Corte Costituzionale, Sentenza n. 63 del 2012, in tema di artt. 30, c. 4°, 53, c. 4°, e 67, c. 1°, dello Statuto della Regione Molise

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 12 del 21-3-2012

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale degli articoli 30, comma
4, 53, comma 4, e 67, comma 1, dello statuto della Regione Molise
approvato, in prima lettura, con deliberazione del Consiglio
regionale n. 184 del 19 luglio 2010, confermato, in seconda lettura,
con deliberazione n. 35 del 22 febbraio 2011, promosso dal Presidente
del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 29 marzo/1°
aprile 2011, depositato in cancelleria il 5 aprile 2011 ed iscritto
al n. 30 del registro ricorsi 2011.
Udito nell’udienza pubblica del 24 gennaio 2012 il Giudice
relatore Giuseppe Tesauro;
udito l’avvocato dello Stato Giacomo Aiello per il Presidente del
Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso spedito per la notifica in data 29
marzo/1°aprile 2011, depositato presso la cancelleria della Corte il
successivo 5 aprile, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha
promosso questione di legittimita’ costituzionale degli articoli 30,
comma 4, 53, comma 4, e 67, comma 1, dello statuto della Regione
Molise, approvato, in prima lettura, con deliberazione del Consiglio
regionale n. 184 del 19 luglio 2010, confermato, in seconda lettura,
con deliberazione n. 35 del 22 febbraio 2011, pubblicato nel
Bollettino Ufficiale della Regione n. 7, edizione straordinaria, del
2 marzo 2011, in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera
l), e quinto comma, della Costituzione, ed agli articoli 121, secondo
comma, e 123 della Costituzione.
1.1. – Secondo il ricorrente, l’art. 30, comma 4, dello statuto
della Regione Molise, nella parte in cui stabilisce che le
commissioni consiliari permanenti, al fine di svolgere la funzione di
"vigilanza" sull’andamento dell’amministrazione regionale, «possono
altresi’ convocare funzionari dell’amministrazione regionale e degli
enti dipendenti i quali, in seduta non pubblica, sono esonerati dal
segreto d’ufficio» si porrebbe in contrasto con la disciplina statale
in materia di segreto d’ufficio, violando l’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost., che riserva alla competenza legislativa statale
esclusiva la materia dell’ordinamento civile e penale, nonche’ l’art.
123 Cost. che regola la potesta’ statutaria delle Regioni ad
autonomia ordinaria. La norma impugnata, infatti, escludendo,
peraltro genericamente, l’obbligo del segreto d’ufficio in relazione
a qualsiasi atto dell’amministrazione, porrebbe eccezioni al
principio contenuto nell’art. 326 del codice penale, che prevede il
reato di rivelazione di segreti d’ufficio e che puo’ essere derogato
solo con normativa statale, in violazione della competenza
legislativa statale esclusiva in materia di ordinamento civile e
penale.
1.2. – Anche l’art. 53, comma 4, dello statuto, il quale
stabilisce che, con riguardo agli enti, aziende ed agenzie regionali,
«il personale degli enti pubblici non economici e’ equiparato al
personale regionale», sarebbe in contrasto con l’art. 117, secondo
comma, lettera l), Cost., che riserva alla competenza legislativa
statale esclusiva la materia dell’ordinamento civile e con l’art. 123
Cost. che regola la potesta’ statutaria delle Regioni ad autonomia
ordinaria. Detta norma, equiparando a quello regionale il personale
degli enti pubblici non economici, peraltro genericamente, cosi’ da
generare anche incertezza sul regime giuridico del medesimo,
impedirebbe «il corretto evolversi della disciplina contrattuale
collettiva dei vari comparti interessati, sottraendo per legge
materia alla contrattazione, in violazione del principio generale
dettato sin dalla legge 29 marzo 1983, n. 93 (Legge quadro sul
pubblico impiego), che ha riservato alla contrattazione collettiva
per comparti la competenza primaria di regolazione del rapporto di
lavoro pubblico».
1.3. – Infine, il ricorrente impugna l’art. 67, comma 1, dello
statuto, che regola i rapporti della Regione con l’Unione europea,
nella parte in cui prevede che la Giunta regionale «realizza la
partecipazione» alla cosiddetta fase ascendente dell’attivita’
normativa europea e, nella fase discendente, «provvede all’attuazione
ed esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione
europea». Cosi’ disponendo, tale norma sarebbe costituzionalmente
illegittima, in primo luogo, in quanto riserva la competenza in
materia alla Giunta regionale, laddove l’art. 117, quinto comma,
Cost. la attribuisce alla Regione e quindi a tutti i suoi organi, e
poi, in particolare con riferimento alla fase cosiddetta discendente
(di attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli
atti dell’Unione europea), in quanto riserva la competenza a svolgere
le connesse attivita’ alla Giunta, che ha solo competenze di natura
provvedimentale, laddove per le attivita’ di natura legislativa e
regolamentare, pure coinvolte, la competenza non puo’ che essere del
Consiglio regionale, ai sensi dell’art. 121, secondo e terzo comma,
Cost.
2. – La Regione Molise non si e’ costituita in giudizio.
3. – Nell’imminenza dell’udienza pubblica il Presidente del
Consiglio dei ministri ha depositato memoria, con la quale ha
insistito nel chiedere l’accoglimento delle questioni di legittimita’
costituzionale promosse con il ricorso. In particolare, il ricorrente
ha ulteriormente precisato, quanto all’art. 30, comma 4, che detta
norma invaderebbe la sfera di competenza statale esclusiva in materia
di ordinamento penale, posto che la disciplina del segreto d’ufficio
e’ assistita dalla sanzione penale (di cui all’art. 326 cod. pen.),
in vista della salvaguardia degli interessi generali dello Stato, ed
e’ garantita mediante la previsione dell’esclusione della
rimovibilita’ del medesimo segreto in sede processuale (art. 201,
comma 1, cod. proc. pen.). Essa, di conseguenza, sarebbe palesemente
in violazione del precetto dell’armonia con la Costituzione (limite
all’autonomia statutaria delle Regioni ad autonomia ordinaria), ed in
contrasto con i principi generali in materia di pubblico impiego,
posto che le norme sul segreto d’ufficio costituirebbero, appunto,
principi generali della materia in questione, idonei, ad imporsi,
ancorche’ come vincoli generali, alla potesta’ statutaria regionale.

Considerato in diritto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso
questione di legittimita’ costituzionale in via principale degli
articoli 30, comma 4, 53, comma 4, e 67, comma 1, del nuovo statuto
della Regione Molise, approvato, in prima lettura, con deliberazione
del Consiglio regionale n. 184 del 19 luglio 2010, confermato, in
seconda lettura, con deliberazione n. 35 del 22 febbraio 2011, per
violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera l), e quinto
comma, dell’articolo 121, secondo comma, e dell’articolo 123 della
Costituzione.
2. – L’art. 30, comma 4, e’ impugnato nella parte in cui,
disciplinando le funzioni delle commissioni permanenti del Consiglio
regionale, stabilisce che queste ultime, al fine di svolgere la
funzione di "vigilanza" sull’andamento dell’amministrazione
regionale, «possono altresi’ convocare funzionari
dell’amministrazione regionale e degli enti dipendenti, i quali, in
seduta non pubblica, sono esonerati dal segreto d’ufficio».
In tal modo, ad avviso del ricorrente, la predetta disposizione,
escludendo, genericamente, l’obbligo del segreto d’ufficio in
relazione a qualsiasi atto dell’amministrazione, porrebbe eccezioni
al principio contenuto nell’art. 326 cod. pen., che prevede il reato
di rivelazione di segreti d’ufficio, in violazione della competenza
legislativa statale esclusiva in materia di ordinamento civile e
penale, oltre che in violazione dei limiti che l’art. 123 Cost. pone
all’autonomia statutaria delle Regioni. Detta norma, infatti,
invaderebbe la sfera di competenza statale esclusiva in materia di
ordinamento penale, posto che la disciplina del segreto d’ufficio e’
assistita dalla sanzione penale (di cui all’art. 326 cod. pen.), in
vista della salvaguardia degli interessi generali dello Stato, ed e’
garantita mediante l’esclusione della rimovibilita’ del medesimo
segreto in sede processuale (art. 201, comma 1, cod. proc. pen.).
Essa sarebbe, di conseguenza, in contrasto anche con il limite
generale dell’armonia con la Costituzione, posto dall’art. 123 Cost.
all’autonomia statutaria delle Regioni ad autonomia ordinaria, oltre
che con i principi generali in materia di pubblico impiego.
2.1. – La questione non e’ fondata.
2.1.1. – La disposizione impugnata e’ inserita in un articolo del
nuovo statuto della Regione Molise, l’art. 30 (intitolato "funzioni
delle commissioni"), volto a disciplinare le funzioni delle
commissioni permanenti nelle quali si articola il Consiglio
regionale. Fra tali funzioni vi e’ quella di "vigilanza
sull’andamento dell’amministrazione regionale". Nel disciplinare tale
competenza, il comma 4 del predetto articolo – analogamente a quanto
stabilito in altri statuti regionali (come, ad esempio, all’art. 53,
comma 5, dello statuto dell’Umbria, all’art. 38, comma 13, dello
statuto dell’Emilia-Romagna, all’art. 45 dello statuto della Regione
Campania) – dispone che le citate commissioni possono, fra l’altro,
«richiedere al Presidente ed ai componenti della Giunta regionale
chiarimenti su questioni relative alle materie di rispettiva
competenza. Possono altresi’ convocare funzionari
dell’amministrazione regionale e degli enti dipendenti i quali, in
seduta non pubblica, sono esonerati dal segreto d’ufficio».
Questa Corte ha gia’ avuto occasione di affermare che il potere
di controllo sull’amministrazione regionale e, piu’ in generale,
sugli organi esecutivi della Regione, attribuito alle commissioni
consiliari, in quanto articolazioni dei Consigli regionali, e’ un
«potere connaturato ed implicito nelle varie funzioni spettanti ai
Consigli medesimi» e rappresenta un «modo di estrinsecazione di dette
funzioni» (sentenza n. 29 del 1966). A tale potere di controllo,
inoltre, e’ strumentale il potere di acquisizione di tutti i dati,
delle informazioni e dei documenti che siano riconducibili
all’attivita’ dei predetti organi. Esso e’, pertanto, un «potere
istituzionale» del Consiglio regionale, e quindi anche delle sue
commissioni, il quale consiste nel «sindacato, strettamente inerente
ai suoi compiti di controllo politico, sull’operato degli organi
esecutivi della Regione» (sentenza n. 29 del 1966).
L’oggetto diretto ed esclusivo di un simile potere di controllo e
vigilanza affidato alle commissioni consiliari nei confronti delle
"attivita’ dell’amministrazione regionale e degli enti sottoposti al
suo controllo" va, pertanto, «individuato nel funzionamento della
amministrazione regionale e degli enti sottoposti al suo controllo,
caratterizzandosi, di conseguenza, come strumentale rispetto
all’esercizio di competenze proprie della Regione» (sentenza n. 4 del
1991).
Sulla base di tali premesse, questa Corte ha riconosciuto, in
primo luogo, che non contrasta con alcuna norma di rango
costituzionale la previsione, da parte del legislatore regionale,
della facolta’ delle predette commissioni consiliari di audizione di
pubblici amministratori, di dipendenti dell’amministrazione regionale
e degli enti sottoposti a vigilanza della Regione, dal momento che
tali commissioni possono «solo appellarsi agli ordinari vincoli di
responsabilita’ politica e amministrativa che legano gli
amministratori e i dipendenti regionali all’ente di appartenenza»
(sentenza n. 4 del 1991). In secondo luogo, non lede la competenza
esclusiva statale in materia penale la norma regionale che detti una
disciplina del segreto d’ufficio, attribuendo alle medesime
commissioni il potere di apporre il segreto d’ufficio su fatti, atti
o documenti ritenuti non divulgabili di cui siano venute a conoscenza
nell’esercizio dei predetti poteri di controllo. Una simile
disciplina, infatti, «viene ad operare entro i limiti ordinari del
segreto di ufficio, la cui determinazione, per quanto concerne
l’attivita’ svolta da un organo regionale quale e’ la Commissione,
non puo’ spettare altro che alla valutazione discrezionale della
stessa regione» (sentenza n. 4 del 1991).
Considerato che l’oggetto tutelato dal segreto d’ufficio e dalla
previsione del divieto di rivelazione dello stesso e’ costituito dal
buon andamento, inteso anche come normale funzionamento della
pubblica amministrazione (Cass., 14 novembre 2008, n. 42689; di
recente v. Cass. 24 giugno 2011, n. 25366), non puo’ che spettare al
legislatore regionale, nell’ambito della propria sfera di competenza,
individuare i casi nei quali la tutela del buon andamento e del
normale funzionamento dell’amministrazione regionale e degli enti da
essa dipendenti debba essere assicurata attraverso l’apposizione del
segreto d’ufficio. E, con tutta evidenza, spetta egualmente al
medesimo legislatore regionale prevederne le eventuali eccezioni.
Ne’ puo’ ritenersi che l’identificazione, da parte del
legislatore regionale, nel quadro delle proprie competenze, di
ipotesi di segreto d’ufficio inerenti all’attivita’ svolta
dall’amministrazione regionale e dagli enti da essa dipendenti,
nonche’ delle correlative ipotesi di esonero dallo stesso, incidendo
sull’applicazione della sanzione penale posta dal legislatore statale
all’art. 326 cod. pen., determini una violazione della competenza
esclusiva statale in materia di ordinamento penale.
Questa Corte, fin da epoca risalente, ha affermato che, ferma la
competenza esclusiva statale in materia penale, «alle leggi regionali
non e’ precluso concorrere a precisare, secundum legem, presupposti
d’applicazione di norme penali statali (cfr., fra le altre, le
sentenze di questa Corte n. 210 del 1972 e n. 142 del 1969) ne’
concorrere ad attuare le stesse norme»; e che «la tutela penale dei
beni rientranti nelle materie regionali, "esclusive" o "concorrenti",
puo’ ben esser autonomamente fornita, attraverso l’incriminazione di
violazioni agli stessi beni, dalla legge penale statale», con il
risultato di giungere a riconoscere una competenza regionale a
«concorrere a definire elementi costitutivi (es. "dovere", "atto
d’ufficio" ecc.) delle fattispecie tipiche incriminate», in relazione
ad alcune ipotesi di delitti contro la pubblica amministrazione
(sentenza n. 487 del 1989).
A seguito della riforma del Titolo V della Parte seconda della
Costituzione tali conclusioni non possono che essere confermate. Se,
infatti, e’ oggi espressamente previsto dall’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost., che la materia dell’ordinamento penale e’ di
esclusiva competenza dello Stato, con la conseguenza che «le Regioni
non dispongono di alcuna competenza che le abiliti a introdurre,
rimuovere o variare con proprie leggi le pene previste dalle leggi
dello Stato in tale materia», e’ anche necessario tener conto che «la
"materia penale", intesa come l’insieme dei beni e valori ai quali
viene accordata la tutela piu’ intensa, non e’ di regola
determinabile a priori» : essa «nasce nel momento in cui il
legislatore nazionale pone norme incriminatici e cio’ puo’ avvenire
in qualsiasi settore, a prescindere dal riparto di attribuzioni
legislative tra lo Stato e le Regioni» (sentenza n. 185 del 2004).
Pertanto, la relativa competenza legislativa statale esclusiva si
rivela «potenzialmente incidente nei piu’ diversi ambiti materiali ed
anche in quelli compresi nelle potesta’ legislative esclusive,
concorrenti o residuali delle Regioni, le cui scelte potranno
risultarne talvolta rafforzate e munite di una garanzia ulteriore,
talaltra semplicemente inibite». Sulla base di cio’, non puo’ negarsi
a queste ultime quanto in precedenza gia’ ad esse riconosciuto e
cioe’ il potere di concorrere a precisare, secundum legem,
presupposti d’applicazione di norme penali statali, nonche’ a
definire elementi costitutivi di talune fattispecie tipiche
incriminate, nell’esercizio delle proprie competenze.
2.1.2. – In tale quadro, risultano prive di fondamento le censure
di lesione della competenza esclusiva statale di cui all’art. 117,
secondo comma, lettera l), Cost. e di conseguente violazione dei
limiti posti dall’art. 123 della Costituzione all’autonomia
statutaria regionale, promosse nei confronti dell’art. 30, comma 4,
del nuovo statuto della Regione Molise, nella parte in cui
attribuisce alle commissioni consiliari permanenti, la facolta’ di
esonerare dal segreto d’ufficio i funzionari dell’amministrazione
regionale e degli enti dipendenti che siano convocati, con la
precisazione che l’acquisizione delle notizie deve avvenire in seduta
segreta, con conseguente estensione dell’obbligo di segretezza in
capo ai membri della commissione.
3. – Ulteriore disposizione oggetto di censura e’ l’art. 53,
comma 4, del nuovo statuto molisano.
La disposizione e’ censurata nella parte in cui, dopo aver
stabilito che la Regione, «per lo svolgimento delle proprie
attivita’, puo’ istituire con legge enti, aziende e agenzie
regionali» (comma 1), dispone che «il personale degli enti pubblici
non economici e’ equiparato al personale regionale» (comma 4).
Tale equiparazione, ad avviso del ricorrente, oltre a generare
«incertezza sul regime giuridico del personale genericamente
equiparato a quello regionale», determinerebbe una violazione della
competenza statale esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost. «perche’ impedirebbe il corretto evolversi della
disciplina contrattuale collettiva dei vari comparti interessati,
sottraendo per legge materia alla contrattazione». In tal modo la
disposizione in esame violerebbe anche i limiti posti dall’art. 123
Cost. alla potesta’ statutaria delle Regioni.
3.1. – La questione non e’ fondata.
Le richiamate censure muovono dall’erroneo presupposto secondo il
quale la disciplina del personale dell’amministrazione regionale
sarebbe attribuita per intero alla competenza del legislatore
regionale e, quindi, l’equiparazione ad esso del personale degli enti
pubblici regionali non economici sottrarrebbe illegittimamente tale
categoria alla contrattazione collettiva, con conseguente violazione
della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile.
Tale assunto e’ contraddetto dalla giurisprudenza costituzionale,
secondo la quale, in base alla nuova formulazione dell’art. 117
Cost., e tenuto conto che nel frattempo e’ intervenuta la
privatizzazione del lavoro pubblico (art. 2 del decreto legislativo
30 marzo 2001, n. 165, recante «Norme generali sull’ordinamento del
lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche»), l’impiego
pubblico regionale deve ricondursi, per i profili privatizzati del
rapporto, all’ordinamento civile (e quindi alla competenza
legislativa statale esclusiva) e solo per i profili
"pubblicistico-organizzativi" all’ordinamento e organizzazione
amministrativa regionale (e quindi alla competenza legislativa
residuale regionale) (fra le altre, sentenze n. 233 del 2006 e n. 2
del 2004; piu’ di recente sentenze n. 339 e n. 77 del 2011). In
particolare, questa Corte ha piu’ volte ribadito che il rapporto di
impiego alle dipendenze di Regioni ed enti locali, essendo
privatizzato, e’ retto dalla disciplina generale dei rapporti di
lavoro di tale tipo ed e’ percio’ soggetto alle regole che ne
garantiscono l’uniformita’. Di conseguenza, la legge statale, in
tutti i casi in cui viene a conformare gli istituti del rapporto di
impiego attraverso norme che si impongono all’autonomia privata con
il carattere dell’inderogabilita’, costituisce un limite alla
competenza residuale regionale in tema di organizzazione
amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali, nonche’
dello stato giuridico ed economico del relativo personale e va quindi
applicata anche ai rapporti di impiego dei dipendenti delle Regioni e
degli enti locali (sentenza n. 95 del 2007).
Alla luce di tali indicazioni, risulta evidente che
l’equiparazione del personale degli enti pubblici non economici
regionali al personale regionale, operata dalla norma censurata, non
comporta la temuta sottrazione per legge di una materia di per se’
riservata alla contrattazione collettiva per comparti, posto che
anche il rapporto di lavoro del personale regionale e’ – come,
peraltro, espressamente previsto dall’art. 52, comma 2, del medesimo
testo statutario – «regolato dalla legge e dai contratti». Tale
espressa previsione comporta che la norma impugnata non puo’ che
essere interpretata nel senso di rinviare, quanto al trattamento del
personale degli enti pubblici non economici e di quello del personale
regionale, alla disciplina del rapporto di lavoro contenuta nei
contratti collettivi stipulati in relazione ai comparti interessati,
senza alcuna lesione della riserva di competenza attribuita alla
contrattazione collettiva.
La censura di violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera
l), Cost. – alla quale e’ connessa quella di violazione dei limiti
posti all’autonomia statutaria delle Regioni dall’art. 123 Cost. –
e’, pertanto, priva di fondamento.
4. – E’, infine, censurato l’art. 67, comma 1, del nuovo statuto
della Regione Molise, nella parte in cui, regolando i rapporti della
Regione con l’Unione europea, prevede che la Giunta regionale
«realizza la partecipazione» alla cosiddetta fase ascendente
dell’attivita’ normativa europea e, nella fase discendente, «provvede
all’attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli
atti dell’Unione europea».
Tale disposizione, cosi’ statuendo, sarebbe, innanzitutto, in
contrasto con l’art. 117, quinto comma, Cost. in quanto riserverebbe
la competenza in materia alla Giunta regionale, laddove l’art. 117,
quinto comma, Cost. la attribuisce, genericamente, alla Regione e
quindi a tutti i suoi organi. Essa sarebbe, poi, anche in contrasto
con l’art. 121 Cost., commi secondo e terzo, nella parte in cui,
specie in riferimento alla fase cosiddetta discendente (di attuazione
ed esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione
europea), riserverebbe la competenza a svolgere le connesse attivita’
alla Giunta, che ha solo competenze di natura provvedimentale,
laddove per le attivita’ di natura legislativa e regolamentare, pure
coinvolte, la competenza non puo’ che essere del Consiglio regionale.
4.1. – La questione non e’ fondata.
Le censure proposte muovono da un’interpretazione della
disposizione impugnata che si rivela erronea gia’ dall’esame della
formulazione testuale della stessa.
Quest’ultima recita: «La Giunta regionale, nel rispetto delle
norme di procedura stabilite dalla legge dello Stato, della legge
comunitaria e degli indirizzi impartiti dal Consiglio regionale,
realizza la partecipazione della Regione alle decisioni dirette alla
formazione degli atti normativi comunitari e provvede all’attuazione
ed esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione
Europea». Essa, quindi, richiama espressamente sia la legge statale
recante norme di procedura, sia la legge comunitaria, statale e
regionale, sia gli indirizzi impartiti dal Consiglio regionale,
vincolando la Giunta al rispetto di quanto ivi prescritto, in
conformita’ con quanto stabilito dall’art. 117, quinto comma, Cost.,
nonche’ dall’art. 5 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni
per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla L. Cost. 18
ottobre 2001, n. 3) e dagli artt. 5 e 16 della legge 4 febbraio 2005,
n. 11 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo
normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli
obblighi comunitari), oltre che in linea con le indicazioni della
giurisprudenza costituzionale (da ultimo, sentenza n. 151 del 2011;
in specie, sentenza n. 239 del 2004).
La norma impugnata, inoltre, si inserisce in un contesto
normativo, costituito dai commi seguenti del medesimo art. 67, che
espressamente individuano le competenze in materia sia della Giunta
che del Consiglio, al quale ultimo sono attribuite le competenze
legislative e normative coinvolte, in conformita’ al riparto
delineato dall’art. 121, secondo e terzo comma, della Costituzione.
Tanto e’ confermato, ad esempio, dal fatto che al comma 4 del
medesimo articolo e’ prescritto che «Con legge regionale sono
stabiliti modalita’ e tempi per l’approvazione dell’annuale legge
comunitaria regionale. La legge comunitaria, nei casi in cui
deferisce al regolamento regionale l’attuazione degli atti
dell’Unione europea, ne stabilisce i criteri e i principi direttivi».
Le censure proposte nei confronti dell’art. 67, comma 1,
pertanto, sono prive di fondamento.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara non fondata la questione di legittimita’
costituzionale dell’articolo 30, comma 4, dello statuto della Regione
Molise, approvato, in prima lettura, con deliberazione del Consiglio
regionale n. 184 del 19 luglio 2010, confermato, in seconda lettura,
con deliberazione n. 35 del 22 febbraio 2011, pubblicato nel
Bollettino Ufficiale della Regione n. 7, edizione straordinaria, del
2 marzo 2011, in riferimento agli articoli 117, secondo comma,
lettera l), e 123 della Costituzione, promossa dal Presidente del
Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
2) dichiara non fondata la questione di legittimita’
costituzionale dell’articolo 53, comma 4, del predetto statuto, in
riferimento agli articoli 117, secondo comma, lettera l), e 123 della
Costituzione, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, con
il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimita’
costituzionale dell’articolo 67, comma 1, del predetto statuto, in
riferimento agli articoli 117, quinto comma, e 121, secondo e terzo
comma, della Costituzione, promossa dal Presidente del Consiglio dei
ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2012.

Il Presidente: Quaranta

Il Redattore: Tesauro

Il Cancelliere: Melatti

Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2012.

Il Direttore della Cancelleria: Melatti

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *