Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-12-2010) 12-01-2011, n. 602 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 12 luglio 2010, il Tribunale di Napoli ha respinto l’istanza proposta da A.M., intesa ad ottenere il riesame dell’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Napoli del 4 maggio 2010, con la quale era stato emessa nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere, siccome indagato per il reato di tentata estorsione aggravata anche dall’uso di metodi di intimidazione mafiosa in danno di I.M., al quale era stato chiesto di versare la somma di Euro 400,00 per poter rientrare in possesso dell’autovettura Opel provento di furto in danno di un cittadino di nazionalità tunisina (art. 56, art. 629, comma 2 in relazione all’art. 628 c.p., comma 3, n. 1; L. n. 203 del 1991, art. 7).

2. Il Tribunale ha ritenuto la piena utilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla parte offesa, a cui carico non era stato ritenuto sussistere alcun indizio di reità in ordine alla reato di furto dell’autovettura medesimo; ha altresì ritenuto che non era accoglibile l’istanza proposta dall’indagato, intesa ad ottenere la retrodatazione, ex art. 297 c.p.p., della sua carcerazione ad una precedente ordinanza custodiale emessa nei suoi confronti nel 2007 per il reato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, atteso che i gravi indizi in ordine all’episodio, di cui al presente processo, erano emersi in epoca di gran lunga successiva e cioè soltanto nel 2009.

Il Tribunale ha altresì ritenuto a carico del ricorrente la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato ascrittogli, costituiti dalle chiare e circostanziate dichiarazioni rese dalla parte offesa I.M., riscontrate da tre telefonate captate, intercorse in data 2 gennaio 2003 tra l’odierno indagato ed il concorrente C.A., giudicato a parte, dalle quali era emerso l’interessamento di quest’ultimo al recupero dell’auto, avendo il C. affermato che l’autovettura in questione era sostanzialmente sua, pur essendo formalmente intestata al cittadino tunisino; era inoltre emerso che la parte offesa aveva riconosciuto fotograficamente l’odierno indagato come la persona che, assieme al C., lo aveva obbligato a pagare la somma di Euro 400,00 per ottenere la restituzione dell’autovettura.

Il Tribunale ha poi ritenuto la sussistenza della circostanza aggravante del metodo mafioso, tenuto conto delle modalità esecutive della condotta, espressione della capacità di intimidazione dei clan camorristico, che l’indagato aveva inteso agevolare (il clan facente capo a N.A., operante nella zona di Nola), clan che la persona offesa certamente ben conosceva, essendo egli stesso inserito nella criminalità nel territorio; occorreva infatti tener presente che, nella vicenda criminosa in esame, l’indagato si era atteggiato a tutore dell’ordine pubblico in alternativa ed in opposizione rispetto allo Stato.

Secondo il Tribunale sussistevano infine esigenze cautelari ex art. 275 c.p.p., comma 3 in ordine all’adeguatezza della misura custodiale detentiva, tenuto conto della contestata aggravante del metodo mafioso; doveva poi essere tenuta presente l’indubbia gravità dei fatti ascritti, tali da porre in luce l’allarmante personalità dell’indagato, gravato da numerosi precedenti penali e giudiziari.

3. Avverso detto provvedimento del Tribunale del riesame di Napoli A.M. ha proposto ricorso per cassazione per il tramite del suo difensore, che ha dedotto violazione di legge e motivazione contraddittoria.

Ha rilevato che non potesse parlarsi nella specie di intimidazione mafiosa, in quanto i fatti in questione si erano svolti in modo del tutto privo dei connotati della violenza e della minaccia; inoltre era da ritenere che l’autorità giudiziaria fosse ben consapevole della riferibilità del reato di furto dell’auto alla parte offesa.

Era poi applicabile alla specie la norma di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3, atteso che nel precedente procedimento penale a suo carico per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso egli rispondeva altresì di numerose estorsioni, per le quali aveva subito condanna in continuazione con il reato associativo; ed il numero di registro generale notizie di reato del presente processo era identico al numero identificativo del processo per associazione a delinquere di stampo mafioso, conclusosi nei suoi confronti con sentenza del 30 maggio 2010.

Non era poi ipotizzabile a suo carico l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 in quanto, se il coindagato C.A. aveva sostenuto di essere stato lui il vero proprietario dell’autovettura e non il cittadino marocchino che ne aveva denunciato il furto e che ne sarebbe stato solo il formale intestatario, egli avrebbe potuto al massimo aver commesso un reato di violenza privata in concorso, trattandosi di un affare privato, che non coinvolgeva la sua appartenenza ad un’associazione camorristica; ed in tal caso era ingiustificata l’applicazione di una misura cautelare carceraria, essendo i fatti risalenti al 2003 ed essendo tale ultimo reato tale da consentire l’arresto solo in flagranza ed in via facoltativa.

Motivi della decisione

1. Il ricorso proposto da A.M. avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli del 12 luglio 2010 è infondato.

2. Con esso il ricorrente censura l’ordinanza impugnata in quanto non sarebbero emersi a suo carico indizi sufficienti per ritenerlo responsabile dell’episodio di tentata estorsione aggravata, descritto in narrativa.

3. Trattasi peraltro di censure con le quali il ricorrente ripropone, nella presente sede di legittimità, doglianze già esaminate e respinte dal Tribunale del riesame di Napoli e che non possono essere riproposte nella presente sede di legittimità, siccome attinenti al merito.

Si osserva infatti che, qualora vengano denunciati con ricorso per cassazione vizi di motivazione relativi alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in vista dei quali il Tribunale del riesame ha confermato l’adozione della misura cautelare della custodia in carcere, questa Corte, in considerazione della giurisdizione di legittimità esercitata, può solo verificare se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni, che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario emerso a carico del ricorrente, si da ritenere adeguata la misura cautelare della custodia in carcere.

Pertanto il metodo di valutazione è quello stesso previsto per la mancanza di motivazione, ovvero per la motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) c.p.p. (cfr., in termini, Cass. SS. UU. 22.3.2000 n. 11;

Cass. 4^, 8.6.07 n. 22500).

Il provvedimento emesso dal Tribunale del riesame di Napoli, impugnato nella presente sede, siccome adottato allo stato degli atti, correttamente ha apprezzato la consistenza degli indizi fino a quel momento raccolti a carico del ricorrente e, con motivazione incensurabile nella presente sede di legittimità, siccome esente da illogicità e contraddizioni, ha ritenuto detti indizi adeguati a fondare l’imputazione di tentata estorsione aggravata in danno di I.M..

I gravi indizi, ravvisati dal Tribunale di Napoli a carico del ricorrente sono consistiti:

nelle dichiarazioni rese dalla p.o., ritenute intrinsecamente attendibili e pienamente utilizzabili, in quanto dagli atti non erano emersi indizi di reità a suo carico in ordine al furto dell’autovettura in questione;

nelle intercettazioni telefoniche in data 2 gennaio 1003, captate tra il ricorrente ed il concorrente C.A., dalle quali era emerso il loro interessamento alla vicenda del furto dell’autovettura; d’altra parte il C. non aveva negato di essere interessato alla vicenda, in quanto la vettura rubata era stata da lui stesso indicata come di sua effettiva proprietà, pur se formalmente intestata al cittadino tunisino;

nel riconoscimento fotografico, con il quale la parte offesa ha indicato l’odierno ricorrente come la persona che, in compagnia del C., lo aveva costretto a pagare al ricettatore la somma di Euro 400,00 per far ottenere al cittadino tunisino la restituzione dell’autovettura al medesimo rubata.

La motivazione con la quale il Tribunale di Napoli ha ritenuto il quadro indiziario emerso a carico dell’ A. così grave da far luogo alla misura cautelare della custodia in carcere, è pertanto congrua ed adeguata.

Non è dato poi inquadrare i fatti nell’ambito del reato di violenza privata, di cui all’art. 610 c.p., come chiesto dal ricorrente, atteso che, nella specie in esame, è ravvisabile, oltre alla coartazione della libertà di autodeterminazione della p.o., altresì la preordinazione di tale coartazione a procurare al ricorrente un ingiusto profitto, costituito dall’esborso di Euro 500,00 che la p.o. è stata costretta a versare per ottenere la restituzione dell’auto rubata (cfr. Cass. 5^, 19.4.06 n. 32011, rv.235195).

4. Sussiste poi a carico dell’indagato l’aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7 convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, ravvisabile nella specie per aver egli commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p., ovvero al fine di agevolare l’attività di associazioni previste nell’articolo da ultimo citato ed è configurabile a carico dei soggetti, i quali, partecipi o meno di reati associativi, utilizzino metodi mafiosi e cioè ostentino nel loro comportamento in maniera evidente e provocatoria una condotta intimidatoria idonea ad esercitare sui soggetti passivi quella grave pressione di carattere psicologico e quella conseguente intimidazione che sono tipiche delle organizzazioni di tipo mafioso (cfr. Cass. 1^, 9.3.04 n. 16486; Cass. 1^, 18.3.1994 n. 1327).

Applicando tali principi giurisprudenziali al caso in esame, si rileva che il Tribunale di Napoli ha correttamente motivato circa la sussistenza di detta aggravante, con riferimento al reato di tentata estorsione aggravata, contestato al ricorrente, sottolineando come quest’ultimo avesse evocato innanzi alla vittima la forza intimidatrice propria del clan camorristico di appartenenza, facente capo a N.A., operante nella zona di Nola ed essendosi il medesimo atteggiato a tutore e garante dell’ordine pubblico nella zona, in alternativa ed in opposizione rispetto agli organi dello Stato a ciò deputati; il che costituiva uno dei tratti più caratteristici e tipici della mentalità e del modo di agire mafioso.

Il provvedimento impugnato ha poi rilevato come l’aggravante anzidetta rendeva presunte per legge le esigenze cautelari e l’adeguatezza della misura custodiale in carcere, ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3, anche in considerazione dell’indubbia gravità dei fatti ascritti al ricorrente, tali da manifestare capacità di sopraffazione dell’altrui volontà, con il richiamo al collegamento con gruppi criminali organizzati.

5. L’ordinanza impugnata ha infine adeguatamente motivato in ordine all’inapplicabilità alla specie della norma di cui all’art. 297 c.p.p., ritenendo che, nella specie, l’ordinanza cautelare in carcere, impugnata nella presente sede, non poteva farsi retrodatare ad una precedente custodia cautelare, emessa nei confronti del medesimo ricorrente nel 2007 per il reato di partecipazione ad associazione criminosa di stampo mafioso, atteso che gli elementi indiziari a carico del ricorrente per il reato di tentata estorsione aggravata, di cui è causa, erano emersi in epoca successiva rispetto all’emissione della precedente custodia cautelare in carcere, in quanto la p.o. I. aveva reso dichiarazioni ed aveva riconosciuto l’odierno ricorrente come autore della tentata estorsione aggravata, di cui è causa, solo nel 2009. 6. Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso proposta da A.M., con sua condanna, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

7. Si provveda all’adempimento di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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