari ed in evidenti esigenze di economia processuale, volte ad impedire la riproposizione di questioni già sottoposte al vaglio del giudice, ne veniva sottolineata la differenza rispetto al giudicato in senso proprio, osservando come la peculiarità del provvedimento cautelare subordini la sua efficacia alla permanenza delle condizioni di applicabilità che ne giustificano l’imposizione e si ponga, quindi, in contrasto con il concetto di stabilità ed immutabilità che caratterizza il giudicato ordinario.

Si è poi precisato che con l’istanza di revoca non possono riproporsi motivi già dedotti in sede di riesame e che, in assenza di un mutamento del quadro processuale di riferimento, la riproposizione di istanze fondate sui medesimi motivi rigettati con decisione definitiva è inammissibile.

Ulteriori differenze, tra revoca e riesame, sono evidenziate anche nella richiamata decisione delle SS.UU. del 1994 attraverso il riferimento, ad esempio, al contenuto dell’art. 299 c.p.p., comma 3, che prevede la possibilità di revoca d’ufficio della misura cautelare, situazione che si pone in evidente incompatibilità con il sistema delle impugnazioni, attivabile esclusivamente per impulso dell’interessato; alla diversa collocazione topografica all’interno del codice di rito; alle diverse funzioni attribuite al procedimento di riesame ed a quello di revoca delle misure.

Tali differenze portano ad escludere che l’esercizio del potere di revoca, fondato sull’esigenza di verificare la esistenza originaria delle condizioni di applicabilità della misura e la loro persistenza attuale, sia soggetto alle preclusioni processuali tipicamente conseguenti ai procedimenti incidentali di impugnazione in ragione della loro specifica natura.

Viene inoltre escluso che, dalla richiesta di revoca fondata sulla sopravvenienza di fatti nuovi, possa conseguire un’acquiescenza tacita circa la legittimità originaria dell’ordinanza cautelare.

Le Sezioni Unite richiamano anche l’attenzione sull’assenza, nel sistema processuale penale, del principio generale di acquiescenza quale causa di inammissibilità dell’impugnazione al di fuori dei casi espressamente previsti e presente, invece, in quello civile.

Nel delimitare l’ambito di efficacia del "giudicato cautelare" si fa quindi ricorso al criterio della "preclusione processuale", ritenuto più appropriato e di efficacia limitata alle questioni esplicitamente o implicitamente dedotte e non anche a quelle deducibili e, quindi, non riferibile ai casi in cui manchi del tutto l’attivazione degli strumenti processuali di controllo.

In parte diverso è però il caso, da esaminare in questa sede, possibile equiparazione degli effetti conseguenti alla mancata impugnazione stessa.

Il Tribunale, nel provvedimento oggetto di ricorso, ha infatti richiamato l’attenzione sulla circostanza che l’appello proposto avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di revoca della misura applicata al T., era fondato sui medesimi motivi già posti a sostegno di un precedente appello al quale l’impugnante aveva rinunciato e che riguardavano la sussistenza dei presupposti per l’imposizione della misura.

A tale proposito i giudici richiamano un precedente giurisprudenziale di questa Sezione (n. 20362, 19 maggio 2001) ove si assume che il riesame, al pari di ogni altro mezzo d’impugnazione, è rimesso alla volontà dell’impugnante, il quale, come ha il potere di proporlo, così ha facoltà di rinunciarvi, togliendovi effetto, giungendo poi alla conclusione che "(…) l’inammissibilità del gravame, dichiarata dal tribunale del riesame in conseguenza della rinuncia con ordinanza non impugnata, produce sulla misura applicata lo stesso effetto di giudicato cautelare che se la richiesta di riesame non fosse stata proposta".

Tale decisione appare tuttavia superata alla luce delle richiamate considerazioni delle Sezioni Unite che hanno ben chiarito i limiti del "giudicato cautelare".

Ciò posto, deve osservarsi che, seppure la mancata impugnazione sia connotata dalla mera inerzia – volontaria o accidentale – mentre la rinuncia all’impugnazione è la conseguenza di una scelta deliberata che si manifesta attraverso un atto negoziale processuale abdicativo e recettizio che ha come effetto l’estinzione del gravame, in entrambi i casi sono identici gli effetti, perchè il giudice si limita a prendere cognizione, esclusivamente, dell’esistenza di una situazione che impedisce l’ulteriore corso del procedimento incidentale e non procede a nessun’altra valutazione.

Mancando, in entrambi i casi, qualsiasi verifica della situazione cautelare, non possono quindi ritenersi prodotti gli effetti preclusivi che sarebbero invece determinati da una decisione nel merito.

Va dunque affermato, in conclusione, che l’inammissibilità del gravame conseguente a rinuncia dell’avente diritto all’impugnazione non determina, al pari della mancata impugnazione, alcuna preclusione conseguente alla formazione del cosiddetto giudicato cautelare.

Ne consegue l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Cagliari.

Dispone, inoltre, che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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